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Viaggi e ingressi regolari e ruolo delle reti migranti

Il passaggio alla fase dei viaggi e degli ingressi regolari va analizzata considerando da una parte le condizioni della società di destinazione, i provvedimenti che questa ha preso per limitare gli ingressi clandestini ed irregolari e dall’altra le condizioni che contraddistinguono la stessa componente straniera sul territorio. Da una parte l’Italia ha notevolmente incrementato i controlli dei confini, stringendo accordi sia con i paesi di partenza, che con quelli di transito e ha aumentato gli sforzi per contrastare l’irregolarità sul territorio. Dall’altra la maggiore stabilità della componente srilankese e la condizione di regolarità di gran parte di questa, conquistata nel tempo anche da parte di coloro precedentemente irregolari, soprattutto grazie alle sanatorie e ai legami personali con i datori di lavoro, ha permesso e permette di ri- produrre migrazione regolare. A partire dagli anni Duemila e soprattutto nell’attuale fase del processo migratorio sono i viaggi regolari ad alimentare il flusso migratorio e ad indirizzare le strategie migratorie di coloro che vogliono partire.

L’ampiezza della dimensione del sommerso all’interno dell’economia italiana ha favorito nel corso degli anni il proliferare di immigrazione irregolare che si è dimostrata funzionale all’economia italiana poiché ha da questa ricavato manodopera a basso costo. Non appena la presenza straniera si è fatta però visibile e i quartieri si sono colorati etnicamente, i migranti sono diventati un capro espiatorio appetibile su cui riversare le ansie e le paure che circolano all’interno della società dell’incertezza, della precarietà del lavoro e delle crisi economiche (Bauman, 2009). I migranti sono diventati troppi per il senso comune, pericolosi per i media e un “problema sociale” da risolvere per la politica. La migrazione e in primo luogo quella clandestina è così diventata non solo un “problema sociale” costantemente all’ordine del giorno ma anche una fonte di paura, che assume intensità diverse a seconda dei momenti. Secondo diversi autori, e in particolare Dal Lago (1999) esiste un circuito tra senso comune, iniziative politiche e discorsi dei media che ha prodotto un meccanismo tautologico di creazione della paura, un meccanismo cioè in cui la semplice enunciazione dell’allarme

dimostra la realtà che essa denuncia. Le iniziative di protesta dei cittadini contro l’invasione

Lega Nord, abili nel leggere e diffondere/riprodurre il clima di inquietudine trovando dei colpevoli, l’opera dei media sempre pronti a legare assieme le due “s” di sangue e straniero sono atteggiamenti che tutti insieme producono una cultura dell’emergenza e della paura. La paura, che dunque nei termini di Dal Lago, è costruita piuttosto che motivata da minacce reali, è stata poi utilizzata dalla politica e dai partiti per accaparrarsi consensi promettendo sicurezza, cioè lotta all’immigrazione clandestina e all’irregolarità. La forza di queste retoriche sta nella capacità di giustificare atteggiamenti di chiusura e discriminazione come se fossero conseguenza di una manaccia reale. Questi atteggiamenti sono presenti all’interno del senso comune, nei media e soprattutto all’interno dei discorsi e delle pratiche della politica, capace quest’ultima di creare “non-persone”, ovvero esseri umani illegali privi di qualsiasi diritto e tutela per il semplice fatto di trovarsi sul territorio di uno Stato che non è il loro. Questi atteggiamenti di chiusura potrebbero essere definiti xenofobi se questo termine non fosse così in contraddizione con l’immagine (costruita) dell’Italia come paese solidale con il Terzo Mondo (quando lontano).

