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Il prezzo di un prodotto limitato e ad alto valore simbolico

“A Wennapuwa anche i bambini sanno quanto costa andare in Italia”. Questa frase, che mi è stata riferita durante una discussione sulla migrazione con un migrante a Wennapuwa, ben illustra il fatto che la mobilità umana, in questo contesto, è un prodotto di mercato e che la popolazione conosce le regole del gioco e cioè che oltrepassare e attraversare i confini ha un prezzo elevato.

Il prezzo della migrazione, legato alla disponibilità del prodotto e al suo valore simbolico è lievitato nel corso del tempo. Per quanto sia impossibile fissarne con esattezza un prezzo, dato che in un mercato informale e non ufficiale il prezzo varia a seconda del tipo di relazione che unisce chi venda e chi compra, la risposta alla domanda su quanto costi andare in Italia risulta quasi sempre la stessa, “adesso 14-15 lahks” (cioè all’incirca tra i 9.000 e i 10.000 euro); una cifra enorme se confrontati con gran parte degli stipendi della popolazione che si aggirano attorno ai 100 euro mensili.

A Wennapuwa una grande quantità di persone, soprattutto giovani, aspetta la giusta occasione, sospesa tra lavori poco remunerativi e traiettorie di vita incerte, legate ad una svolta che forse non arriverà mai. Come Rohan e i ragazzi del Malindu’s Bhawana sono in molti quelli che attendono. Nel corso del tempo, le vie per raggiungere l’Italia sono diminuite, i controlli hanno tagliato i viaggi clandestini, anche se ciò non significa che siano sparite del tutto le possibilità dell’irregolarità. Gli ingressi regolari in Italia sono legati a quote annuali poco realistiche e senza dubbio molto al di sotto delle domande (Dossier Statistico Caritas/Migrantes, 2008). Anche chi, come Harris ha già un piede in Italia, cioè la madre che si sta attivando per fargli ottenere il visto, si dichiara incerto sul proprio futuro:

When do you think to go? Who knows? God knows. Maybe next year, maybe next year. It is

very hard going to Italy, it is not easy, very hard to go to Italy. But you said that your

mother can do… YEA. CAN DO [alzando la voce] but in this moment it is very hard,

sometimes they rejected these things like that. If it is easy everyone goes to Italy. But your

mother is in Italy… Yea, but there are many people whose father is in Italy, mother is in

Italy but there are some children they can’t go. You know Dulipa, this guy? His father is in Italy but he can’t even […] problem with ricongiungimento familiare, age problem… (Intervista a Haris, Wennapuwa, 11.08)

Andare in Italia è difficile, se così non fosse tutti ci andrebbero sostiene Harris. Dell’alto valore simbolico della migrazione verso l’Italia si è già detto nel capitolo precedente. Questo valore simbolico diventa però ancora più evidente considerando chi in Sri Lanka pur trovandosi in una buona posizione socio-economica non riesce a fare a meno di pensare all’Italia come ad un qualcosa di desiderabile, dimostrando i limiti di un’interpretazione esclusivamente economica delle migrazioni che non tenga in considerazione i significati, il valore simbolico che l’immaginario collettivo attribuisce alla migrazione verso l’Italia.

In uno degli alimentari sulla Main Road poco fuori dal centro di Wennapuwa dove mi porta Mark, non solo i dipendenti, con un salario di 10.000 rupie (circa 65 euro) al mese, desiderano andare in Italia, ma anche Saman, amico di Mark e proprietario del negozio. Ha ventitre anni, è figlio di un businessman, almeno così il ragazzo definisce il padre. La famiglia ha due negozi di alimentari, uno è gestito dal padre e da due fratelli di Saman, l’altro è quello di Saman, a cui il padre ha lasciato la gestione. Fuori dal negozio, sotto un lenzuolo bianco, si trova la macchina di Saman, nuovissima e con un impianto stereo di “ultima generazione”, con un’infinità di funzioni e delle casse a grande potenza. “I have little car… Nissan Match… little one. Italy name is Micra. Yes, not everybody has a car in Sri Lanka”.

