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Il futuro (a lungo termine) e il rientro in Sri Lanka entrambi legati a grandi aspettative si scontrano quotidianamente con le esigenze del vivere in Italia. I bassi stipendi e la precarietà del lavoro rendono difficile l’obiettivo di “conservare” una parte dei guadagni per la realizzazione dei progetti in Sri Lanka. È possibile dividere le spese del vivere in Italia in spese per il vivere quotidiano e in spese per i beni (che si è soliti definire) di consumo. In realtà ci sarebbe anche un terzo tipo di spesa, che qui non viene analizzata, ma che è spesso ricordata dai migranti. È la spesa per i documenti da migrante, per il loro rinnovo del permesso di soggiorno, per tutte quelle pratiche di (ri)regolarizzazione dello status. Queste sono sia dirette che indirette, dato che alle imposte vanno spesso aggiunte le tariffe di avvocati e/o agenzie per la risoluzione dei problemi.

Spese quotidiane

I migranti, quando parlano del loro vivere in Italia, sottolineano spesso l’elevato costo della vita. Il peso delle spese quotidiane è particolarmente avvertito poiché viene messo in relazione al vivere in Sri Lanka, dove il migrante non doveva sostenere certi tipi di spesa o le spese erano relativamente inferiori. Viene sottolineato l’eccessivo costo degli affitti e delle spese per le bollette: acqua, luce, gas. Alle spese per l’alloggio, vengono poi aggiunte quelle

per il vivere quotidiano, relative soprattutto al mangiare. E così per un gran numero di migranti sottratte tutte le spese necessarie, cioè non evitabili in alcun modo, ciò che resta dallo stipendio a fine mese è davvero poco.

A fronte di un costo della vita elevato è possibile riscontrare nelle condotte dei migranti diverse strategie di risparmio. Tra questi ci sono la coabitazione con propri connazionali, l’attenzione nelle spese o nello shopping “ordinario” e la riduzione delle spese “extra” legate soprattutto alle uscite e ai divertimenti.

La coabitazione ha diverse ragioni. Talvolta, come si è mostrato nei capitoli precedenti, la coabitazione può anche essere letta sia come un aiuto legato a vincoli di parentela e amicizia e sia come necessità, soprattutto nel periodo dell’arrivo in Italia e per tutti coloro che si trovano in condizione di irregolarità. Tendenzialmente le motivazioni economiche sono quelle che incidono maggiormente. Le esigenze di risparmio di chi possiede il contratto di affitto si incontrano con le necessità di chi ha difficoltà a firmarne uno. Le ragioni economiche hanno un peso determinante nella decisione della convivenza, ma la convivenza può originare anche situazioni difficili e potenzialmente conflittuali. Eric (sulla trentina) mette in luce le difficoltà della convivenza sostenendo di aver dovuto cambiare appartamento più volte proprio a causa dei problemi del vivere assieme ad altri connazionali. Durante i mesi di ricerca, in una delle case in cui ho abitato, un migrante srilankese si è trovato a vivere per un mese in un piccolo salotto nel quale la privacy praticamente non esisteva, pagando un affitto di 125 euro. Sulla convivenza (più o meno forzata) tra connazionali e sulle possibili conseguenze negative circolano inoltre storie di famiglie rovinate, con unioni nate tra la moglie e il connazionale che la famiglia si era preso in casa. Altre storie riguardano quelle di furti tra connazionali che pur non conoscendosi bene si sono ritrovati per necessità a condividere lo stesso appartamento, ma anche tra amici con la conseguente fine del rapporto di amicizia. La coabitazione è dunque qualcosa di difficile, che presenta spesso condizioni poco confortevoli e che può essere anche rischiosa per gli equilibri dei singoli e delle famiglie. È un peso che si è costretti ad affrontare o che si affronta per lo più per motivazioni economiche.

I migranti mostrano una tendenza al risparmio anche negli acquisti per il vivere quotidiano. Questo non significa che comprino poco ma piuttosto che tendono a preferire prodotti economici. Tendenzialmente i migranti mostrano un’ottima conoscenza dei diversi tipi di supermercati, dei prodotti che offrono e dei loro prezzi e tendono a preferire i supermercati più economici anche se lontani. È abbastanza comune tra le famiglie migranti il fare la spesa nel fine settimana, spesa che concentra quasi tutte le esigenza della settimana.

