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Un’ipotesi: il ruolo delle istituzioni religiose all’origine dei flussi

Le ipotesi che legano l’origine della migrazione Sri Lanka-Italia ai contatti tra istituzioni religiose fanno riferimento o alla presenza delle rappresentanze cattoliche, cioè missionari e preti italiani in Sri Lanka (Näre, 2008) o alla presenza di preti srilankesi in Italia (Pathirage e Collyer). Da una parte i missionari italiani in Sri Lanka avrebbero favorito la chiamata e quindi l’ingresso regolare di cittadini srilankesi in Italia garantendo i contatti per il lavoro in ambito domestico sia all’interno delle parrocchie sia, soprattutto, all’interno delle famiglie italiane. Questa ipotesi sostiene inoltre che l’origine del flusso sia tendenzialmente femminile,

srilankesi a favorire l’ingresso e a fornire i contatti per il lavoro. Questi sarebbero arrivati in Italia per concludere il loro periodo di formazione e avrebbero poi aiutato loro concittadini, loro fedeli ad arrivare in Italia dove le condizioni del mercato del lavoro erano più favorevoli rispetto a quelle dello Sri Lanka.

Le due ipotesi non sono in contraddizione tra loro e in definitiva entrambe fanno riferimento ai contatti tra le istituzioni religiose italiane e quelle strilankesi, valorizzando in maniera differente il verso della relazione, il che non esclude la contemporanea presenza di entrambi i flussi (preti italiani in Sri Lanka e preti srilankesi in Italia) nella spiegazione dell’origine della migrazione. L’opera di Stirrat (1992) che ripercorre la storia della religione Cattolica in Sri Lanka, con particolare enfasi sulla situazione post-coloniale, può risultare utile ai fini di questa analisi poiché rende plausibile l’ipotesi dei contatti tra le istituzioni cattoliche dei due paesi.

Le aree della presenza della religione Cattolica in Sri Lanka e le zone di origine della maggioranza dei migranti srilankesi in Italia corrispondono. Stirrat individua la costa occidentale dello Sri Lanka come il luogo della religione Cattolica e in particolare la zona costiera contenuta tra Puttalam (leggermente a nord di Chilaw) e Pandura (leggermente a sud di Colombo) che include la zona tra Chilaw (al nord) e Negombo (al sud) che è anche la zona maggiormente interessata dalla migrazione verso l’Italia.

La fascia di costa individuata da Stirrat è la zona del colonialismo portoghese, che arrivò per primo sull’Isola, intorno al XVI secolo e che portò con sé la religione Cattolica. La storia di questa religione e la storia del colonialismo in Sri Lanka, come altrove, sono connesse non solo in relazione all’origine ma anche agli avvenimenti e agli sviluppi successivi. Fortune e sfortune della Chiesa sono legate per lo più al passaggio di mano del dominio coloniale. Ai portoghesi succedono gli olandesi, che rimangono sull’Isola dalla metà del XVII alla fine del XVIII secolo. La componente cattolica viene considerata dagli olandesi come una minaccia per il controllo della zona costiera. In questo periodo i cattolici subiscono la persecuzione dei colonizzatori e sono relegati ad un ruolo subordinato e marginale. Le sorti della comunità cattolica cambiano radicalmente sotto il dominio inglese, che va dalla fine del XVIII secolo all’Indipendenza del 1948. Considerata come alleata nell’opera di controllo della colonizzazione, la comunità cattolica diventa minoranza privilegiata. Gli inglese permettono a questa comunità un controllo diretto delle scuole, dove si insegna in inglese. Questo fatto permette ai cattolici di ottenere i ruoli di maggior prestigio dato che sotto il colonialismo i luoghi del potere parlano inglese. Il riconoscimento del valore dell’istruzione inglese e in inglese, che ancora oggi caratterizza la visione e la percezione dei cattolici della zona costiera

ha probabilmente qui le sue origini. Durante il periodo inglese si registra un elevato afflusso di missionari e preti cattolici dall’Europa, tra questi sono presenti anche preti e missionari italiani che mantengono e curano i contatti con Roma. Fino agli anni Sessanta del XX secolo il controllo delle parrocchie e delle diocesi è saldamente nelle mani di preti e missionari europei (e di Roma).

