L A S TRUTTURA G IURIDICO – I STITUZIONALE DELLE F ORZE A RMATE I RACHENE
4. Il Servizio antiterrorismo iracheno
4.3 Il confronto con Dāʿesh
Prima del ritiro statunitense dai territori iracheni, il CTS soffriva di numerosi problemi legati, in particolare, al suo posizionamento nei confronti della struttura istituzionale del Paese e alla parziale illegittimità percepita dal popolo, ma gli stessi problemi persistettero e, anzi, peggiorarono anche in seguito al ritiro di Washington, soprattutto per quanto riguardava la politicizzazione dell’organizzazione e la carenza di risorse di cui disponeva. Alla fine del 2013, Dāʿesh mutò profondamente la propria strategia, poiché non fu più mirata alla conduzione di singoli attacchi terroristici, ma si trasformò in una vera e propria guerra di movimento, segnata dalla conquista progressiva dei territori che cadevano sotto il controllo del gruppo terrorista di matrice jihadista. In risposta alla perdita di importanti città, il CTS fu incaricato di guidare il governo iracheno nelle diverse operazioni di riconquista, con il supporto dell’esercito iracheno, del Ministero dell’Interno e di altri elementi tribali filogovernativi, ma ciò nonostante, nel mese di giugno del 2014, Dāʿesh si impadronì della seconda città irachena più grande, Mosul, autoproclamandosi poi in quella occasione “Stato Islamico”. Da lì a poco seguì poi, come si è visto, l’intervento armato della coalizione multinazionale a guida statunitense. 102
4.3.1 Un bilancio finale
Quando, dopo anni di combattimento, Mosul è stata finalmente liberata nel 2017, il contributo dato dal CTS si rivelò significativo, soprattutto alla luce del fatto che le altre forze di sicurezza irachene, comprendenti l’esercito e la polizia federale, avevano perso buona parte della fiducia pubblica in seguito al crollo avvenuto nel 2014. Ai tempi, infatti, un terzo delle brigate dell’esercito cadde sotto l’avanzata della milizia jihadista, tuttavia, lo stesso non avvenne con il CTS, che ha continuato nel corso degli anni a contrattaccare e opporre resistenza, mostrando quindi una certa correttezza dal punto di vista della concezione militare dell’organizzazione, del reclutamento e della formazione.103 Ciò detto, gli avvenimenti che hanno segnato l’Iraq negli ultimi sette anni hanno
101 Ibidem, p. 22. 102 Ibidem, pp. 33-34.
103 KNIGHTS M. E MELLO A., The Best Thing America Built in Iraq: Iraq’s Counter – Terrorism Service and the Long
War Against Militancy, in War on the Rocks, 19 luglio 2017. Reperibile al link: https://warontherocks.com/2017/07/the- best-thing-america-built-in-iraq-iraqs-counter-terrorism-service-and-the-long-war-against-militancy/.
168
portato però molti ad interrogarsi in merito alla correttezza dell’approccio adottato degli Stati Uniti, soprattutto alla luce della disastrosa performance delle forze armate locali.
L’Iraq sconfitto ed invaso nel 2003 era un Paese avente una propria cultura militare basata, in parte, sulla dottrina britannica e sull’esperienza derivata dai diversi conflitti combattuti dal 1980 in poi. In particolare, sotto il regime di Saddām Husayn, il processo decisionale era stato centralizzato ai più alti livelli, oltrepassando importanti passaggi di controllo previsti all’interno della struttura istituzionale, con la conseguenza che l’esercito era stato profondamente politicizzato, determinando la selezione dei diversi capi sulla base della loro lealtà al regime e trascurando, così, ogni aspetto relativo alla competenza dei candidati. Washington, piuttosto che cercare di migliorare il sistema iracheno, decise di imporre il proprio sistema militare, procedendo dapprima con lo smantellamento della struttura militare esistente per poi volgere i propri sforzi nella creazione di un nuovo apparato di sicurezza. Tuttavia, quando è stato poi avviato il ritiro delle truppe, il nuovo sistema iracheno era ancora in una fase di transizione, durante la quale stava cercando di adattarsi al nuovo modello statunitense imposto: in particolare, mentre il cambiamento era stato raggiunto ai livelli più bassi dell’apparato di sicurezza, i vertici della gerarchia erano ancora legati alla precedente impostazione irachena, tanto che, una volta che gli Stati Uniti lasciarono il Paese, i livelli superiori tornarono ad affermare le tradizionali inclinazioni rinvenibili nella loro cultura militare. In ragione di ciò, alcuni si chiedono se, invece di tentare di impiantare una struttura militare occidentale in Iraq, non sarebbe stato meglio lavorare con il sistema iracheno già esistente ed attuare un approccio meno ambizioso, unendo elementi militari tipici della dottrina dell’Occidente con la cultura locale irachena.104
Volgendo l’attenzione al CTS, in questo particolare caso il sistema statunitense applicato sembra aver funzionato poiché, anche se non perfettamente e con alcune criticità, tuttavia l’organizzazione è riuscita a mantenersi nel contesto di emergenza del 2014, rinsaldando la propria coesione e la propria capacità di combattimento, ottenendo infatti risultati migliori rispetto alle altre unità. Fermo restando quanto fin qui affermato, è pur vero che, come è stato sottolineato da molti, il CTS ha ricevuto da Washington un’attenzione e un sostegno che non ha eguali nell’intero apparato di sicurezza iracheno: le attività di addestramento, assistenza e consulenza sono state continue, permettendo quindi una fruizione maggiore dei principi cardine della dottrina statunitense, elemento che ha inevitabilmente portato il CTS ad assorbire la cultura militare degli Stati Uniti e a farla propria, assicurandosi in tal modo una conduzione migliore delle proprie operazioni, nonostante alcuni tentativi interni di allontanamento dell’organizzazione dalla sua originaria concezione.105
