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La migrazione è un tentativo di ascesa sociale. Il miglioramento delle proprie condizioni di vita è anche contemporaneamente un miglioramento della propria posizione sociale, poiché è all’interno di uno spazio sociale che nascono habitus, desideri, necessità e bisogni, che, piuttosto che essere assoluti, sono relativi e in relazione al contesto sociale. La migrazione verso l’Italia permette un’ascesa sociale attraverso il guadagno e l’accumulo di denaro. La conquista dello status attraverso il capitale culturale istituzionalizzato (Bourdieu, 1986) dei titoli scolastici, altro principio di differenziazione centrale delle società contemporanee e il prestigio legato al valore simbolico delle professioni ad elevata qualificazione vengono per lo più traslati sulla generazione successiva, non a caso, tendenzialmente, i migranti srilankesi mostrano di avere grandi aspettative sulle carriere scolastiche e professionali dei figli (cfr. Bartolini e Morga, 2007).

L’accumulo di capitale economico è di per sé indefinito, virtualmente illimitato, in quanto è sempre possibile accumulare di più e ciò d’altro canto può dare l’impressione che manchi sempre e ancora qualcosa per realizzare i propri obiettivi, specie quando rimangono indefiniti. L’accumulo legato alla migrazione e non ad una posizione sociale conquistata attraverso un tragitto sociale lineare, è dunque indefinito e questo fatto, unito alle difficoltà dei guadagni in Italia, rendono il progetto migratorio e il ritorno anch’essi indefiniti, incerti nei modi e soprattutto nei tempi. L’accumulo del capitale economico reso possibile dalla migrazione deve permettere un’ascesa sociale principalmente attraverso la realizzazione di tre obiettivi: la casa, un’attività indipendente e uno standard di vita definito dalla possibilità dell’acquisto dei beni di consumo. Quest’ultimo obiettivo verrà affrontato in relazione alle spese e ai consumi in Italia, poiché contraddistingue l’intero percorso migratorio e non solo il ritorno e il pensiero del futuro.

Ciò che ora si vuol mettere in evidenza sono le grandi aspettative legate agli investimenti in Sri Lanka, le difficoltà nel realizzarle e le relative conseguenze sul percorso migratorio.

La casa

A Wennapuwa e dintorni la casa ha assunto un elevato valore simbolico ed è il segno per eccellenza di una migrazione riuscita. È spesso il primo obiettivo da realizzare con la migrazione. Le case costruite dai migranti precedenti, le cosiddette Italian Houses (cfr. capitolo 1), le lussuose case che occupano le vie delle città costiere della migrazione verso l’Italia fungono da modello per i migranti. Sono case che si distinguono da quelle costruite prima che si sviluppasse la migrazione verso l’Italia per il fatto di essere spesso a più piani, ben arredate e con tutti i confort delle case che il discorso comune e la pubblicità descrivono come case italiane, occidentali, moderne. Questo modello di casa necessita di grandi guadagni e dunque la casa diventa un obiettivo difficile. La costruzione della casa è legata alle alterne fortune della migrazione e presenta dunque periodi durante i quali i lavori non vanno avanti. In questi casi i tempi della migrazione si allungano indefinitamente e l’orizzonte del ritorno tende a perdersi. I tempi, inoltre, si possono allungare anche a causa di una cattiva gestione dei lavori di costruzione della casa. Gestire i lavori a distanza è problematico. La figura di qualche familiare in Sri Lanka che possa seguire i lavori al posto dei diretti interessati, diventa determinante, secondo diversi migranti con i quali ho discusso, per evitare ritardi o imbrogli nella richiesta di pagamenti. Ciò rende ulteriormente evidente le difficoltà nel conciliare le due dimensioni della vita duale.

Per i migranti che hanno iniziato la costruzione della casa in tempi relativamente recenti o per coloro che devono ancora cominciare i lavori, le difficoltà per costruire una casa che segua il modello diffuso tendono a diventare sempre maggiori. Ad una condizione dell’economia italiana che presenta da diversi anni una costante flessione, con un costo della vita in aumento a dispetto dei salari e ad una situazione del mercato del lavoro sempre più intasato (anche per i migranti) e precario (soprattutto per i migranti), si aggiunge dall’altra parte della migrazione un aumento costante del costo dei terreni, delle case e della vita con un relativo aumento quindi anche dei costi dei lavori di costruzione. L’emigrazione rientra tra i motivi dell’aumento dei prezzi, dei terreni e delle case, perché ha contribuito proprio grazie agli investimenti dei migranti a rendere le città costiere città relativamente ricche; ci sono maggiori opportunità di lavoro e disponibilità di servizi. I migranti sprovvisti dei terreni su cui costruirsi la casa, incontrano così notevoli difficoltà già prima dei lavori di costruzione. L’acquisto del terreno può significare in termini di tempo diversi anni di lavoro in Italia, il che rende difficile la progettazione dei tempi e dei modi della realizzazione dell’obiettivo casa.