[…] Tutti italiani vogliono aiutare, tutto il terzo mondo, gente diciamo, filippini, indiani, Bangladesh, pakistani loro vogliono aiutare. Esempio quando noi avuto tsunami tutta gente faceva sms, poi tutti raccolta soldi, Italia 1, Canale 5, questa è una cosa positiva (Intervista a Maesh, Wennapuwa, 11.08)

La forza delle retoriche della diffidenza e della paura diventa ancora più visibile se si considera che molte politiche restrittive e repressive vengono giustificate e talvolta condivise anche da numerosi migranti (naturalmente regolari) preoccupati dal comportamento deviante e criminale degli altri migranti, specie se di differenti nazionalità

Senza documenti qualcuno vive, però meglio essere in regola adesso… Qualcuno paura adesso di stare senza documenti. Perché adesso tutti controllati. Perché quando altra gente fa casino poi questi sono gli effetti per tutti gli extracomunitari in Italia. Ci sono tanti controlli perché ci sono tanti marocchini, gli zingari, poi albanesi. Loro vengono giù in Italia per rubare poi entrano in casa, ville o rubano… Per questo motivo adesso ci sono tanti controlli adesso. Chi fa male, poi tutti pagano le conseguenze (Intervista a Maesh, Wennapuwa, 11.08)

La paura della minaccia straniera, mostra tutta la sua efficacia dunque quando s’insinua anche tra gli stranieri. Parlando con srilankesi sono percepibili sia le preoccupazioni per l’insicurezza, sia la percezione dell’invasione. Mi viene spesso detto durante le conversazioni con migranti srilankesi che gli stranieri di certe nazionalità sono sempre sui giornali e in

televisione per qualche crimine e che sono dunque pericolosi e inoltre che gli stranieri in Italia sono diventati davvero troppi e che non ci sono lavoro e spazio per tutti.

Nel corso degli ultimi decenni sono stati presi provvedimenti sull’onda di queste retoriche che hanno reso praticamente impossibile (almeno per il flusso oggetto d’analisi) l’approdo clandestino, poiché sono stati ampliati notevolmente i controlli dei confini e delle zone di transito. Sono state contrastate anche le strategie degli ingressi alternativi legati a visti temporanei o a documenti falsi. I visti turistici sono stati concessi sempre più con il contagocce, i luoghi di controllo si sono moltiplicati ed è migliorata l’efficacia del controllo. Anche la permanenza irregolare sul territorio è diventata più complicata e pericolosa. I controlli risultano sempre più pressanti e le conseguenza per gli irregolari più gravi, si parla infatti di reato di clandestinità.

La lotta alla clandestinità e all’irregolarità non ha comunque annullato del tutto gli ingressi irregolari. Suranjan racconta di essere entrato nel 2004 con un permesso di soggiorno comprato da un suo connazionale e che sullo stesso volo per l’Italia c’erano altri cinque migranti nella sua stessa condizione. Questa permanenza irregolare inoltre continua ad avere la complicità di un’economia italiana che si nutre di lavoro nero e di lavoratori senza diritti e che quindi sostiene e riproduce l’immigrazione clandestina. Ciò che colpisce della situazione italiana non sono però i limiti dei provvedimenti per l’azzeramento dell’irregolarità quanto il fatto che agli sforzi per il contrasto dell’immigrazione clandestina ed irregolare non siano poi corrisposte delle politiche che facilitano gli ingressi regolari. La domanda degli ingressi continua a superare notevolmente le concessioni, cioè le quote che annualmente vengono concesse dal governo italiano. Inoltre mancano istituzioni alle quali potersi rivolgere per poter raggiungere l’Italia. Tutto viene lasciato al rapporto diretto tra datore di lavoro in Italia e lavoratore straniero in cerca di un visto per lavoro. In questo vuoto istituzionale si inserisce il lavoro delle reti migranti, cioè delle relazioni che uniscono migranti e non migranti nella società di destinazione e in quella di origine

Diverse teorie sulle migrazioni sostengono che le reti migranti siano un prodotto autonomo della migrazione, sottovalutando così gli effetti strutturali sullo sviluppo del processo migratorio. Sostengono inoltre che le reti riproducano il flusso migratorio riducendo i costi e i rischi della migrazione, sottostimando così il fatto che la migrazione anche se gestita dalle reti continua ad essere un’impresa complessa, complicata e un investimento economico rischioso.

