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Gerarchie globali e stratificazione sociale

Sostiene Bauman (1998, trad. it. 2007: 4): “la mobilità assurge al rango più elevato tra i valori che danno prestigio e la stessa libertà di movimento, da sempre una merce scarsa e distribuita in maniera ineguale, diventa il principale fattore di stratificazione sociale dei nostri tempi”. Se si vuole analizzare il movimento è alle gerarchie e alle disuguaglianze che bisogna guardare, e in particolare a quelle esistenti tra i paesi del globo e di quelle esistenti all’interno dei singoli paesi.

La mobilità umana bloccata, o governata in maniera restrittiva, è quella che si muove dal Sud al Nord del mondo, dai paesi cosiddetti in via di sviluppo a quelli a sviluppo avanzato. La prima gerarchia è quella grossolana di un Sud (debole) e un Nord (forte) del mondo, polarizzazione che nell’epoca della globalizzazione ripropone quella antica dei colonialismi con forme differenti che piuttosto che tendere ad un’omogeneizzazione delle possibilità al contrario (e contraddicendo tutte le retoriche e i discorsi ufficiali), amplificano le differenze attraverso meccanismi e processi economici e politici che riproducono posizioni di potere. A partire dagli anni Ottanta del XX secolo, periodo nel quale la globalizzazione ha registrato una forte accelerazione, le disuguaglianze internazionali e nazionali sono infatti aumentate, mettendo in luce che proprio “la polarizzazione delle condizioni di vita, in effetti, sembra essere l’effetto più comune della globalizzazione” (Gallino, 2000: 103). I cittadini dei cosiddetti paesi a sviluppo avanzato oltre a beneficiare di condizioni di vita migliori hanno la libertà di muoversi e di far muovere le loro produzioni e i loro capitali per il mondo, sono, per usare un’espressione di Bauman, globali. Dall’altra parte una grande porzione dei cittadini dei paesi in via di sviluppo è bloccata. Questi cittadini sono costretti a rimanere locali, nonostante la volontà di movimento.

La divisione tra un mondo ricco e potente, il Nord del mondo e i suoi cittadini liberi di muoversi ovunque da una parte e dall’altra un Sud del mondo povero e i suoi cittadini bloccati dai confini per quando evidenzi in maniera inequivocabile gli enormi squilibri che caratterizzano il mondo contemporaneo risulta troppo semplicistica. Fornisce al più un quadro di riferimento che però va ulteriormente analizzato. L’omogeneità interna delle due parti và limitata, l’omogeneità sociale all’interno dei diversi paesi va rifiutata. Al contrario vanno analizzate le differenti forme di disuguaglianza a diversi livelli.

Il Nord del mondo è costituito da paesi che occupano posizioni differenti all’interno della gerarchia globale, che hanno poteri politici ed economici differenti e che esercitano un potere d’attrazione differente. Gli Stati Uniti vengono solitamente riconosciuti come la capitale dell’Impero, il luogo delle decisioni e delle regole, i difensori a qualsiasi prezzo e con qualsiasi mezzo della pace, dell’ordine globale e della democrazia. Ma gli Stati Uniti sono anche un esempio particolarmente illustrativo delle differenze interne, della stratificazione sociale, della disuguaglianza sociale e delle annesse conseguenze, che incidono in maniera estremamente negativa sul benessere sociale e psicologico dei suoi abitanti (Wilkinson e Pickett, 2009, trad. it. 2009). Tra i globali (non solo negli Stati Uniti, naturalmente), quindi, c’è anche una grossa quantità di locali, coloro che non solo non possono cercare fortuna altrove (e dove?), ma che sono confinati alle periferie, ai quartieri pericolosi, alle segregazioni

che dividono le città del comando, dove ricchi e poveri non devono vedersi, incontrarsi, interagire (cfr. Bauman, 2006, trad. it. 2007). Per questi ultimi, la mobilità fisica e sociale fa problema. Sono coloro che più di altri sperimentano la precarietà del lavoro, che pagano le gerarchie della privatizzazione e che sono rinchiusi in spazi (quartieri, zone) nei quali non si vuole entrare o si ha paura di entrare. Siano essi cittadini con il passaporto giusto, e ancor di più siano essi stranieri o migranti.