Le spesa “extra” legate ai divertimenti, alle uscite a ristornate, alle serate con amici costituiscono un altro ambito nel quale è possibile riscontrare un atteggiamento teso al risparmio, il che non significa che queste spese siano ridotte a zero, ma sono tenute sotto controllo. Una famiglia rientrata da qualche anno in Sri Lanka sostiene di non esser riuscita a risparmiare più di tanto in Italia, perché ha vissuto più come una famiglia italiana, “noi sempre ristorante come italiani”, piuttosto che secondo il modello di comportamento attento alle spese e quindi al risparmio di una famiglia srilankese, “alcuni fanno proprio conti su tutto”.

Daniel Miller (1998; trad. it. 1998) ha offerto un’interessante analisi dello shopping. Attraverso un’etnografia dei consumi delle famiglie londinesi in supermercati ha proposto una teoria dello shopping letta in analogia al rito del sacrificio. All’interno di questa teoria il risparmio, la parsimonia (dei consumatori) occupa un ruolo di rilievo ed è considerato l’elemento che trasforma lo shopping in rituale. Il risparmio dunque ha un senso, un valore sociale, che va al di là dell’immediato risparmio di denaro. L’analisi di Miller può aiutare la lettura e l’analisi di questa tendenza al risparmio dei migranti e di tutti quei comportamenti in cui si riscontra questa tendenza. Le pratiche attraverso il risparmio diventano dei rituali che racchiudono un senso sociale. Il risparmio viene vissuto e percepito come il corretto comportamento da migrante e la forza normativa di questa condotta è evidente nelle considerazioni negative sulle spese eccessive dei giovani, sull’incapacità di alcuni di gestire i soldi e risparmiare per fare qualcosa, fatte da chi in Sri Lanka, attraverso la migrazione e un certo comportamento (di risparmio), ha raggiunto degli obiettivi (casa, macchina, negozio, ecc.) o di chi, ancora in Italia, li vuole raggiungere.

Le condotte del risparmio in Italia sono spesso legate e vissute in connessione con il progetto migratorio. Le parole di Miller sono particolarmente indicative per la comprensione di questo legame

La parsimonia è quindi strumentale nel creare la coscienza generica che vi è qualche traguardo più importante di una gratificazione immediata, che esiste qualche forza trascendente o proposito futuro che giustifica il fatto che nel presente certe spese vengono rimandate. Se non si crede in qualche forma di divinità, il risparmio trascende la situazione particolari e sale a un livello superiore, che evoca qualche cosa al di sopra e oltre la loro immediatezza. (Miller, 1998; trad. it. 1998: 138)

La parsimonia diventa il sacrificio offerto all’oggetto di devozione, in questo caso, offerto alla costruzione del futuro, del ritorno in Sri Lanka, offerto al progetto. Attraverso la

ripetizione del risparmio, attraverso il rituale, il progetto viene continuamente mantenuto in vita, riproposto all’ordine del giorno.

Non esistono però solo oggetti di devozione (il progetto), ma sostiene Miller, ci sono anche soggetti di devozione per i quali si fanno sacrifici. Miller individua l’amore come componente importante nell’analisi dei consumi e del risparmio inerente ai consumi.

La parsimonia non è solo un’estetica, ma una estetica che ha una forma particolare, che parte da un principio che potrebbe essere definito centripeto (in quanto opposto al centrifugo). È il tentativo di trattenere le risorse all’interno della famiglia. Come forza fisica caratteristica del mondo, esso fa in modo da attrarre le cose verso l’interno e impedisce che fuggano via. Perciò la parsimonia fa parte di una estetica centripeta più generale, che tende a trattenere il nucleo del mondo familiare. (Miller, 1998; trad. it. 1998: 138).