Attualmente le reti migranti hanno in mano la gestione della migrazione regolare che si muove tra Sri Lanka e Italia. L’intento qui è quello di analizzare le modalità attraverso le quali si realizza questa gestione (informale), reintroducendo quindi i condizionamenti del

contesto socio-economico sulle dinamiche relazionali e sulle pratiche dei migranti. Nel fare questo alcuni luoghi comuni sulle caratteristiche positive delle reti cadono lasciando il posto ad un’analisi che cerca di recuperare la complessità dei processi migratori e le contraddizioni delle dinamiche relazionali tra connazionali posti in interazione tra loro in un determinato spazio sociale che potrebbe essere definito spazio sociale della migrazione tra Sri Lanka e

Italia. In questo spazio entrano in contatto tra loro sia migranti che non migranti, al di là dei

confini che separano società di origine e società di destinazione, occupando posizioni socio- economiche differenti. Per arrivare in Italia un cittadino srilankese deve passare per il tramite di un suo connazionale in Italia che si ritrova quindi in una posizione di potere all’interno della relazione.

Le reti migranti, cioè le relazioni interpersonali che uniscono le due sponde della migrazione, gestiscono la stessa migrazione regolare perché le leggi sull’immigrazione lo impongono. Detto in altri termini la gestione della migrazione da parte delle reti lungi dall’essere autonoma, è vincolata alle strutture che le leggi dello Stato di destinazione impongono alla mobilità umana in entrata. Non c’è possibilità di migrazione regolare se non attraverso l’azione delle relazioni interpersonali tra i confini, e quindi la migrazione regolare è

strutturalmente lasciata nelle mani delle relazioni interpersonali all’interno di un ambiente

sociale informale.

Il meccanismo della chiamata nominale di un datore di lavoro in Italia per un lavoratore straniero implica una relazione interpersonale. Per un cittadino srilankese bloccato in Sri Lanka ottenere un’occasione di lavoro in Italia è possibile solamente attraverso un contatto con un proprio connazionale in Italia, un migrante precedente, poiché manca un’istituzione ufficiale che ponga in contatto domanda e offerta di lavoro. Questo compito è svolto dalle reti migranti. Di fatto i migranti sono le uniche persone che un aspirante migrante può conoscere sul territorio italiano. Questo meccanismo non fa altro che incrementare lo status del migrante in patria, poiché oltre ai benefici economici (reali o immaginari) che l’emigrazione gli frutta trasformandolo agli occhi di chi è rimasto in Sri Lanka in qualcuno da invidiare e imitare, il migrante diventa per coloro che aspirano a partire, l’unico accesso all’Italia, almeno per quel che riguarda l’ingresso regolare. Le leggi italiane sull’immigrazione, in un contesto in cui vige un flusso costante verso l’Italia e in cui l’Italia è diventata un desiderio diffuso, trasformano le relazioni più svariate, quelle di parentela, di amicizia, di conoscenza, in qualcosa di diverso, poiché introducono un nuovo principio di disuguaglianza all’interno della relazione. Le speranze, le traiettorie di vita dell’uno vengono vincolate all’azione dell’altro.

vincoli. Non tutti i migranti sono nelle condizioni reali di chiamare qualcuno in Italia, non tutti hanno i requisiti imposti dalla legge italiana o i contatti con possibili datori di lavoro per realizzare i desideri degli altri, ma la percezione di chi è rimasto in Sri Lanka e che ha nei contatti con i migranti l’unica via di fuga, è quella che ogni migrante sia un potenziale tramite per arrivare in Italia e per avere così la possibilità di migliorare la propria vita. Questa percezione fondata anche sull’opacità della normativa italiana per coloro che sono fuori dall’Italia e sulla mancanza di vie alternative per l’accesso, rende instabili e aperte al conflitto diverse relazioni lungo la dialettica aiuto/mancanza di aiuto che si origina a causa delle differenze delle posizioni sociali in cui si trovano gli attori coinvolti.

Can your relatives in Italy help you to go to Italy? Yes, definitely. They can. They can. If

they help me I have not to pay but they don’t help me, they do not do any favours for us.

Why? I don’t know, sometimes they are jealous with us, maybe. Sometimes if I go there we

can see their situations so that’s why, I think so. […] Are there any differences between

your relatives and your friends in Italy? Yes there is big difference between them.

