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Lavori possibili, lavori da immigrati

Il progetto del guadagno che ogni migrante si porta con sé dalla partenza va valutato in relazione al contesto economico e del mondo del lavoro nel quale il migrante si trova immerso e nel quale prova a realizzare desideri, aspettative e obiettivi legati alla migrazione. “Un tempo era più facile trovare lavoro”, sostiene George, riferendosi agli anni Novanta. Le condizioni del mercato del lavoro per i migranti (ma non solo) risultano sempre più difficili e complicate nell’Italia attuale. L’aumento massiccio del numero dei migranti unito alla crisi del lavoro significa un aumento della concorrenza in un ambiente in cui le possibilità lavorative tendono a diminuire. “Troppi stranieri adesso”, sostengono numerosi migranti per sottolineare le difficoltà nel trovare lavoro. I migranti sostengono inoltre che guadagnare e risparmiare in Italia diventa sempre più complicato e ciò rende estremamente difficile la realizzazione degli obiettivi della migrazione. Secondo i migranti con cui ho discusso delle problematiche del lavoro e del vivere in Italia, il rapporto tra salari e costo della vita sarebbe in costante peggioramento. Queste considerazioni sono anche legate alla percezione della ricchezza dei primo migranti che risulta al momento attuale irraggiungibile.

I dati confermano la visione cupa dei migranti segnalando una flessione economica preoccupante negli ultimi decenni in Italia. I salari reali dai primi anni Novanta ad oggi sono cresciuti in Italia dell'1,5%, il più basso incremento registrato nell'UE; l'indice di Gini, che è un indicatore delle disuguaglianze economiche, è ripreso a salire dagli inizi degli anni

inserita anche la maggioranza della popolazione migrante (cfr. Gallino, 2007a). Inoltre, i periodi di non lavoro che un elevato numero di migranti (e non solo) sempre più spesso è costretto ad affrontare, vanno considerati all’interno di un contesto che si caratterizza per la scarsa efficacia della protezione istituzionale verso la disoccupazione, cosa che rende meno conveniente anche la regolarizzazione, già di per se, problematica. Un migrante da diversi anni in Italia che lavora per una cooperativa sostiene che il lavoro è poco e difficile da trovare ma che allo stesso tempo in Italia senza lavoro una persona non può sopravvivere, “cosa fai? C’è solo la Caritas”, mettendo in luce le lacune del welfare italiano.

All’interno di questo quadro socio-economico che preoccupa autoctoni e stranieri va inserito il discorso sul lavoro migrante. Se il pensiero di Stato trasforma il migrante in un lavoratore a vita, il mercato del lavoro ne fa un determinato tipo di lavoratore. Esistono tipi di lavoro considerati per migranti ed esistono determinati spazi del mercato del lavoro che presentano in prevalenza forza lavoro immigrata. I migranti adattando le proprie strategie pratiche alla richieste specifiche del mercato del lavoro entrano, soprattutto grazie alle relazioni interpersonali, in particolari settori del mercato del lavoro, dove la concorrenza è soprattutto tra stranieri e da dove diventa difficile uscire, non a caso si parla di “specializzazione etnica” per suggerire il forte legame tra un settore lavorativo e una componente straniera specifica. Questa considerazione è in contrasto con la valutazione secondo la quale disoccupazione degli autoctoni e immigrazione siano fra loro fortemente legate. È possibile che una fetta di lavoro migrante competa con una fetta del lavoro autoctono, ma tendenzialmente questa accusa risulta poco attenta alla stratificazione del mercato del lavoro. Viene però ripresa e ri-lanciata dalla società di immigrazione e dalla politica soprattutto nei momenti di crisi del mercato del lavoro e di disoccupazione elevata. Il lavoro di immigrati, piuttosto che essere di ostacolo al lavoro degli autoctoni e in competizione per i pochi posti disponibili, si rivela complementare. Piuttosto che bloccare economia e occupazione, i migranti sono per usare, un’espressione di Ambrosini (1999), utili

invasori, che favoriscono oltre tutto le attività degli altri settori del mercato del lavoro e lo

sviluppo dell’economia globale dello Stato ricevente. Un maggior numero di migranti sfavorisce gli stessi migranti piuttosto che gli autoctoni. I migranti paradossalmente sono coloro che con maggiori ragioni potrebbero dirsi contrari all’invasione straniera, poiché un maggior afflusso di migranti significa maggior concorrenza, minor posti di lavoro disponibili e di conseguenza maggiori rischi di disoccupazione.