Il Sud del mondo per altro non è omogeneo e presenta zone estremamente differenziate per quel che riguarda le condizioni politiche ed economiche dei Paesi e quindi la qualità di vita che questi offrono ai loro abitanti. Queste differenze e disuguaglianze interna al Sud del mondo sono la spinta alla frenetica mobilità del capitale e le ragioni dello spostamento da un paese ad un altro degli investimenti dei dominanti sono questione di punti di vista o di retoriche: un aiuto allo sviluppo economico e tecnologico dove è maggiormente necessario o uno sfruttamento dove le condizioni sono maggiormente favorevoli.

Tra la popolazione del Sud del mondo la stratificazione socio-economica è ugualmente, se non più, incisiva rispetto al Nord del mondo. Tra i tanti locali, ci sono così anche una serie più o meno ristretta di globali, che possono muoversi senza tutte le difficoltà che al contrario incontra la maggioranza della popolazione.

Il flusso Sri Lanka-Italia, esempio di migrazione dal Sud al Nord del mondo rientra all’interno di una gerarchia delle destinazioni che stringe la mano ad una stratificazione sociale interna. I flussi migratori che partono dallo Sri Lanka sono diversi e rappresentano strategie differenti per persone differenti. Tenendo, infatti, costante il punto di partenza, lo Sri Lanka e in particolare la costa occidentale dell’Isola, cambiando le mete della migrazione, cambiano non solo gli attori sociali ma anche le strategie e le traiettorie di vita di coloro che intraprendono la migrazione. Detta in altri termini esistono ragioni sociali specifiche per le differenti migrazioni ed esistono ragioni sociali che spingono i diversi attori sociali ad entrare in un flusso piuttosto che in un altro, o a restarne fuori. Per quel che riguarda i paesi si propone qui una gerarchia delle destinazioni, più che una gerarchia dei paesi, che riguarda le mete di maggiore interesse nel contesto oggetto di analisi: paesi a lingua inglese (Gran Bretagna, Stati Uniti, Canada e Australia), Italia e Medio Oriente. Altre mete al momento hanno minor impatto, ma vanno menzionate. Il Giappone a Wennapuwa sta diventando sempre più una meta desiderabile. Ugualmente presenti sono Hong Kong, la Malesia e le Maldive, meta quest’ultima dove il settore turistico richiama numerosi lavoratori, anche a causa del blocco del turismo nelle parti dello Sri Lanka insanguinate dalla guerra civile.

Durante il periodo di ricerca mi sono imbattuto in una famiglia di Wennapuwa legata, come destinazione migratoria, ad Israele.

Le tre destinazioni principali attraggono persone legate a condizioni e posizioni socio- economiche differenti. In questo caso, però va subito precisato che le categorie sociali che emergeranno sono sfumate. Si eviterà dunque di parlare di classi sociali rigide. La ragione che si scontra con le distinzioni rigide è insita nell’oggetto d’analisi stessa, nelle migrazioni. Per quanto si ricercano i condizionamenti socio-economici che spingono determinati agenti sociali verso specifiche strategie migratorie, non si devono dimenticare né il carattere sovversivo che acquista spesso la migrazione, ne che la dimensione dell’informale caratterizza numerosi flussi migratori, e in particolar modo la migrazione verso l’Italia. Queste caratteristiche rendono le regole del gioco più flessibili, senza cancellarle del tutto. C’è qualcuno che riesce a conquistarsi la migrazione al di là delle proprie limitate possibilità e ciò significa che è possibile sovvertire il legame che unisce una destinazione a particolari condizioni socio-economiche di partenza. Questa visione, che ricorda come le migrazioni riescano ad andare al di là delle regolamentazioni e del controllo non deve però far dimenticare quanto siano forti i condizionamenti che gli stessi flussi e le vite migranti subiscono, sia nei paesi di partenza sia in quelli di destinazione.

L’Italia è in questo contesto un flusso particolare, con un prezzo e dei requisiti particolari, che attira una larga fetta della popolazione della costa occidentale srilankese. Si vuole ora definire questo flusso particolare e le strategie di coloro che partono per l’Italia o vorrebbero farlo in riferimento alle altre possibili mete: detto in altri termini c’è qualcuno che sfugge alla migrazione verso l’Italia dall’alto (inteso socialmente) e qualcuno dal basso (sempre inteso socialmente).