Relatives, all the relatives, they are working in Italy, they have been there more then fifteen years, twenty years also. They have stayed there more than twenty years. They can do. They can easily do some favours for us but they don’t like, I don’t know what’s the reason. Sometimes they are jealous with us, I told you … They are jealous with us. If I become a rich person they are afraid because as a youth we can do many things, we can work hard, we can take a lot of money but if I… the thing is if I earn a lot of money then they are afraid of that, I think. Other thing is sometimes they are domestic, they are doing domestics, they are working under… in some houses, working in some houses, maybe sometimes cleaning and those kind of… maybe… if, if I see them then they will be ashamed, I think that’s the reason. I have so many friends, they are better than my relations. One of my friend, I told you Rumesh. He also tried many times to take me… without money… and also my sister [in realtà un’amica] tried many times. I must thanks them, they should not do that, the relations must do this kind of things but unfortunately my friends do those kind of things. (Intervista a Malindu, Wennapuwa, 11.08)

In Italia avevi molti parenti? Ah si! E allora come mai hai comprato un permesso di soggiorno e non hai chiesto ai tuoi parenti di aiutarti? Io chiesto. Hanno detto che non

c’era legge per farmi arrivare. Oltre alla legge poi… perché cognato si arrabbia se io vengo qua. Perché? Perché non piace che io vengo in Italia. Quando sono venuto qua, non piace.

Perché? A, non lo so. Tu cosa pensi? Penso. Quando io venuto qua, tre anni, cinque anni

fatto soldi sicuramente. Lui adesso è in Italia da dieci anni, undici anni, adesso sotto, sotto. (Intervista a migrante srilankese, Verona, 07.09)

Dallo Sri Lanka i contatti in Italia sono visti come coloro che potrebbero aiutare ma che non lo fanno per diversi ragioni. Si pensa vogliano mantenere il privilegio di essere nel luogo del guadagno, che siano gelosi dei successi virtuali di coloro che arriverebbero al loro seguito, talvolta si pensa che si vergognino dei loro lavori in Italia, così in contraddizione con l’immagine di ricchezza che trasmettono nei loro ritorni temporanei a casa. Questa percezione

piuttosto che le ragioni reali che impediscono spesso ai contatti (soprattutto parenti) di far ottenere i documenti per l’Italia ad altre persone in Sri Lanka evidenziano in primo luogo gli attriti che questa situazione origina e i conflitti, i malintesi e una certa concorrenza per il maggior benessere (o guadagno) all’interno dello spazio sociale della migrazione.

Pur non riuscendo ad accontentare tutti, pur non riuscendo a soddisfare completamente la grande domanda d’Italia presente a Wennapuwa e nelle città limitrofe, le reti lavorano (nell’ambivalenza) tra i confini per la riproduzione della migrazione. Questo tipo di lavoro ha diverse modalità e diverse finalità, solo raramente è un’attività che le reti forniscono in maniera totalmente gratuita.

Il datore di lavoro che fa domanda per un lavoratore srilankese può essere sia italiano, sia srilankese. Quando la domanda è fatta da un datore di lavoro italiano il ruolo di un migrante connazionale risulta comunque decisivo per ottenere il visto. È infatti il legame ponte

necessario che unisce due sconosciuti: datore di lavoro in Italia e lavoratore in Sri Lanka.

Diverse sono le situazioni che si possono originare nei casi in cui il datore di lavoro sia un italiano. Se tra un lavoratore migrante regolare e il suo datore di lavoro si crea un buon rapporto, quest’ultimo può far richiesta per un lavoratore straniero che gli viene indicato dallo stesso migrante, solitamente un membro della famiglia che per un motivo o per un altro il migrante non riesce a “prendere” in Italia attraverso ricongiungimento familiare. In questi casi, specie se il datore di lavoro ha una piccola o media impresa, o un’attività come ad esempio un albergo o un ristorante, o necessità di un lavoratore in ambito domestico, il neo- migrante arriverà in Italia senza neppure il problema di dover trovare lavoro. A Wennapuwa il termine “signore”, mi spiega Mark, è entrato nel vocabolario comune, termine portato dai migranti e a cui gli aspiranti migranti legano le possibilità del loro ingresso. Sperano che il loro contatto in Italia trovi un signore che offra loro la possibilità dell’Italia e di un lavoro in Italia. Questa è la situazione di maggior vantaggio per un aspirante migrante in Sri Lanka che attende, magari per anni, che il proprio familiare si inserisca così bene nel contesto lavorativo italiano.

