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Viaggi clandestini e permanenza irregolare

Negli anni Novanta il flusso migratorio verso l’Italia è in fase di sviluppo. Gli arrivi in Italia di migranti srilankesi sono costanti e quantitativamente importanti. In questo periodo i viaggi dei migranti sono spesso viaggi clandestini e soprattutto pericolosi. I loro racconti anche ad anni di distanza ripropongono le difficoltà, le paura, le titubanze e le perdite (terribili quando hanno riguardato vita umane) che hanno caratterizzato questi viaggi alla cieca verso un futuro immaginato nonostante i limiti degli stati nazione e le logiche restrittive delle leggi sull’immigrazione. È anche attraverso questi viaggi che la migrazione Sri Lanka-Italia assume dimensioni poi determinanti per la sua stabilizzazione.

Ho studiato fino a diciotto anni. Mi sentivo di non essere andato bene agli esami e così sono partito. L’ho detto ai miei genitori. Loro mi dicevano di no. La mia famiglia stava bene. Avevamo un negozio, mio papà aveva una piccola fabbrica, produceva fibre con pelle di cocco. Lui mi diceva di non andare perché c’era da fare a casa.

Mio papà ha fatto molti sacrifici. Lui faceva il pescatore. All’inizio aveva solo una barchetta piccola. Sei mesi andava in mare, pescava gamberi. Sei mesi vendeva solamente. Lui vendeva al mercato. Mio papà ha fatto molti sacrifici. Eravamo quattro figli. Due fratelli e due sorelle. Abbiamo aiutato molto, la mia famiglia era molto unita. Mio babbo non voleva far fare il pescatore ai suoi figli. Voleva un lavoro un po’ migliore per noi. La mia famiglia ha mandato mio fratello in una scuola importante a Colombo. Anche io e le mie sorelle abbiamo studiato bene comunque.

Quando avevo quindici, sedici anni la mia famiglia stava bene. Mio papà aveva aperto la fabbrica, avevamo anche un alimentari. Poi mio papà era riuscito a comprare anche due barche grosse, ci lavoravano quattro persone su ogni barca. Ha costruito una casa. A sedici

anni ho avuto un esame, è andato molto bene. Mia mamma mi diceva sempre tu puoi andare avanti. Io giocavo anche a basket. Mio fratello giocava in nazionale. Mio fratello è stato il primo giocatore professionista. Giocava alla Maldive. Loro hanno turismo, sono un paese piccolo, li girano più soldi.

Il mio esame a diciotto anni sentivo che non era andato bene. Giocavo in nazionale junior, mi sentivo che non riuscivo a studiare bene. Comunque in quegli anni potevo andare in Germania con la nazionale di basket, per un torneo. Avevo iniziato ad allenarmi con loro.

Dopo c’era un mio amico, aveva quattro fratelli in Italia, Catania, Messina. Loro erano entrati negli anni Ottanta. Anche a me era venuta voglia di andare perché quando vedevo quelli che vivevano in Italia, gli srilankesi quando vivono in Italia, quando tornano in Sri Lanka sempre lusso, sempre soldi in mano. Prendevano macchine. Pensavo che lì è come un paradiso, ci sarà soldi per terra sicuro, li dovevo andare solo a cercare. Mi è venuta voglia di andare in Italia.

Poi un mio amico mi ha detto che c’era una possibilità di andare in Italia. C’era un’agenzia che portava in Italia, volevano mi sembra 3 lahks di rupie [2.000 euro]. Loro facevano un giro. Portano in un altro paese. Però non dicevano dove vanno. Loro dicevano solo ti porto in Italia. Era illegale. Solo per andare in altri paesi, diciamo Arabia Saudita o in Asia, si poteva andare in modo legale. Loro dicevano ti porto in Italia e tu dovevi dare i soldi che chiedevano. Io ho anche chiesto come facevano, ma loro non hanno spiegato nulla, non spiegano che giro fanno. Erano di Colombo, però qui c’era gente che cercava nella nostra città chi voleva andare.