La famiglia migrante e i suoi membri diventano i soggetti verso cui è dedicato il risparmio e per il benessere dei quali il risparmio assume un valore. Il progetto, la costruzione del futuro che il rituale del risparmio rende possibile, non a caso è considerato in funzione del benessere della famiglia e soprattutto dei figli ai quali si vuole donare un futuro migliore. In linea con queste considerazioni, rientrano le ammissioni di sperpero, di spesa eccessiva in relazione al periodo precedente il matrimonio da parte dei giovani sposati che dichiarano spesso di essere stati attratti nei primi anni della migrazione dalla libertà di uscire e di spendere, concessa dalla lontananza dalla famiglia. Il matrimonio segna un cambiamento decisivo nelle modalità delle spese e nella percezione delle spese. I comportamenti delle ragazze sia in Sri Lanka, sia in terra d’immigrazione sono differenti rispetto a quelli maschili. Le uscite per il divertimento, soprattutto quelle fuori di casa, sono socialmente condannate per le ragazze. La casa secondo l’ottica dei migranti srilankesi è luogo femminile per eccellenza e luogo dal quale per le ragazze sarebbe meglio non allontanarsi troppo. Nulla toglie comunque, (anche se qui non è stato indagato), che anche le ragazze possano presentare a seguito del matrimonio un cambiamenti nelle modalità delle spese e una maggiore tendenza al risparmio.

Se il risparmio è il comportamento giusto e idoneo per il migrante e il risparmio possiede un senso che va al di là dell’immediato risparmio di denaro, un qualsiasi errore che implica una perdita di denaro diventa uno spreco a cui si accompagna un senso di colpa. Tra gli errori possono rientrare un incidente stradale, una multa, una spesa eccessiva causata dalla cattiva comprensione dei termini di un contratto (di affitto, della linea telefonica o della connessione internet, dell’assicurazione, ecc.). Tutti questi errori sono qualcosa di più di una perdita di denaro, sono un danno apportato al benessere della famiglia e un rallentamento verso la

migratorio è infatti un processo che si costruisce nel tempo. Non è un caso che i costi dell’errore vengano letti in termini di salari, di mesi, di tempo, “tre mesi di lavoro andati”. L’errore cancella il tempo passato della migrazione (i tre mesi sono andati perduti) e allunga il tempo della migrazione poiché allontano il ritorno. Se il risparmio è il sacrificio per qualcosa di trascendente, l’errore può diventare il peccato e come ogni peccato origina il senso di colpa.

Beni di consumo

Il miracolato dei consumi mette in mostra tutto un dispositivo di oggetti-simulacri, di segni caratteristici di felicità, e poi attende (disperatamente direbbe un moralista) che la felicità vi si posi. (Baudrillard, 1974; trad. it. 2008:11).

I migranti sono consumatori e in questo, (se non nelle possibilità), poco si differenziano dal resto della popolazione della società di arrivo. I loro acquisti mostrano un interesse spiccato verso la tecnologia e tutte le innovazione nel campo della comunicazione. I migranti comprano e spendono per cellulari, computer, televisioni, lettori dvd, canali satellitari, ecc. Ma non solo, ri-comprano e ri-spendono attratti dalla novità che è l’anima e il motore del commercio della tecnologia e della moda. Le spese per la comunicazione sono ingenti, con le connessioni internet e l’enorme traffico telefonico, e utili per mantenere contatti costanti con lo Sri Lanka. Nei momenti di stabilità economica la macchina diventa un investimento attraente. È il simbolo del buon esito della migrazione ed è utile per il quotidiano. Molti migranti sostengono che la disponibilità dell’automobile sia una discriminante usata dai datori di lavoro per l’assunzione. Ma la macchina possiede anche un elevato valore simbolico e differenziale. Più questa diventa a portata di un gran numero di migranti, più cresce d’importanza la differenziazione nell’acquisto, il valore del prestigio veicolato dal tipo di auto. Dunque maggiore è il prestigio della macchina, (nuova piuttosto che usata, modello nuovo, macchina grande, ecc.), maggiore appare il successo della migrazione.

Il fascino della marca, accuratamente creato dalla pubblicità, colpisce anche i migranti che spesso vestono capi firmati e costosi. E poi c’è l’oro. I migranti srilankesi, sia uomini che donne, comprano gioielli (collane, bracciali, orecchini) che indossano soprattutto nelle occasioni di incontro, delle feste tra srilankesi in Italia, ma anche nei ritorni temporanei in Sri Lanka alimentando il pensiero diffuso nella società di partenza che lega assieme migrazione e ricchezza.