In altri casi il datore di lavoro italiano può svolgere una funzione diversa, piuttosto che quella di datore di lavoro reale, quella di datore di lavoro fittizio e socio in affari del migrante che svolge la funzione di legame ponte. Questi accordi sono ben conosciuti tra srilankesi. Mi è stato raccontato che qualcuno cerca italiani, gli propone di richiamare un lavoratore domestico, di tenerlo in regola per i primi sei mesi e successivamente di licenziarlo. Per questo, l’italiano non dovrà neppure pagare i contribuiti perché verranno pagati dal neo-

migrante stesso pagherà al suo connazionale per ottenere i documenti per entrare in Italia6 e ritrovarsi poi senza un lavoro reale.

Rohan vive i suoi primi mesi a Verona da disoccupato. Eppure su suoi documenti, (non ancora il permesso di soggiorno vero e proprio), la sua residenza risulta a Reggio Emilia, dove ha un contratto di lavoro con un signore italiano e dove dovrà andare a ritirare in questura il permesso di soggiorno, che la burocrazia italiana consegna quindi a più tappe e con i propri tempi. Rohan è arrivato in Italia grazie ad un migrante di Reggio Emilia che ha preso i contatti con il finto datore di lavoro italiano. Rohan non sa come verranno divisi i 12

lahks (8.000 euro) che ha pagato al suo connazionale per arrivare, contraendo tra l’altro

ingenti debiti, dato che a disposizione tra i suoi risparmi c’era solo un lahk (circa 700 euro). (Note di campo, Verona, 01.08)

Non sempre è necessaria l’intermediazione di un datore di lavoro italiano. Migranti che hanno raggiunto una certa stabilità, che dimostrano di avere un contratto di lavoro e di affitto, nonché un reddito adeguato possono svolgere essi stessi la funzione di datore di lavoro, contro ogni logica sociale. Un migrante che arriva in Italia spesso per svolgere il lavoro di domestico o che comunque investe i propri anni in Italia per raccoglierne i benefici, in termine di comodità e di stile di vita, successivamente e una volta tornato in Sri Lanka, è costretto a trasformarsi in un datore di lavoro per un connazionale che teoricamente ricoprirà il ruolo di domestico nella sua casa italiana. Questo escamotage per fare ottenere i documenti ad un proprio connazionale può presentarsi sotto forma di aiuto o sotto forma di servizio a pagamento.

L’aiuto risulta piuttosto raro, secondo i resoconti dei migranti. La rarità dell’aiuto non deve sorprendere perché questa offerta di lavoro fittizia significa prendersi in casa una persona che inizialmente ha difficoltà a contribuire alle spese (affitto, cibo, bolletta, ecc.), una persona che si deve aiutare nel trovare un lavoro reale (cosicché possa iniziare a contribuire alle spese), che si deve indirizzare per districarsi all’interno dei compiti e delle pratiche imposte dalla burocrazia italiana e una persona per la quale bisogna pagare dei contribuiti. Per questi motivi l’aiuto gratuito è legato a legami di parentela e di amicizia forte. Inoltre aiutare qualcuno significa rinunciare ad un guadagno elevato dato che in zone ad alta densità emigratoria, come Wennapuwa, è relativamente facile riuscire a trovare acquirenti per l’acquisto del “prodotto migrazione”.

6 Nei casi di accordo tra srilankesi e italiani, dai racconti appare che l’iniziativa sia presa principalmente da

srilankesi che offrono il contatto in Sri Lanka disponibile al pagamento per l’ingresso in Italia. Non va esclusa la possibilità però che siano anche italiani che conoscono il “gioco” a prendere l’iniziativa e a cercare migranti