Dopo io e il mio amico siamo andati in questa agenzia. Ci hanno detto se volete partire c’è posto domani. Io ho pensato… Cavoli, non si può, perché io adesso devo andare in Germania, poi non sono ancora arrivati i miei risultati degli esami. Devo vedere anche questo, forse vado all’università, forse no. Non posso. Dopo ho parlato con il mio amico. Siamo venuti a casa, abbiamo parlato. Lui mi diceva se vieni adesso ti aiuto io con i miei fratelli in Italia, così riesci a organizzarti lì perché se no dopo devi venire da solo. Un giorno che tu decidi di venire là devi venire da solo. Non c’era nessuno in Italia che io conoscevo bene. Dopo ho detto va bene, parlo con mio papà così ti dico qualcosa domani. Lui ha detto non va bene domani, perché dovevamo portare i soldi sta sera se no non potevamo partire domani. Io sono andato a casa. Parlato con mia madre. Lei ha detto no. Non pensarci nemmeno. Perché mio fratello abita a Colombo, studia là, gioca in nazionale, non torna quasi mai a casa. Poi mia sorella grande si è sposata quando aveva ventuno anni anche lei non era in casa. Poi c’era mia sorella piccola. Però, non mi mancava niente. Avevo moto, anzi due moto. Anche mio babbo aveva una moto, così la usavo io e poi avevo un’altra moto per me, avevo casa, macchina e poi anche vestiti. Quando voglio io avevo sempre soldi in tasca. Poi anche io facevo piccolo business nel nostro negozio. Io di domenica vendevo galline. Così facevo un po’ di soldi. Poi ero capace di fare snacks. Preparavo nuts. Facevo pacchetti e vendevo. Quando ero libero li vendevo. E poi rubavo un po’ di soldi in casa, io avevo sempre soldi. Io non stavo male, stavo bene quando partito, e dopo quando parlato con mamma, lei ha detto no, non pensarci nemmeno. Dopo sono andato a parlare con papà, gli ho detto guarda che se sto qua io rubo tuoi soldi. Mi mandi, mi mandi. Lui ha detto adesso parlo con la mamma, poi ti dico. Dopo loro hanno discusso un po’. Va bene, però non domani un altro giorno. Io detto no, domani. Domani, voglio andare domani. Senza pensare niente. Avevo anche fidanzata non ho detto neanche a lei. Dopo mio papà detto va bene, quanti soldi vuoi? Io detto 3 lahks. Prima 1 lahk, dopo quando vado di là mio babbo deve pagare altri 2 lahks, lui dà in Sri Lanka. Lui ha detto se proprio vuoi andare vai. Io ho preparato subito la valigia. Il giorno dopo ci hanno detto orario per andare in aeroporto. Siamo andati. Mia mamma piangeva. Come ogni madre. Piangeva, piangeva.

Era il 1992. Dopo quando andato in aeroporto, abbiamo visto che c’erano altre quaranta persone che partivano con noi. Quaranta persone. Dopo sono rimasto un po’ male. Pensavo che andavamo solo noi due. Quaranta persone quando esci dall’aeroporto senza visto, così… Sicuramente problemi. Dopo loro hanno dato biglietto in mano. Hanno preparato tutto. Siamo andati dove fanno check-in, così fatto check-in e poi senza passaporto… non lo abbiamo portato noi, l’hanno portato loro il passaporto, hanno fatto il timbro. Siamo partiti. Quando siamo andati vicini all’aereo ho visto Singapore Airlines. Poi pensavo che andava in Italia. Salito lì, dopo un’ora e mezzo siamo atterrati a Singapore. E poi loro hanno detto dobbiamo fare visto per andare in Italia e dovete stare una settimana a Singapore. Cavolo mi sono arrabbiato proprio. Perché pensavo il giorno dopo sono in Italia. Avevo 500 dollari in tasca, così per sicurezza. Ho chiamato subito a casa, ho detto c’è un problema. Mio babbo mi ha risposto, volevi andare te, no? Adesso arrangiati. Dopo ho deciso di non chiamare neanche più a casa perché se no i miei genitori si arrabbiavano, avevano paura di quello che mi poteva succedere.

Poi sono stato una settimana a Singapore. Poi loro un giorno verso le due di pomeriggio hanno detto che alle tre si ripartiva. Abbiamo preparato tutto in fretta. Quaranta persone. Loro hanno preparato delle valige per noi. Non so cosa cavolo c’era dentro. Ognuno una valigia. Hanno preparato le valige li a Singapore. Non so cosa c’era dentro.