L’Occidente inglese

Il concetto di neo-colonialismo proposto dalla letteratura per leggere i rapporti tra paesi ex- colonizzatori ed ex-colonizzati ha lo scopo di porre in evidenza il persistere di relazioni di potere, che pur non essendo più caratterizzate dal controllo diretto, sono relazioni segnate da disuguaglianze economiche e da una violenza simbolica che si concretizza nella percezione degli ex-colonizzatori come un modello di sviluppo da raggiungere. “Le ferrovie sono ancora quelle fatte dagli inglesi” è facile sentirsi dire in Sri Lanka quando si chiede a migranti o aspiranti tali la loro visione del colonialismo, anche se, naturalmente, non tutti hanno gli stessi pensieri/interpretazioni a proposito del passato. Il discorso che lega civilizzazione e

colonialismo ha probabilmente proprio nelle ferrovie uno dei suoi maggiori emblemi ed è riprodotto anche dagli abitanti delle ex-colonie. I problemi politici ed economici che lo Sri Lanka come altri paesi sorti dalle ceneri della colonizzazione ha sperimentato nella fase di decolonizzazione e sperimenta tutt’ora nell’Indipendenza giocano a favore di questo discorso. È una memoria selettiva della colonizzazione che valorizza il progresso e lo sviluppo e tiene nascosti i costi (ingenti) della colonizzazione e l’apporto della colonizzazione al (sotto)sviluppo odierno. Il discorso odierno della necessità dello sviluppo sul modello occidentale tende inoltre ad occultare anche il fatto che tanto in passato, al tempo della colonizzazione, quanto nel presente della globalizzazione il rapido arricchimento di alcuni paesi e il rapido impoverimento di altri siano profondamente interconnessi. L’Inghilterra e gli altri paesi dell’Occidente a lingua inglese, non a caso dunque, sono i paesi che nelle ex- colonie possiedono il maggior valore simbolico, restano il modello per eccellenza della modernizzazione e dello sviluppo e risultano il luogo dove si vorrebbe andare a cercare fortuna. A sorreggere e riprodurre questo fascino/egemonia simbolica oltre che a motivazione di ordine economico ci sono anche ragioni culturali, su tutte la lingua inglese e il valore dei titoli scolastici delle scuole ed università di questi paesi. L’inglese, in Sri Lanka, come in altre zone del colonialismo britannico, è diventata lingua del potere, dell’economia, della cultura alta. Al tempo del colonialismo perché gli spazi del potere erano occupati da coloro che parlavano inglese, al tempo della globalizzazione perché lo richiede l’inserimento nel contesto globale: l’inglese è la lingua franca dell’epoca contemporanea. Una genealogia della sua diffusione come lingua globale, ancora una volta metterebbe in luce rapporti di forza, violenza (del colonialismo), che si nascondono dietro alla diffusione di uno strumento, la lingua inglese, che oggi teoricamente dovrebbe essere lingua di comunicazione ed interazione universale. Il prestigio dei titoli acquisiti in scuole internazionali e private anglosassoni in Sri Lanka, o direttamente, quando possibile, nelle università di questi paesi, possiedono un elevato valore all’interno del mercato del lavoro srilankese. Lingua inglese e titoli nelle quotate università straniere sono strumenti che aprono al mondo, all’universalismo, ma d’altra parte sono anche strumenti di discriminazione, di disuguaglianza sociale, sia localmente che a livello globale.

Quanto detto sinora trova conferma nella gerarchia delle destinazioni che Mark (ventidue anni) mi propone davanti alla cartina geografica del mondo: l’Italia viene dopo tutti i paesi a lingua inglese, che secondo Mark sono i leader del mondo, e prima del Medio Oriente. La priorità che Mark concede all’Inghilterra, agli Stati Uniti, al Canada e all’Australia si scontra