I migranti sono utili dalla prospettiva del mercato del lavoro e dell’economia ricevente e pur guadagnando cifre superiori a quelle possibili nel Paese di origine sono costretti a

sopportare il peso della condizione degli esseri utili. Una caratteristica del lavoro dei migranti è la frattura del tempo cumulativo dell’esistenza sociale2. L’esistenza sociale si costruisce per tappe in successione. La conquista della meta precedente, rende possibile, almeno teoricamente, quella successiva. Con il passaggio da una società all’altra si realizza la perdita della memoria sociale del singolo, cioè il passato non conta nella nuova società. Questa è una situazione legata alla gestione della migrazione del Paese ricevente. I titoli di studio, il curriculum lavorativo in Sri Lanka non contano per il lavoro in Italia. Si è detto che la migrazione Sri Lanka-Italia è per lo più un’immigrazione non qualificata. Ciò nonostante, soprattutto, nei casi in cui in Sri Lanka si possedeva una certa posizione lavorativa, legata magari a diplomi specifici, questo annullamento, questa cancellazione del passato viene vissuto come una perdita. Le parole di Lakmal, che ha trascorso in Italia una decina d’anni tra la metà degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta e che in Sri Lanka era un tecnico specializzato per il lavoro nelle ferrovie, sono particolarmente indicative sul tema della perdita della memoria sociale personale. Nel suo ricordo della migrazione, c’è rimpianto.

Io ho preso diploma, io ho studiato… studiare è una cosa che stanca. Allora io andato ogni giorno a Colombo per prendere diploma. Allora io peccato lavorare in Italia domestico […] Io avevo un buon posto, ferrovie controllo. Quando mi chiedevano cosa hai fatto lì in Italia? Domestico [risata]. C’è molta differenza. Una volta era una vergogna, io pure uomo. […] Fratelli detto vieni, vieni in Italia. Peccato lasciare lo Sri Lanka quando ero giovane. Io andato a ventitre, ventiquattro anni. Peccato quando ero giovane andato lì. […] Io rispetto italiani sempre, però c’è gelosia [qui probabilmente intende risentimento o rimorso], perché peccato andato in Italia. Mio periodo giovane tutto perso in Italia, quando ero giovane ho lavorato per Italia, non per mia terra. Peccato studiato, peccato. Perché io studiato? Perché io studiato per lavorare domestico per Italia? (Intervista a Lakmal, Wennapuwa, 11.08).

Il settore domestico, nel quale ha lavorato e in un certo senso perso la sua giovinezza Lakmal, è uno di quei settori ad elevata presenza di forza lavoro immigrata e nel quale da sempre e in qualsiasi città interessata da questa immigrazione, gli srilankesi sono presenti. La forza lavoro srilankese è riuscita col tempo ad occupare anche altri spazi, altri ambiti del mercato del lavoro, ma il settore domestico rimane tuttora un settore in cui molti srilankesi sono impegnati. Gli srilankesi a Verona sono oggi presenti in vari altri settori. Il lavoro nelle case non è solo quello di domestico; numerosi srilankesi, soprattutto donne, sono impegnate nel lavoro di cura o di servizio alla persona, specialmente nel ruolo di badanti di anziani, colmando le lacune del sistema di welfare italiano. La ristorazione e il settore alberghiero è un altro ambito nel quale è possibile trovare numerosi srilankesi. Sono soprattutto maschi e

svolgono diverse funzioni: cuoco, aiuto cuoco, cameriere, lavapiatti, portinaio. Gli srilankesi sono poi presenti nel settore dei servizi non qualificati. Sono molti coloro, sia uomini che donne, che lavorano come dipendenti in imprese di pulizie impegnate soprattutto in negozi, aziende e appartamenti. Srilankesi (maschi) si trovano anche come benzinai o lavamacchine nei distributori di benzina. Altri lavorano come custodi in fabbriche e appartamenti. Anche il settore dei trasporti occupa numerosi srilankesi: sono uomini e solitamente autisti di camion. Nelle fabbriche la maggior parte dei lavoratori non qualificati sono stranieri. Gli srilankesi sono presenti anche in questo ambito, ma probabilmente in proporzione minore rispetto ad altri stranieri che non possono sfruttare la “specializzazione etnica” in ambiti specifici del mercato del lavoro come, ad esempio, per gli srilankesi quello del lavoro domestico.