La famiglia di Damith, che in Sri Lanka abita a Katunerya, tra Marawila e Wennapuwa, è attualmente tutta in Italia, a Verona. Damith è arrivato sette anni fa, poi l’hanno seguito il figlio (vent’anni) – arrivato tre anni dopo di lui –, e successivamente moglie e figlia (sedici anni). Grazie ai primi guadagni Damith ha iniziato a costruire una casa. La situazione però si è complicata nell’ultimo periodo. Padre e figlio hanno lavorato entrambi per una ditta che ha chiuso e sia padre che figlio si sono ritrovati contemporaneamente disoccupati. Il figlio dice di aver fatto più di trenta domande di lavoro in giro, tra cooperative e agenzie, ma senza fortuna, “non va bene, servono soldi”. Damith attualmente ha un lavoro part-time come la moglie. Entrambi lavorano solo di mattina, fanno pulizie. I guadagni con i due lavori part- time sono minimi e i figli attualmente non lavorano. La figlia non è disoccupata ma frequenta la terza media e quindi nell’immediato non inizierà a lavorare. La famiglia di Damith, per limitare le spese condivide un appartamento con altri due connazionali. Il figlio mi dice che presto cambieranno casa, per passare ad una dove l’affitto è inferiore. L’obiettivo di Damith tende a diventare indefinito, i lavori in Sri Lanka sono fermi, dato che quasi tutti i guadagni vanno via per le spese quotidiane ed è difficile prevedere quando ripartiranno. “Appena finisco la casa torno in Sri Lanka”. (Note di campo, Verona, 09.09)

Il progetto della casa tende così a “imprigionare” in Italia il migrante a tempo indefinito, o, verrebbe da dire, a tempo indeterminato. La presenza di un modello di casa, che i migranti precedenti sono stati in grado di realizzare, crea elevate aspettative e rende più difficile portare a termine i lavori in tempi brevi. L’inizio della costruzione, nei momenti di guadagno, è un altro vincolo. Tornare in Sri Lanka significherebbe l’impossibilità di terminare i lavori e l’intero percorso migratorio perderebbe di senso, con un casa di grande valore sulla carta ed una casa a metà nella realtà. Numerosi migranti non hanno una casa di proprietà prima della partenza e tornare quindi senza averla terminata significherebbe dover tornare nella casa dei genitori. Altri non possono disporre nemmeno di questa, qualcuno ad esempio l’ha perduta per tentare di andare in Italia. In questi casi, il ritorno significherebbe, la precarietà dell’affitto, in un contesto economico e del lavoro, che possiede poche possibilità di guadagno, soprattutto a chi, lontano da casa per anni, dovrebbe cercarsene nuovamente uno.

Attività indipendente

I progetti dei migranti non si fermano alla casa. L’attività indipendente – “voglio fare qualche business, ma ancora non ho deciso cosa” – è un altro obiettivo spesso indefinito che, come la casa, rende incerto il percorso migratorio e il ritorno legato all’accumulo di denaro necessario per avviare un’attività che ha l’obiettivo di rendere possibile un futuro stabile in Sri Lanka e un certo standard di vita caratterizzato dalle possibilità dei confort e dei consumi a cui è associato un elevato valore simbolico.

migrazione sia qualcosa di più del semplice accumulo di capitale economico. Le conoscenze che si acquistano in Italia in anni di lavori, (che è possibile chiamare capitale umano), e i contatti che si stringono in Italia (capitale sociale) possono risultare utili per l’avvio e il successo delle attività autonome in Sri Lanka. L’accumulo di capitale economico, di capitale umano e sociale avvengono in Italia e si concretizzano nell’attività autonoma in Sri Lanka.

Il proprietario di una ditta che produce biancheria intima come terzista per una ditta inglese sostiene di aver imparato molto in Italia lavorando per differenti ditte, sulla gestione di un’azienda e su come affrontare il mondo degli affari. Questo stesso caso, dimostra che l’attività, pur essendo transnazionale, non è un’attività tra contesto di emigrazione e contesto di immigrazione, anzi lo stesso proprietario sostiene di esser dovuto tornare definitivamente in Sri Lanka, perché dall’Italia era estremamente difficoltoso gestire la sua attività. Per la mia esperienza di ricerca, i migranti che riescono ad avviare un’attività economica grazie alla migrazione, raramente riescono ad avviarne una a doppia sede, transazionale.

Il proprietario di un hotel-ristorante ha appreso molto durante i suoi anni di lavoro in Italia, dove torna per sei mesi all’anno per lavorare come cuoco in un hotel dove conosce bene i proprietari. Le sue due attività sono totalmente svincolate l’una dall’altra, anche se il migrante porta con sé, nella sua attività, tutto quanto ha appreso negli anni di lavoro in Italia. Nel suo ristornate, ad esempio, è anche possibile mangiare piatti italiani e ciò si rivela una caratteristica positiva del locale in un contesto come Wennapuwa dove, grazie all’emigrazione diffusa, molte sono le persone attirate dalla cucina italiana.

Un altro migrante ha aperto un’agenzia che risolve problemi burocratici dei migranti e offre traduzioni in italiano. È un’attività che si fonda dunque sulle conoscenze acquisite in Italia e sull’ampiezza della emigrazione verso l’Italia a Wennapuwa.