Io ho deciso di proseguire ma potevo anche tornare a casa. Tante persone però, non come me, cercavano proprio soldi. Magari avevano venduto casa. Così sono riuscite a partire queste persone qua. Credo che ero abbastanza ricco solo io lì. Altri, tutti erano poveri, poveri, poveri… proprio che vendevano, che hanno cercato soldi per partire, per interessi, così.

Dopo siamo partiti da Singapore. Siamo atterrati vicino Russia3. E poi loro ci hanno messo in un hotel. Hotel cinque stelle. Quaranta persone. Era un hotel bellissimo. E poi siamo stati lì, quasi due giorni. Loro hanno detto che arriva un pullman, due pullman. Dobbiamo partire con il pullman per andare in Yugoslavia. Dopo dovevamo entrare a piedi in Italia. Pensavo questa è una cosa di mafia. Queste cose le fa la mafia. Però non c’era niente da fare. Non puoi neanche tornare indietro perché abbiamo speso soldi. In qualsiasi modo volevamo andare in Italia. E poi io potevo anche tornare, però c’erano trentanove persone che loro non possono tornare in Sri Lanka. Se tornano rimangono anche senza mangiare.

Dopo sono arrivati i pullman. Siamo partiti. Abbiamo viaggiato per tutta la notte, una sera piena, però non so dove siamo arrivati, Uzbekistan, Turkmenistan, non so un paese così. Abbiamo lasciato lì tutte le valige che abbiamo portato da Singapore e poi ci hanno portato in aeroporto. Abbiamo preso un aereo, non sapevamo niente, non avevamo biglietto in mano. Poi siamo atterrati a Mosca, in Russia. Non siamo neanche andati immigrations, scesi dall’aereo abbiamo preso un pullman. Andava dietro l’aeroporto, è passato dal cancello dietro. Non ci siamo fermati. Io pensavo che dovevamo timbrare il passaporto. In Russia, un mio amico diceva che il timbro per la Russia era già dentro il passaporto quando siamo partiti con l’aereo, c’era già prima di arrivare. Dopo siamo andati con il pullman a San Pietroburgo, a Leningrado. Hanno preso un palazzo, 13 piani, hanno preso 2 piani in un residence, hanno pagato e hanno dato una stanza per due persone e poi tutti i giorni portavano mangiare. Siamo stati una settimana lì, dopo ha cominciato a fare freddo, perché metà settembre. Siamo partiti ad agosto, 21 agosto. Così passato un mese. Allora ho chiamato il nostro, quello che ha fatto, che ha organizzato. Ho detto voglio tornare a casa perché qui non vedo niente Italia, ancora Russia, cosa facciamo qua. Loro detto no, no, no… ti faccio andare. Poi è arrivato un altro gruppo. Sempre quaranta persone, altre quaranta. Tutti miei paesani, alcuni miei amici, conoscevo, di Wennapuwa e intorno.