quanto riguarda l’immediato futuro. Le ragioni di questa impossibilità si chiamano immigrazione selettiva. Questi paesi sono a caccia di cervelli (Legrain, 2007, trad. it. 2008). Sono in cerca di giovani, poiché esiste un limite superiore all’età per poter entrare; in cerca di persone che parlino inglese, poiché pongono come requisito il possesso di certificazioni linguistiche; in cerca di professionisti di alto livello, poiché servono persone creative, intraprendenti che sappiano produrre innovazione tecnologica e scientifica e al più sviluppare sinergie e connessioni con i paesi di origine, dove conviene per le aziende dei paesi leader espandersi e ramificarsi sia per produrre che per vendere. Questi paesi sono disponibili ad aprire le frontiere anche per cervelli da formare, a studenti universitari sempre che dimostrino, prima di partire e di ottenere il visto di ingresso, di possedere il denaro necessario per coprire le spese delle tasse universitarie, dell’alloggio, delle spese quotidiane (che gentilmente l’università calcola a livello approssimativo per i propri futuri studenti stranieri), mostrando il conto in banca della propria famiglia1. Agli studenti stranieri è poi concessa la possibilità di lavori part-time, soggetti a limitazioni nell’orario. I soldi per studiare e per vivere servono quindi prima di arrivare. Questi stati nella corsa per accaparrarsi i cervelli fanno affidamento sulla forza e la vivacità della loro economie e sulla loro leadership globale. Per accaparrarsi gli studenti, sul prestigio delle loro università, stilato e codificato in classifiche internazionali.

Le regole dell’immigrazione, che attribuiscono dei punteggi ai richiedenti il diritto di immigrare e in base a questi li selezionano, mettono in luce i criteri della stratificazione sociale delle società complesse, legata al possesso del capitale culturale e del capitale economico che convergono nel prestigio della posizione all’interno del mercato del lavoro. Questi criteri della stratificazione sociale, non hanno a che fare esclusivamente con il prestigio, ma anche con i diritti, dato che incidono sulla possibilità o impossibilità di poter attraversare i confini. Inoltre i criteri della selezione mettono in luce, come i due capitali (culturale ed economico) siano strettamente connessi, il capitale culturale che i titoli prestigiosi delle università straniere permette di incrementare è di fatto vincolato al capitale economico della famiglia e i titoli permettono poi un lavoro prestigioso, e quindi di accrescere capitale economico, sia all’estero che all’interno del Paese di origine. Mark è giovane, ma, pur parlando un inglese fluente, non ha certificazioni linguistiche che hanno un loro prezzo, in termini temporali e soprattutto economici. Ha il diploma di A/L ma senza i voti necessari per

1 Nel corso della ricerca ho trascorso un periodo di studio presso la Keele University (UK). Qui ho avuto la

possibilità di incontrare numerosi studenti srilankesi e di discutere con alcuni di loro sulle modalità della loro immigrazione.

entrare all’università in Sri Lanka. Non rientra dunque all’interno della categoria dei professionisti ad alto livello e neppure degli aspiranti studenti. Le condizioni economiche della sua famiglia lo costringono a cercare lavoro e nelle sue condizioni è impossibile farlo nei paesi a lingua inglese dove comunque non avrebbe neppure un conto in banca sufficiente per arrivarci come studente.

Le destinazioni privilegiate, quella dei paesi a lingua inglese hanno dei requisiti altamente selettivi che tagliano fuori gran parte della popolazione srilankese. La fetta della popolazione che si muove verso queste destinazioni è composta soprattutto da coloro che occupano posizioni privilegiate, al di sopra della maggioranza della popolazione, e questo tanto per quel che riguarda il capitale economico, tanto per il capitale culturale. La loro strategia migratoria rientra all’interno di una logica di ascesa sociale segnata dalla continuità e tesa alla conquista di obbiettivi e posizioni sempre più elevate. Questo significa che le conquiste degli obiettivi non passano per discese sociali, come nel caso della migrazione verso l’Italia che ha altre caratteristiche e che, dalla prospettiva del migrante, è guidata da altre logiche sociali. Ciò, di certo, non significa che per i migranti che partono verso i paesi di lingua inglese sia tutto facile, che il successo sia assicurato. La contemporaneità presenta insidie, rischi e un terreno fluido ed instabile per chiunque. Le loro strategie seguono però una logica che punta costantemente verso l’alto. Se è un professionista a muoversi, lo spostamento per un medesimo lavoro significa un incremento economico, dato che il differenziale salariale, anche ad alto livello è estremamente elevato. Se è uno studente, sorretto da una famiglia economicamente forte, acquisirà un titolo che gli permetterà o di cercare un proprio spazio nella competitiva realtà dell’Occidente ricco, o di tornare con elevate credenziali che gli permetteranno (almeno in teoria) un lavoro di prestigio, e tendenzialmente economicamente al di sopra della media. Per questi migranti, che è possibile definire di alto livello, l’Italia è una destinazione “contro natura”, sia per quel che riguarda la formazione, sia per quel che riguarda l’attività lavorativa. I globali di Bauman, ovvero i cittadini per i quali il mondo non ha confini, parlano in inglese soprattutto nella dimensione della formazione e della professione. Studiare in Italia, per chi vive in un paese in cui l’inglese occupa un ruolo così importante come in Sri Lanka apparirebbe una scelta poco produttiva. A questa considerazione si aggiungono le motivazione legate al diverso livello di prestigio delle università italiane, non certo alla pari con le più quotate università anglosassoni. Anche i professionisti stranieri con elevate specializzazioni non guardano all’Italia, dove la lingua risulta un ostacolo. Probabilmente l’Italia stessa risulta meno invitante per quel che riguarda