Le considerazioni e le analisi sul consumismo migrante rischiano di cadere in diversi errori. Tra questi rientra una possibile lettura degli acquisti dei beni di consumo in termini di pratiche contrarie all’intero progetto migratorio, quello del guadagno in vista di un ritorno di successo. Inoltre queste pratiche potrebbero essere viste come contraddittorie rispetto alla maggiormente comprensibile logica del risparmio. I beni di consumo potrebbero poi venir considerati come superflui e le pratiche consumistiche dei migranti come irrazionali rispetto all’obiettivo. Queste considerazioni possibili rientrano all’interno di un presupposto di analisi delle pratiche sociali che qui viene respinto e cioè quello dell’analisi in termini di razionalità (assoluta), come se le pratiche sociali fossero il risultato di calcoli di soggetti individuali, coscienti e razionali intenti esclusivamente alla massimizzazione dell’utile (economico) e guidati unicamente, per utilizzare un’espressione di Bourdieu, dalla logica della logica, di soggetti capaci di finalizzare l’intera condotta di vita all’obiettivo principale, che rimane quello legato al guadagno e al ritorno, annullando tutto il resto. La logica del risparmio, inoltre, lungi dall’essere in contraddizione con gli acquisti dei beni di consumo, potrebbe essere considerata valida anche per questi acquisti particolari. I migranti non a caso mostrano soprattutto rispetto alla tecnologia un’attenzione particolare alle occasioni e alle offerte; in casa loro non mancano mai i giornali pubblicitari degli ipermercati con le relative offerte.

Per comprendere a pieno i comportamenti relativi ai beni di consumo e per non cadere nella retorica del superfluo e dell’irrazionale, occorre rivolgersi alla relazione tra l’individuo e il contesto sociale, (o i diversi contesti sociali), nei quali l’attore sociale è immerso e all’interno dei quali i comportamenti individuali possono trarre significato e potenzialità. In questa ottica il consumismo migrante assume una ragione pratica che è in linea con la logica che sottende l’intero percorso migratorio – quello dell’ascesa sociale e del miglioramento delle proprie condizioni di vita – e i beni di consumo mostrano di essere qualcosa di diverso rispetto al superfluo e al non-necessario. I comportamenti di consumo in Italia sono il prodotto di un habitus che potrebbe essere definito consumistico e che si è costituito non nella società di destinazione ma piuttosto in quella di partenza. La migrazione è volontà di un miglioramento delle condizioni di vita e quindi un tentativo di ascesa sociale attraverso la realizzazione di desideri globali, tra i quali vi sono non solo la costruzione di una casa, ma la costruzione di una certa casa, cioè grande, moderna e lussuosa; c’è non solo la volontà di comprare un mezzo di trasporto, ma una macchina o un motore che siano nuovi, belli e di prestigio. All’interno delle società dei consumi gli oggetti non possiedono solo un valore d’uso ma anche, se non soprattutto, un valore simbolico. Gli oggetti differenziano i soggetti

descritto soprattutto nelle analisi di Bourdieu (1979, trad. it. 1983) e di Baudrillard (1974, trad. it. 2008), che qui si segue – è profondamente stratificato e l’impossibilità di partecipare al gioco degli oggetti diventa marginalità sociale.

Gli oggetti all’interno della società dei consumi impongono un ripensamento del concetto di bisogno, di necessario e di superfluo. Non esiste un valore d’uso puro, come non esistono bisogni naturali, che non abbiano ragioni sociali e che siano privi di un rivestimento culturale. Gli oggetti di consumo sono qualcosa di diverso dal superfluo, veicolano senso sociale, diventano indicatori di status, il loro possesso significa l’essenza sociale dell’individuo e la posizione sociale del singolo rispetto agli altri. Il loro possesso aumenta d’importanza per la definizione sociale di un singolo che non può giocare in altri campi prestigiosi dello spazio sociale, quale quelli dei titoli, della cultura, del sapere e del prestigio della professione. Il possesso distingue e differenzia, ma ciò non significa che i soggetti acquistino per differenziarsi. La logica della differenziazione, come sottolineano Bourdieu e Baudrillard nelle loro rispettive analisi, non è una logica delle semplici determinazioni coscienti di prestigio. Si propone di seguito una lunga citazione di Baudrillard in cui si chiarisce la relazione tra soggetto e struttura sociale per quel che riguarda i comportamenti di consumo.