104 WITTY D.,op. cit., p. 38. 105 Ibidem.
169
Il posizionamento del CTS al di fuori della struttura ministeriale irachena ha permesso all’organizzazione di rimanere estranea a particolari circuiti e dinamiche interne che avrebbero, senza dubbio, condotto a fenomeni di corruzione, incompetenza e assenza di leadership, elementi che invece affliggono l’intero apparato governativo e di sicurezza dell’Iraq, tanto che il CTS, pur avendo in parte fatto esperienza di problemi riconducibili alla politicizzazione dell’organizzazione, così come alla sostituzione ingiustificata di alcuni comandanti, è riuscito tuttavia a marginalizzare quei casi sporadici verificatisi, mantenendo inalterata la propria struttura. Per quanto concerne, invece, le reali criticità che il CTS ha dovuto affrontare, queste sarebbero state facilmente evitate tramite un accordo tra le due parti, Baghdad e Washington, al fine di condurre all’approvazione di un nuovo SOFA tale da permettere la continuazione delle attività addestrative e di supporto, fintanto che l’apparato statale iracheno fosse stato realmente pronto ad acquisire la piena e totale autonomia.106
5. I Peshmerga
Alla luce di quanto sottolineato fino ad ora, soprattutto in merito al fallimento della struttura di difesa armata dello Stato iracheno, la nascita e il rafforzamento di gruppi armati esterni al tradizionale apparato statale non dovrebbe sorprendere, tenuto conto, in particolare, dei difficili anni di conflitto che l’Iraq ha dovuto affrontare, dal 2014 in poi, in seguito all’arrivo e alla conquista territoriale condotta da Dāʿesh. In questo contesto, i Peshmerga, cioè le forze militari armate del Kurdistan iracheno, costituiscono indubbiamente il caso studio più interessante ed insolito, a cui è necessario volgere l’attenzione, anche dal punto di vista occidentale, tenendo contro del ruolo decisivo che i Peshmerga hanno avuto nella lotta contro l’IS, tanto che, nell’ambito della Coalizione multinazionale “Inherent Resolve”, l’addestramento dei Peshmerga è stato, ed è tuttora, uno dei principali pilastri su cui si erge la missione e che vede, peraltro, l’Italia impegnata in prima linea tramite i propri militari in servizio presso il Kurdistan Training Coordination Center, situato nell’area del Kurdistan iracheno, al fine di condurre attività addestrative dei Peshmerga e dei loro ufficiali.107
Il termine “Peshmerga” è una parola curda che tradotta significa “coloro che affrontano la morte” e identifica questa complessa e variegata organizzazione di sicurezza, la cui fedeltà si divide tra lo Stato iracheno, il governo regionale del Kurdistan e differenti partiti politici, aspetto che si traduce nella possibilità per l’organizzazione di essere in diversi momenti, ma talvolta anche
106 Ibidem, p. 39.
107 Maggiori informazioni reperibili al link: http://www.esercito.difesa.it/operazioni/operazioni_oltremare/Pagine/Iraq-
170
simultaneamente, una forza nazionale, regionale, di partito, piuttosto che personale. Pertanto, quando si tratta dei Peshmerga ci si trova a dover affrontare una realtà articolata e complessa, che talvolta deve fare i conti con dinamiche a tratti paradossali e che non può limitarsi alla sola considerazione della regione del Kurdistan, poiché la città di Erbil è solo il punto di partenza dal quale poi si estende una vasta rete di legami che giunge fino a Baghdad, alla continua ricerca di una soluzione pacifica per la propria autonomia.