Tutti i settori del mercato del lavoro sopra riportati e nei quali si concentra la maggioranza della forza lavoro srilankese in Italia sono settori non qualificati. In questi lavori non servono titoli di studio specifici e questa situazione tendenzialmente rende inutile qualsiasi qualificazione ottenuta in Sri Lanka. La teoria della segmentazione del mercato del lavoro, o

dual labor market theory (cfr. Massey et Al., 1993; Arango, 2000), il cui massimo esponente

è Piore (1979) ha spinto all’estremo la relazione tra lavoro immigrato e lavoro non qualificato. Secondo questa teoria la stessa origine delle migrazioni va cercata nella disponibilità di lavoro non qualificato all’interno delle società industriali avanzate che si caratterizzano per una marcata segmentazione del mercato del lavoro. In queste società in presenza di cambiamenti socio-demografici quali la crescita della partecipazione della donna al mondo del lavoro, la crescita dei tassi di divorzio, il declino delle nascite e l’estensione del periodo scolastico, i lavoratori autoctoni iniziano a rifiutare quelle attività che Piore fa rientrare nel cosiddetto “settore secondario” del mercato occupazionale lasciando quindi spazio per il lavoro straniero. Queste attività sono poco pagate, instabili, non qualificate, faticose, pericolose, di basso prestigio sociale e con poche prospettive di carriera. In linea con queste caratteristiche Castles (2002) definisce i lavori da immigrati nelle società a sviluppo avanzato come i “lavori delle tre D”: dirty, dangerous e demanding (sporchi, pericolosi e gravosi). Ambrosini (2005) amplia questa definizione e propone una versione italiana, parlando di “lavori delle cinque P”: pesanti, pericolosi, precari, poco pagati, penalizzati

socialmente. Tornando all’argomentazione di Piore, da una parte le società a sviluppo

avanzato iniziano a favorire l’afflusso di lavoro straniero e dall’altra queste attività attraggono i migranti poiché i salari nei paesi di provenienza sono minori e perché il prestigio sociale in terra d’immigrazione conta meno di quello che si otterrà nel Paese di provenienza attraverso i guadagni della migrazione. Seppur questa spiegazione sia carente in relazione all’origine dei

movimenti migratori particolari e storici, in quanto fornisce una spiegazione generale, tuttavia rende evidente le caratteristiche del lavoro straniero in gran parte delle società a sviluppo avanzato e il fatto che i migranti siano indirizzati verso certi settori del mercato del lavoro già prima del loro ingresso e che questi abbiano relativamente poche scelte, pochi spazi e settori del lavoro nei quali inserirsi e spendersi.

In relazione alla teoria della segmentazione del mercato del lavoro, Ambrosini (1999) pone in evidenza come la divisione tra “settore primario” per autoctoni e “settore secondario” per immigrati sia troppo schematica per caratterizzare il lavoro immigrato. Con riferimento a Portes e Manning (1986) e a Stalker (1995) parla di una pluralità di “porte di ingresso” e di “modi di incorporazione” nelle società di destinazione. In riferimento al lavoro immigrato srilankese è possibile identificare tre tipi di lavoratori immigrati: 1) i lavoratori “sommersi” dell’economia informale e delle attività precarie; 2) i lavoratori del settore secondario del mercato del lavoro “ufficiale”; 3) i lavoratori autonomi.

1. Economia informale e lavoratori irregolari

È possibile considerare l’economia informale come quell’insieme di attività capaci di generare reddito e caratterizzate da un tratto centrale: “non sono regolate dalle istituzioni della società, in un ambiente legale e sociale in cui attività simili sono regolate” (Castells e Portes, 1989: 12)3. È il cosiddetto lavoro nero, che si caratterizza per la debolezza del lavorato, non tutelato dai contratti di lavoro e dalle normative sul lavoro. È un lavoro precario, instabile, in cui il licenziamento è sempre possibile. Può essere, inoltre, un lavoro discontinuo che presenta periodi di inattività forzata e non retribuita e che impone la flessibilità della prestazione del lavoratore e lo piega alle esigenze del lavoro. I lavoratori migranti tendono ad accettare qualsiasi tipo di lavoro, qualsiasi tipo di orario poiché fortemente motivati al guadagno. E così il tempo di lavoro logora il tempo di vita (La Rosa, 2007) rendendo la permanenza del migrante nella società di immigrazione particolarmente faticosa. La debolezza della forza lavoro si traduce in salari minimali, e in una precarietà del lavoro costante. Il datore di lavoro può in qualsiasi momento licenziare il lavoratore e ricercare qualcuno disposto a lavorare per un prezzo minore, data l’ampiezza di lavoratori disoccupati e quindi obbligati al lavoro al di fuori della protezione contrattuale.