Non solo le conoscenze (intese come sapere) possono risultare utili, spesso anche le relazioni possono favorire la realizzazione di queste attività indipendenti. Pasindu è ancora in Italia dove lavora per il proprietario di una ditta che produce attrezzatura per la pulizia delle auto. Tra i suoi progetti c’è quello di aprire un centro servizi per auto, che offra lavaggio e manutenzione (cambio olio, cambio gomme, ecc.). Pensa di comprare le attrezzature direttamente dalla ditta per la quale lavora. Per quanto il suo progetto non sia ancora iniziato i buoni rapporti con il datore di lavoro lo fanno ben sperare. Senza dubbio sarà più facile acquistarle e avrà particolari condizioni di acquisto. Tutto ciò mostra come una migrazione di successo non sia esclusivamente legata all’accumulo di capitale economico – comunque

condizione sine qua non – ma possa essere favorita anche dalle capacità del migrante di

Queste attività autonome e indipendenti, unite alla casa, sono il segno per eccellenza del successo migratorio, possiedono un elevato valore simbolico e rappresentano quindi un obiettivo a cui si vincola il ritorno. A differenza delle carriere prestigiose che seguono una successione lineare di tappe cumulative che portano ad un reddito elevato, con la migrazione sono direttamente i guadagni accumulati in un altro contesto sociale a permettere l’attività di prestigio nella società di partenza. Ciò significa che l’accumulo di capitale economico deve essere quanto meno sufficiente per ben avviare l’attività e ciò significa che al percorso migratorio sono associate grandi aspettative che possono allungarlo indefinitamente. Il settore privato in Sri Lanka sembra possedere un’elevata valorizzazione che si costruisce anche su una forte svalorizzazione del settore pubblico, che nelle descrizione dei migranti, appare corrotto e inefficiente nella gestione del benessere dei cittadini e inefficiente nell’offerta dei servizi. All’interno di un contesto che valorizza il settore privato, la valorizzazione del lavoro indipendente si costruisce anche sulla svalorizzazione del lavoro dipendente. Nel primo capitolo si sono messe in luce le caratteristiche del mondo del lavoro in Sri Lanka, che presenta in numerosi settori una scarsa protezione istituzionale. Nel capitolo sul lavoro in Italia, si è detto che minori sono le protezioni istituzionali più il rapporto di lavoro diventa un rapporto di forza, con un datore di lavoro nel ruolo di padrone e una forza lavoro sfruttata. Il lavoro subordinato e il lavoratore dipendente in Sri Lanka sono poco tutelati e ciò concorre, senza dubbio, alla sua svalutazione simbolica. Per il migrante c’è poi una volontà di riscatto che nasce spesso da anni di lavoro in Italia che hanno seguito pressoché le stesse logiche, cioè una scarsa protezione del lavoro e dei lavoratori all’interno dell’economia informale o delle nuove forme di lavoro atipico, flessibile e in somministrazione.

L’attività economica indipendente è spesso vissuta come l’unica possibilità di costruirsi un futuro una volta tornati in Sri Lanka. D’altronde i salari di un’attività subordinata o di un lavoro sotto il governo non permettevano un certo standard di vita e non permettevano una progettualità a lungo termine. La speranza nel miglioramento delle proprie condizioni di vita, dunque, è stata, nella maggioranza dei casi, il motivo principale della partenza. Per questo, non si vuole dopo anni di lavoro all’estero tornare alla stessa situazione lavorativa e alle stesse (im)possibilità socio-economiche. Dunque, la costruzione della casa, già di per sé molto difficile, non è quasi mai sufficiente e l’attività indipendente oltre che attività a elevato valore simbolico, viene vissuta come fondamentale per il futuro e per un futuro migliore in Sri Lanka e rientra a tutti gli effetti tra gli obiettivi della maggior parte dei percorsi migratori. Questa attività può essere ben definita nei pensieri dei migranti (un ristorante piuttosto che un

degli anni di Italia che lo separano dal ritorno. Nella maggioranza dei casi però i pensieri dell’attività indipendente sono approssimativi, “qualche business”, “adesso penso a questa attività, ma ancora non ho deciso” e approssimativi diventano i calcoli sui guadagni. Di conseguenza, approssimativo diventa anche il ritorno legato maggiormente a desideri sul futuro piuttosto che alle certezze del presente. Questa condizione esistenziale nella quale il progetto a lungo termine è continuamente bloccato dall’incertezza del presente impone il “pensiero corto”, un “futuro breve” concentrato sulla risoluzione dei problemi urgenti e quotidiani. Per descrivere questa dimensione esistenziale Cingolani (2009) ha messo in discussione l’utilizzo stesso del termine “progetto migratorio”. La mia opinione è che il progetto, per quanto indefinito o continuamente ri-definito, per quanto slegato dalle possibilità del presente, rimane sempre sullo sfondo, sempre presente all’interno del percorso migratorio. Le conseguenze sono però un allungamento indefinito dei tempi della migrazione.