L’Indipendenza del 1948 e il Concilio Vaticano II (1962-1965) rappresentano due importanti eventi per le sorti della religione Cattolica in Sri Lanka. La costruzione della nazione, del senso di appartenenza nazionale, obiettivo che i governi si pongono al seguito dell’Indipendenza, ha bisogno di omogeneità, di tradizione, di un origine. La comunità

immaginata (Anderson, 1991, trad. it. 1996) è singalese, di religione Buddista e parla

singalese. L’alterità interna, in questo caso la comunità cattolica, va ridotta a minoranza silenziosa e subordinata. Senza l’appoggio esterno offerto dal colonialismo inglese la comunità cattolica subisce una serie di sconfitte, la più importante delle quali è la perdita del controllo delle scuole che vengono nazionalizzate. L’inglese viene sostituito dal singalese come lingua d’insegnamento. I fedeli cattolici perdono sempre maggior prestigio anche a livello professionale e diminuisce la loro presenza all’interno dei luoghi del potere.

Il Concilio Vaticano II segna un altro punto di rottura. La Chiesa supporta ovunque nel mondo un processo di indigenizzazione, allentando il controllo sulle Chiese locali. Alla fine degli anni Sessanta la maggioranza dei preti sono srilankesi. Il momento particolare e difficile della comunità cattolica in un periodo e in un contesto in cui è relegata ad un ruolo minore si traduce a parere di Stirrat in un’accentuazione del carattere locale/orientale del religioso. Sorgono particolari santuari guidati da leader spirituali che attraverso il rapporto col sacro (la Vergine Maria, Cristo, Santi e reliquie) riescono a guarire i fedeli dagli attacchi della stregoneria, pratica e credenza diffusa in Sri Lanka anche tra i cattolici. Queste credenze valorizzano simbolicamente luoghi e Santi che appartengono anche al contesto religioso europeo (per esempio, Lourdes) e italiano (per esempio, Sant’Antonio da Padova e Città del Vaticano), concedendo all’Italia un elevato valore simbolico.

Il riferimento a Stirrat rende plausibile l’ipotesi dell’origine del flusso migratorio legato ai contatti tra le istituzioni religiose, perché testimonia del ruolo di preti e missionari europei ed italiani all’interno della comunità cattolica in Sri Lanka e i contatti di questa comunità con Roma. Questi contatti poi rendono possibile, per i preti srilankesi il viaggio in Italia per un periodo di formazione nel momento in cui preti e funzionari locali vanno a sostituire quelli europei nel controllo diretto di chiese e diocesi. Questo periodo è collocato intorno agli anni

migrazione verso l’Italia. Anche attualmente preti srilankesi compiono periodi di studio a Roma e successivi periodi di permanenza nelle parrocchie delle diverse città italiane ad alta densità srilankese, dove recitano messa in singalese e offrono sostegno ai fedeli. Queste attività hanno il sostegno e l’appoggio delle parrocchie italiane, mostrando l’importanza dei contatti tra istituzioni cattoliche italiane e srilankesi.

Sostenere l’importanza dei contatti tra le istituzioni religiose non significa sostenere che le ragioni del flusso migratorio (anche in origine) siano legate a motivazioni religiose. I migranti tutt’al più, almeno inizialmente sfruttano il canale religioso, ma si muovono per motivi altri, soprattutto economici, legati al mondo del lavoro e alle diverse possibilità di realizzazione personale che la migrazione offre. Queste considerazioni sulle ipotesi dell’origine mettono in luce l’importanza di un’analisi specifica per ogni flusso migratorio che tenga in particolare considerazione la storia stessa del flusso. Diverse teorie delle migrazioni (cfr. Massey e altri 1993; Arango, 2000), soprattutto quelle riferite all’origine del flusso e soprattutto quando offrono spiegazioni generali, diventano così incomplete. È vero che anche in questo caso motivi legati al differenziale salariale, alla diversità delle economie e del mercato del lavoro tra Sri Lanka e Italia, sono ragioni che favoriscono e spingono alla migrazione, ma è altrettanto vero che per realizzarsi la migrazione ha bisogno di canali favorevoli, spesso legati a ragioni storiche specifiche. Senza un canale opportuno quindi, tutti i calcoli che le teorie

economiche neoclassiche attribuiscono a individui razionali o che le teoria della nuova economia delle migrazioni attribuisce a unità collettive più ampie (famiglia) rimangono solo

ragioni virtuali. Tutti i fattori pull (teoria del doppio mercato del lavoro) e i fattori push (teoria del sistema mondo) sarebbero elementi insufficienti per dare avvio alle migrazioni e per spiegare le differenti migrazioni globali con la loro storia e le loro ragioni specifiche.