L’estrema debolezza del lavoratore straniero è spesso intrecciata con la sua condizione giuridica. La condizione di irregolare trasforma il lavoro nero nell’unica possibilità di

guadagno. L’ampiezza dell’economia sommersa in Italia è stata da più parti ritenuta una delle cause o comunque un sostegno decisivo per l’immigrazione irregolare che in Italia mostra ampie dimensioni, visibili ogni qualvolta viene promulgata una sanatoria. Leggi restrittive sull’immigrazione e l’economia sommersa concorrono a produrre forza lavoro straniero debole, flessibile, a basso costo e quindi sfruttabile.

La casa è uno dei luoghi di lavoro più rilevanti nell’economia informale. Numerosi srilankesi lavorano come domestici o badanti; le donne sono quasi esclusivamente impegnate in questi lavori. Nei casi di status irregolare e in numerosi casi di lavoro part-time non c’è contratto, né regolamentazione. Anche nel settore della ristorazione non sono rari i casi nei quali lavoratori stranieri possono essere utilizzati all’occorrenza solo nei periodi di maggior lavoro e pagati a prestazione. Anche i settori dei servizi non qualificati, quali ad esempio le pulizie in condomini, negozi, ecc. presentano lavoratori srilankesi irregolari o che comunque non possono contare su un regolare contratto di lavoro.

2. Settore secondario del mercato del lavoro “ufficiale”

Gallino (2007a) considera il mercato del lavoro come attraversato da profonde disuguaglianze. Esse riguardano la sicurezza dell’occupazione, la continuità del reddito da lavoro, le tutele connesse al lavoro, la protezione sociale e le prestazioni previdenziali. Queste disuguaglianze sono il prodotto di determinati processi politici, economici, legislativi, culturali; esse sono socialmente costruite. In parte questi risultati sono imprevisti, non voluti, ma in parte essi sono previsti e codificati a livello legislativo. È possibile far rientrare nella prima categoria, definita degli effetti perversi, il lavoro “sommerso”, l’economia informale di cui si è detto sopra. Il fatto che questo tipo di economia sia un effetto perverso di processi sociali non significa che sia un accidente fortuito. Come si è visto la legislazione sull’immigrazione tende a favorire questo esito, così pure l’adesione/costrizione dei migranti ad accettare determinate condizione di lavoro e la disponibilità dei datori di lavoro all’assunzione di un lavoratore più economico e flessibile. Tra le disuguaglianze come prodotto previsto dei processi sociali rientrano tutte quelle forme di lavoro atipiche, flessibili, che tendono a trasformare il lavoratore in una funzione del mercato del lavoro e il lavoro in merce. In Italia esistono una cinquantina di forme di contratti atipici che tendono ad imporre una flessibilità tanto dell’occupazione quanto della prestazione di lavoro. Il risultato è quello della produzione di un lavoro “giusto in tempo”, l’utilizzo del lavoratore solo quando serve e nelle modalità più adatte alle esigenze. La trasformazione del lavoratore in merce diventa

particolarmente evidente nei casi del lavoratore in affitto, gestito da un’azienda somministratrice, (spesso una cooperativa), che affitta forza lavoro alle ditte che hanno bisogno di lavoratori. La ditta è libera di usare e scaricare i lavoratori a seconda delle esigenza, poiché il lavoratore è legato all’agenzia di somministrazione. Le conseguenze per il lavoratore sono quelle di redditi minimi, frequenti periodi di inattività, possibili licenziamenti, scarse tutele lavorative, scarse protezioni sociali e previdenziali.

Tutti questi contratti atipici deviano rispetto a quello che Gallino (2007a; 2007b) definisce “contratto normale”, che è un contratto di durata indeterminata e a tempo pieno. Quando si esce dalle condizioni del “contratto normale”, l’organizzazione del lavoro richiede (e produce) uomini flessibili (Sennett, 1998, trad. it. 2006) e rende la loro condizione sociale ed umana precaria e segnata dall’insicurezza. L’insicurezza delle condizioni di lavoro diventa dunque insicurezza delle condizioni di vita (Gallino, 2007b): diventa complicato gestire il presente e riuscire a formulare previsioni attendibili a lungo termine. Per numerosi migranti questa situazione rende incerto e indefinito nei tempi e nei modi il progetto del ritorno, legato ai guadagni e alle possibilità di investimento in Sri Lanka.