con il problema di tanto in tanto rilanciato a livello di discorso pubblico e mediatico della

fuga dei cervelli in Italia, (piuttosto che della loro caccia). Questi migranti che aspirano

all’Occidente inglese, fuggono dall’alto la migrazione verso l’Italia, la cui politica migratoria ha altri obiettivi e altre conseguenze sui migranti, sul loro modo di arrivare e di rimanerci.

Destinazione Italia

Se le politiche dell’immigrazione nei paesi dell’Occidente inglese sono per lo più guidate dalla logica della selezione verso l’alto, cioè di un’immigrazione altamente qualificata, le logiche che guidano l’immigrazione in Italia sembrano più indirizzata alla ricerca di braccia per tutti quei lavori che gli italiani, come si è soliti sostenere, non vogliono più fare e che hanno assunto l’etichetta di lavori per migranti. Se l’immigrazione nei paesi a lingua inglese è fortemente strutturata e basata su criteri selettivi rigidi ed oggettivi, l’immigrazione in Italia è selettiva senza essere legata a criteri di selezione: l’età, le competenze linguistiche e professionali non fanno cioè differenza. Anzi, come si è detto, possedere elevate competenze rendono l’Italia una strategia poco conveniente, poiché queste competenze difficilmente vengono riconosciute e difficilmente concedono i benefici auspicati a chi li possiede.

Dal Lago (1999) mette in evidenza come a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, in concomitanza con una crescita rilevante dei flussi verso l’Italia e con una conseguente maggiore visibilità dei migranti sul territorio, si sia diffusa rapidamente una cultura dell’emergenza e della chiusura, condotta da una politica basata sulla logica dell’inclusione subordinata evidente nella legge 189/2002, la Bossi-Fini. Le regole che si sono susseguite in questi ultimi decenni, legando gli ingressi regolari annui a quote poco realistiche (Caritas/Migrantes 2008) se confrontate sia con le domande che arrivano dall’esterno sia con le esigenze del mercato del lavoro interno hanno favorito il proliferare di sacche di immigrazione clandestina e irregolare. L’immigrazione irregolare, negli anni, si è dimostrata funzionale all’economia sommersa italiana che ha concorso alla riproduzione di immigrazione irregolare. Si parla di inclusione subordinata, poiché questo tipo di immigrazione produce forza lavoro debole e quindi sfruttabile, “in Italia, specialmente tra gli immigrati, è enormemente diffuso il mercato del lavoro nero, non solo presso le famiglie ma anche nelle aziende, con un’ampiezza sconosciuta negli altri paesi industrializzati” (Caritas/Migrantes, 2008: 3).

Per quel che riguarda gli ingressi regolari, sparito lo sponsor con la Bossi-Fini diventa possibile entrare in Italia per motivi di studio, per ricongiungimento familiare e per lavoro.

Sono soprattutto sugli ingressi concessi per lavoro che si concentrano i desideri di chi è ancora in Sri Lanka e non può fare affidamento su parenti (coniuge, genitori e figli) in condizione di dare avvio alla richiesta di ricongiungimento, la quale è vincolata a una condizione di stabilità difficilmente raggiungibile o che risulta facile perdere. Come per i casi degli ingressi clandestini e di quelli già virtualmente irregolari poiché legati a visti temporanei, anche gli ingressi regolari rientrano all’interno di un mercato informale e privo di regolamentazione. Questo perché gli ingressi annuali concessi dagli accordi bilaterali tra Italia e Sri Lanka sono inferiori alle richieste di migrazione e soprattutto sono legati alla richiesta nominale di un datore di lavoro in Italia, senza la mediazione delle istituzioni. La mobilità verso l’Italia, in altre parole, è lasciata al libero gioco del mercato, che può alzare il prezzo a