Saman ha una propria attività economica, in un contesto in cui possedere un’attività indipendente possiede (e concede) un elevato valore simbolico, di status e prestigio sociale. Lavorare come dipendente, “sotto qualcuno”, in un contesto che presenta salari minimi e una scarsa protezione istituzionale del lavoro risulta al contrario una situazione poco gratificante e

Italia per non dover più lavorare sotto qualcuno e con l’obiettivo di guadagnare abbastanza per avviare un’attività indipendente una volta tornati in Sri Lanka.

Saman possiede anche una macchina in un contesto in cui sono pochi i giovani che se la possono permettere e dove i più si muovono in motorino o in bicicletta. Il valore simbolico e distintivo legato al possesso di un’auto va considerato anche in relazione al prezzo elevato che questo bene ha in Sri Lanka dove la tassazione per l’importazione delle autovetture – in Sri Lanka non vengono prodotte – è estremamente elevata facendo così lievitare i prezzi delle vetture (Ministero degli Affari Esteri – Italia, Istituto nazionale per il Commercio Estero, 2008).

Saman ha inoltre una famiglia benestante alle spalle. Possiede una casa lussuosa, in linea con le Italian Houses anche se non è stata costruita con i guadagni della migrazione dato che i genitori sono sempre rimasti in Sri Lanka.

Date le condizioni socio-economiche di Saman, non sembrerebbero esserci motivi sufficienti per lasciare lo Sri Lanka e avventurarsi all’estero. Eppure, “I want to go to Italy, but father doesn’t want me to go”, mi dice Saman dopo un po’ che si discute di Wennapuwa, delle migrazioni, dell’Italia e della condizione attuale delle sua attività economica. Ha aperto il negozio da appena quattro mesi. Le spese sono tante, mi fa la lista: pagare la bolletta dell’elettricità, pagare l’affitto del locale, pagare i tre dipendenti che lavorano per lui. Alla fine del mese il profitto non è abbastanza, sostiene. Mi spiega che il padre gli suggerisce di attendere, di avere pazienza, “father tells me… Sri Lanka good, maybe you can little-little grow. Don’t go to any countries to work”. A questo difficile inizio di attività fa da contrasto l’immagine dell’Italia con tutto il suo valore simbolico. Saman ha diversi amici che lavorano in Italia e crede che guadagnino bene e che presto potranno tornare arricchiti in Sri Lanka. Ma le conoscenze dell’Italia in realtà sono superficiali, non conosce se sia o meno difficile trovare lavoro, non ha idea di come e cosa sia vivere in Italia. “Some friends tell me good living in Italy, some people tell no good situation in Italy. I don’t know”. Pur non abbandonando del tutto l’idea dell’Italia dice che proverà a seguire il consiglio del padre. In ogni caso, senza l’aiuto della famiglia non potrebbe permettersi di partire. 15 lahks (circa 10.000 euro) sono una cifra troppo elevata e che non è riuscito ancora a guadagnare. (Note di campo, Wennapuwa, 09.08-12.08)

L’elevato valore simbolico dell’Italia è confermato anche dal proprietario di un’azienda tessile di medie-piccole dimensioni aperta proprio grazie all’esperienza migratoria. Sostiene infatti che non solo gli operai semplici, che guadagnano circa 9.000 rupie (60 euro) al mese, e che probabilmente non avranno mai l’occasione di partire, ma spesso anche operai specializzati e manager con stipendi più sostanziosi, a suo giudizio, sono interessati all’esperienza migratoria verso l’Italia, confermando così il fascino che questa destinazione possiede tra la popolazione locale.

Preparare il viaggio per l’Italia dato i costi elevati e le scarse occasioni disponibili, appare un obiettivo difficile, che attrae molti ma che non tutti riescono a raggiungere. Scopo di questo capitolo è analizzare le ragioni sociali che trasformano la mobilità umana in un prodotto di mercato, la preparazione della partenza in un’impresa complicata e complessa e quali siano le conseguenze sulle persone.