3 Nell’intervista dice Aginistan, come in altre occasioni è difficile capire esattamente a quale Stato faccia

Dopo loro detto devi stare ancora una settimana, una settimana, devi stare ancora una settimana. Così passati due, tre mesi. Circa un’ottantina. Poi ogni tanto arriva un gruppo nuovo. Sempre dallo Sri Lanka. Anche loro hanno fatto tutto questo giro qua. Comunque passato sei mesi lì. Eravamo quasi trecento, quasi trecento persone. Io chiamavo casa, dicevo vai all’agenzia, chiedi cosa fanno. Così loro andavano a chiedere. E poi loro dicevano sempre qualcosa, si, si, si… domani, domani, domani, ma non arriva domani. Dopo loro hanno detto che quaranta persone devono andare in Moldavia. Arrivati autobus, pullman, dovete salire lì, andare in Italia. Ok siamo andati. Abbiamo preso il treno, abbiamo fatto due giorni in treno, e poi siamo arrivati in Moldavia. Ci hanno messo in una stanza, in una casa, una stanza con quaranta persone. Siamo stati senza mangiare, un giorno e mezzo senza mangiare. Lì abbiamo capito, è proprio una cosa di mafia. Perché hanno picchiato anche due, tre persone, solo perché dicevano ho fame. Loro non lasciano neanche andare fuori, bagno non puoi usare sempre, un’ora, dopo un altro, così. Poi mi sono arrabbiato, c’erano anche i miei amici. Abbiamo fatto sei mesi insieme, tutti come una famiglia, dopo diventati come una famiglia. Rompiamo porta, usciamo, se no qui moriamo. Dopo abbiamo deciso, prendiamo quello lì. Quella persona di casa. Quello lì sicuramente un mafioso, si chiama Igor. Aveva anche una pistola. Quando riposava in letto, tutti addosso, lo abbiamo preso e legato. C’era anche sua ragazza. Abbiamo legato anche lei. Poi picchiato, picchiato tantissimo, picchiato perché lui, lui picchiato uno dei nostri, così picchiato tantissimo. Poi ho chiesto, ma dammi un numero da chiamare un nostro capo, per andare via di qua, e poi lui, no, no, no. Allora ancora picchiato. Così preso il numero, chiamato. Poi tutti hanno chiamato casa, perché aveva il telefono in casa. Abbiamo chiamato tutti in Sri Lanka, abbiamo raccontato tutto quello che è successo. In Sri Lanka tutti arrabbiati. Sono andati tutti in agenzia. Picchiato tutti, diventato un casino anche in Sri Lanka. E poi chiamato il nostro capo, quello che ha organizzato. Lui ha detto sono in Moldavia. Parlava con me perché io ero diventato come capo lì. Mi ha detto sono in Moldavia, non avere paura, mangia quello che c’è in frigo, domani vengo, arriva un pullman, sali, vieni con me in un posto che sanno loro. No, io ho detto, no. Ho paura perché ammazzano, perché ci sono due legati, loro non lasciano andare via così, io voglio andare alla polizia. Lui detto non andare alla polizia, non succede niente, garantisco, ti prometto io. Allora io gli ho detto se hai il coraggio vieni qui. Lui detto non posso venire. Io detto non veniamo con pullman perché non conosciamo situazione. Poi lui arrivato. Picchiato subito. E poi abbiamo legato anche lui. Lui ha detto no,no, no… tranquillo adesso arriva un pullman, andiamo. Abbiamo portato lui giù legato. Lui salito. Alla sera, alle nove, lui salito. Notte piena, non lo so dove siamo andati. C’erano otto pullman grossi, molto grossi. Ha detto di salire… non otto, quattro pullman. Loro ci hanno detto di salire. Però li c’era un altro gruppo che è arrivato prima di noi… in Russia. Anche loro in quaranta, loro diceva no, no, no. Non potete andare, dobbiamo andare prima noi, perché siamo arrivati prima. Facevano un casino. E poi quel capo che ha portato noi… anche mio papà andato a cercare lui in Sri Lanka. Ha detto ti mazzo se non mi porti mio figlio o in Italia o in Sri Lanka. Lui un po’ paura di me. Così lui ha detto prima mando quelle persone che sono arrivate prima però ti do un posto anche per te. Io ho detto no, no. Comunque quando salito loro hanno detto, autista ha detto che c’erano ancora posti. Otto posti, poi hanno scelto, io, un altro, così, hanno scelto otto che dovevano salire. C’era uno del mio paese, fratello di un mio amico, lui detto guarda che io ho tanti problemi, in Sri Lanka mia ragazza è in cinta, così… Lui ha detto lasciami andare, lasciami andare prima. Io ho lasciato andare quel ragazzo lì. Sono partiti. Dopo siamo stati due ore li, non è venuto nessun pullman, niente. Dopo chiesto al capo, ma adesso cosa facciamo, non c’è pullman. Lui ha chiamato qualcuno, arrivato un furgone, siamo saliti, andati un altro locale, un altro posto. Però mi dava da mangiare sempre, trattava bene adesso. Siamo stati lì quasi due giorni. Poi arrivato un altro singalese che studiava in Russia, in Mosca. Lui veniva a fare qualche business lì, in Moldavia. Lui quando visto mi ha chiesto ma