Se dall’origine si vuole passare ad analizzare lo sviluppo del flusso migratorio i legami tra istituzioni religiose risultano una spiegazione insoddisfacente. Innanzitutto, se è plausibile che inizialmente a migrare attraverso i contatti tra istituzioni religiose fossero in maggioranza donne chiamate per il lavoro domestico, i dati sulle migrazioni mettono in luce come la migrazione srilankese sia a maggioranza maschile e che tenda ad equilibrarsi col tempo, attraverso i ricongiungimenti familiari. Serve quindi individuare altri fattori che spiegano questa maggioranza maschile. Attraverso la ricerca sul campo e numerose testimonianze di migranti è possibile rintracciare altre modalità di viaggio, altri canali che il flusso migratorio ha sfruttato. I viaggi clandestini rappresentano una modalità di ingresso che caratterizza gli anni Novanta, anni di espansione del flusso migratorio.

Il ruolo della Chiesa e della vicinanza religiosa tra Italia e Sri Lanka, se non più direttamente implicato nello sviluppo del flusso, non perde comunque ogni rilevanza. L’Italia possiede un elevato valore simbolico e quindi un potere attrattivo per i fedeli cattolici srilankesi: è il centro della religiosità cattolica, presenta numerose chiese e luoghi di culto spesso dedicati a Santi, che hanno, seguendo Stirrat (1992), una particolare importanza nel contesto specifico. Questa devozione è evidente se si considerano i numerosi simboli religiosi presenti in quasi tutti gli appartamenti di migranti srilankesi e le numerose visite che questi compiono a Chiese e Basiliche sparse per l’Italia. Non è un caso che il ritrovo annuale degli srilankesi di tutta Italia sia, da una decina d’anni, ogni primo maggio a Padova, nella Basilica di Sant’Antonio, dove, in questa occasione viene celebrata Messa in singalese.

Nel corso del tempo e degli sviluppi del processo migratorio, la Chiesa seppur non più direttamente implicata nel richiamare migranti in Italia può aver comunque esercitato un ruolo importante nel favorire e alimentare il flusso migratorio attraverso la sua forza simbolica e attrattiva. In un contesto come quello italiano nel quale riveste una posizione forte, la Chiesa offre la tutela dei più deboli, l’aiuto per la “sopravvivenza” e per l’inserimento nel nuovo contesto di arrivo. È un elemento di sostegno che dalla prospettiva di colui che vuole partire per l’Italia, soprattutto se in modo irregolare, offre fiducia e maggiore convinzione nell’affrontare la difficile impresa della migrazione. Durante i periodi di ricerca mi è spesso capitato di sentire migranti raccontare come la Chiesa li abbia aiutati quando si erano trovati clandestini, senza un luogo per dormire e nulla da mangiare. Non è raro incontrare migranti che dicono di aver lavorato per la Chiesa, o di aver trovato lavoro attraverso la Chiesa, o di aver ricevuto importanti aiuti a seguito della frequentazione delle parrocchie. Nial ripete spesso che in Italia non ha mai paura di “morir di fame”, perché per quanto possano andare male le cose può sempre contare sul supporto della Caritas. Durante la ricerca mi è anche capitato di accompagnare un ragazzo srilankese in una parrocchia vicino a Mantova a chiedere informazioni e aiuto al parroco per un lavoro. Tutto ciò dimostra come in determinati contesti e situazioni anche l’appartenenza religiosa possa diventare un arma importante per il gioco sociale e per l’inserimento in un contesto, che nel caso di migranti, non sempre è facile affrontare. La fiducia che i cattolici srilankesi ripongono e hanno riposto nell’istituzione della Chiesa, ha probabilmente, se non favorito in maniera determinante, quanto meno incoraggiato il migrante ad affrontare le difficoltà del viaggio durante gran parte del processo migratorio. Questa fiducia presente in chi era in procinto di partire è stata, senza dubbio, alimentata, nel corso del tempo, dalle storie che i primo migranti hanno raccontato al loro rientro in Sri

Lanka. Storie che caratterizzano ogni fase della migrazione e che contribuiscono a stabilizzare il flusso che lega luogo di partenza e di destinazione.

L’importanza della religione Cattolica e il suo ruolo all’interno delle dinamiche migratorie tra Sri Lanka e Italia non deve comunque far pensare che tutti i migranti srilankesi in Italia siano cattolici. Senza considerare i migranti tamil di religione induista la cui storia migratoria verso l’Italia appare differente e indipendente da quella dei migranti singalesi, una quota importante dei migranti srilankesi è di religione buddista, soprattutto coloro che non provengono dalle città della costa occidentale. Quando il flusso non è più alimentato direttamente dai contatti tra istituzioni religiose, la zona di partenza della migrazione tende ad allargarsi interessando anche altre città, questo anche grazie alla diffusione delle informazioni sulla migrazione e ai contatti che i migranti possiedono al di fuori delle loro città di origine.