In mancanza di dati statistici specifici relativi alla condizione lavorativa e contrattuale dei migranti srilankesi a Verona, la mia esperienza di ricerca e il dialogo con un sindacalista srilankese rendono plausibile l’immagine di una componente straniera nella quale solo una parte di coloro che hanno alle spalle una lunga permanenza in Italia possono contare su contratti di lavoro a tempo indeterminato. Tutti gli altri e soprattutto gli ultimi arrivati sono costretti a fare i conti con la precarietà del lavoro. Una quota rilevante degli srilankesi a Verona, secondo quanto mi rivela il sindacalista, lavora ad esempio per agenzie somministratrici, in situazioni nelle quali la precarietà del lavoro diventa precarietà dell’esistenza.

3. Lavoro autonomo

Nelle città a elevata presenza srilankese come Verona i migranti risultano impegnati in varie attività economiche autonome. All’interno dello spettro delle attività indipendenti è possibile distinguere: a) l’offerta di servizi diretti esclusivamente a connazionali e che sono erogati per lo più su un piano informale; b) una serie di attività indipendenti, imprenditoria o agenzie che offrono servizi, legate all’appartenenza etnica; c) una serie di attività indipendenti che offrono servizi diretti alla società ricevente.

a) L’offerta di servizi ai propri connazionali. Una migrazione strutturata in modo tale da produrre la concentrazione di migranti connazionali in una stessa città favorisce l’emergere di attività che offrono servizi diretti esclusivamente a connazionali e tesi a soddisfare esigenze specifiche. Queste attività sono “invisibili” all’esterno, quasi mai regolamentate e sfruttano l’intensa comunicazione esistente tra connazionali. Alcune di queste attività sono quella di barbiere, fotografo, vendita di cibi srilankesi preparati in casa e servizi relativi al trasporto di migranti verso e dagli aeroporti.

“Diecimila teste a Verona, chi taglia?”. Con questa singolare immagine, un ragazzo srilankese, mi presenta l’attività di barbiere per srilankesi, sostenendo, esagerando un po’ sulla quantità di “teste”, che quella di barbiere sia un’attività relativamente remunerativa perché il lavoro non manca mai. I barbieri lavorano a domicilio. Solitamente non si chiama il barbiere per un singolo taglio, ma quando lo si chiama tutte le persone che vivono assieme o conoscenti che abitano vicini tendono a riunirsi nello stesso appartamento per farsi tagliare i capelli. I prezzi sono inferiori rispetto a quelli dei saloni. Questa attività è condotta a livello informale ed è resa possibile dalla caratteristica di concentrazione che assume la migrazione srilankese. La concentrazione in alcuni quartieri, la coabitazione di più famiglie negli stessi appartamenti, la comunicazione costante e frequente tra connazionali, tutto ciò rende possibile un’attività che raggiunge un numero elevato di clienti in una zona ristretta.

Anche l’attività di fotografo è rivolta direttamente ai connazionali e avviene su un piano informale. Suranjan che svolge questa attività come secondo lavoro si occupa prevalentemente di matrimoni ma è contattato anche per altre celebrazioni, quali ad esempio battesimi, comunioni, compleanni ecc. Soprattutto i matrimoni prevedono book fotografici particolari ed è quindi comprensibile che i migranti preferiscano rivolgersi a fotografi connazionali che già conoscono le modalità richieste dalla clientela. Anche questo lavoro risulta possibile grazie all’elevata comunicazione tra connazionali e alla preferenza srilankese nella ricerca dei servizi. Inoltre queste attività poiché informali hanno prezzi inferiori rispetto ai servizi italiani. Suranjan non lavora solo a Verona ma è contattato anche da altre città. La possibilità di trovare lavoro al di fuori dell’aerea di residenza è legata al passa-parola costante e continuo tra parenti e amici che vivono in diverse città, ma anche alla pubblicità che Suranjan si è fatto sulle reti satellitari srilankesi. Queste trasmettono dall’Italia e sono dirette ai migranti srilankesi in Italia, a dimostrazione del fatto che questa migrazione ha raggiunto un’organizzazione importante.

È possibile comprare cibi tipici srilankesi cucinati e preparati in casa. Sono piatti che in Italia i migranti mangiano meno frequentemente dato che non hanno tempo di prepararli.

Solitamente si ordinano nei giorni di festa quando è frequente ritrovarsi assieme a parenti e