Questo processo di differenziazione di status che è un processo sociale fondamentale, per cui ciascuno si inscrive nella società, ha un aspetto vissuto e un aspetto strutturale, l’uno conscio l’altro inconscio, l’uno etico (è la morale dello standing, della competizione di status, della scala di prestigio), l’altro strutturale: è riscrizione permanente in un codice le cui regole, le cui esigenze di significazione – come quelle del linguaggio – sfuggono per l’essenziale agli individui.

Il consumatore vive tutto ciò come libertà, come aspirazione, come scelta delle sue condotte distintive, non lo vive come costrizione di differenziazione e di obbedienza a un codice. Differenziarsi è sempre nello stesso tempo instaurare l’ordine delle differenze, che è fin dal principio il fatto della società totale e supera ineluttabilmente l’individuo. Ciascun individuo, segnando dei punti nell’ordine delle differenze, per ciò stesso lo ricostruisce e lo condanna di per se stesso a non esservi mai iscritto se non relativamente. Ciascun individuo vive i suoi guadagni differenziali come guadagni assoluti, egli non vive la costrizione strutturale che fa sì che le posizioni si scambino e che rimanga invece l’ordine delle differenze. (Baudrillard, 1974; trad. it. 2008: 54)

L’Italia è il luogo in cui i desideri del possesso degli oggetti di consumo possono realizzarsi. Questi desideri sono legati ad un habitus consumistico e sono socializzati in una società dove la migrazione, soprattutto quella di ritorno, li alimenta e fa pesare in maniera massiccia l’impossibilità di realizzarli. In Italia una volta trovato un lavoro (più o meno) stabile, la realizzazione dei desideri sono più facili: l’acquisto di una macchina diventa accessibili e non più un’impresa dalle enormi difficoltà; l’acquisto di un qualsiasi bene

tecnologico non significa più il sacrificio dell’intero stipendio o di una parte molto prossima all’intero. Dal punto di vista del migrante, poi, l’Italia, un Paese del cosiddetto Primo Mondo, offre maggiore varietà di scelta in tutti i settori di consumo rispetto a diverse zone dello Sri Lanka dove l’economia del consumo gira a un ritmo minore e offre quindi meno. L’apporto dei consumi dei migranti all’economia italiana non viene quasi mai considerata. L’attenzione è spesso centrata al contrario sulle rimesse, soldi che fuggono dall’Italia, ma che risultano in realtà per lunghi periodi della vita migrante, un’esigua fetta del salario conservata a fatica. Dunque se tra le ragioni della migrazioni rientra il miglioramento delle proprie condizioni di vita anche attraverso la conquista delle possibilità dell’acquisto dei beni di consumo (e di tutto il loro senso sociale), il consumismo migrante piuttosto che irrazionale va considerato come ragionevole e in linea con l’esperienza migratoria.

La logica della differenziazione di status attraverso il consumo è una logica della concorrenza, in cui gli individui sono in gara (più o meno cosciente) gli uni contro gli altri.

Gli eroi del consumismo sono stanchi. Sul piano psicologico si possono avanzare diverse interpretazioni. Invece di pareggiare le possibilità e di placare la competizione sociale (economica, di status), il processo di consumo rende più violenta, più acuta, la concorrenza sotto tutte le sue forme. Con il consumismo, siamo infine solamente in una società generalizzata, totalitaria, che opera a tutti i livelli, economici, del sapere, del desiderio, del corpo, dei segni e delle pulsioni, tutte cose ormai prodotte come valore di scambio in un processo incessante di differenziazione e di super-differenziazione. ( Baudrillard, 1974; trad. it. 2008: 222)

Nel caso dei migranti, la cui vita si svolge in uno spazio sociale intriso di relazioni tra connazionali e in uno spazio sociale globale che marchia in ogni ambito della vita la differenza cittadini/stranieri, la concorrenza si esaspera tra connazionali. È una concorrenza che emerge in tutti i discorsi che denunciano l’invidia, la gelosia e l’egoismo dei connazionali. Queste considerazioni rendono ancora più comprensibile e ragionevoli gli acquisti dei beni di consumo dei migranti. Se è vero che lo status che conta è quello in Sri