tu sei singalese? Si. Ma perché sei venuto qua? Io detto c’è una cosa così, spiegato, devo andare in Italia. Ma sei matto? Non andare. Quattro pullman che partito ieri, otto morti, otto persone nel pullman morte. Poi mi ha detto anche numero di pullman, guarda… era proprio quello che dovevo prendere io. Dopo sono andato dal capo. Ho chiesto. Lui diventato nero, proprio. Spaventato proprio. Aveva un giornale in mano. Era tutto scritto in Russo. Scritto tutto, partito da Moldavia. Passato Austria, non so, Ungheria o qualcosa, comunque arrivato al confine dove fanno controlli. Hanno… perché pullman non devi stare seduto, ma devi andare sotto, hanno fatto un cassonetto, entrare lì, poi chiudere, chiudono tutto. Non c’è aria dentro. Hanno messo, sempre quando va motore, arriva aria condizionata, aria per respirare. Hanno sistemato così quel pullman. Poi comunque quando abbiamo saputo così ho detto no, io, noi non andiamo con pullman. Volevo andare in paese, in Sri Lanka. Così abbiamo fatto guerra con nostro capo, no, no, no. Andate a San Pietroburgo, ti pago tutto, per mangiare, per viaggio, andate dove siete stati. Lì siamo sicuri perché abbiamo conosciuto tanti russi, così… e poi sa dove andare a mangiare, tranquillo lì. Va bene torniamo. Siamo tornati, poi arrivato la polizia. Hanno fatto domande, hanno fatto vedere tutti i giornali, foto, così. Io ero come capo nostro gruppo. Io raccontavo quello che è successo, poi loro fatto domande. Ho visto una foto che c’era mio giubbino. Un morto, aveva addosso mio giubbino. Perché io dato giubbino quando salito, quel ragazzo lì, mio amico… guardato bene proprio lui. Hanno spento motore. Dopo io ho chiesto, ma come mai è successo così. Loro raccontato. Austria, Ungheria, al confine, dove fanno controlli. Loro spento motori, così mancava l’ossigeno. Non riuscivano a respirare. Poi quando autista ha capito erano già svenuti tutti. Lui aveva paura, sembravano morti. Girato pullman, andato in un parco, dove non c’è gente. Picchiato con un ferro, ha ammazzato otto persone, e poi ha rubato, ha portato via tutto, tutti passaporti, per non fare riconoscere. Dopo ho raccontato tutto, come arrivato, come ho fatto, com’è successo. Comunque passato otto mesi in Russia. Poi ho detto adesso basta. Devo andare in Sri Lanka. Non in Italia. Basta. Miei genitori mi mandavano ogni tanto soldi per posta, per vivere. Tanti rimasti senza mangiare. Qualche ragazzo, qualcuno si è sposato in Russia, con ragazze russe. Qualcuno trovato un lavoro lì, qualcuno si è sistemato lì.

Dopo io deciso di andare, tornare. Devo andare. Quello che organizzava scappato. Tornato in Sri Lanka. Dopo mio papà cercato lui. Quasi due settimane, trovato. Poi con la macchina andato addosso. Perché mio papà detto voglio mio figlio, portami mio figlio, non deve andare da nessuna parte. Mio papà ha preso tutta la sua famiglia come ostaggio. Mio papà andato a casa sua e detto se non mi porti mio figlio, ammazzo tutti. Qua in Sri Lanka facevano un casino. Poi mio papà venuto in Russia. Mi ha riportato giù. In Sri Lanka.

Ho fatto otto mesi e quasi due settimane in Russia. Dopo quando venuto qua tutti i miei amici mi scherzava. E poi ho visto giornale c’era mia foto per andare in Germania, poi esame passato abbastanza bene, non per andare università, ma abbastanza bene per un lavoro. Volevo andare militare perché air force mi chiamava per giocare, hanno squadra di basket. Dopo comunque sono rimasto malissimo. Perché nessuno che mi guardava in faccia qui in Sri Lanka. Poi mia ragazza non mi guardava, perché sono andato via senza dire niente. Perché io pensavo andavo via e in un giorno ero in Italia. Otto mesi e poi sono rimasto malissimo. Poi a