L A S TRUTTURA G IURIDICO – I STITUZIONALE DELLE F ORZE A RMATE I RACHENE
3. L’esercito iracheno
3.2 Le ragioni del fallimento
3.2.2 L’applicazione della Security Sector Reform in Iraq
La digressione teorica in merito alla SSR è stata necessaria al fine di potersi ricollegare al caso iracheno e comprendere le ragioni che hanno portato al collasso del sistema difensivo iracheno, in particolare dell’esercito regolare, nonostante gli Stati Uniti avessero investito, in seguito all’invasione del 2003, notevoli quantità di denaro per la ricostruzione dell’apparato statale. Il motivo principale della disfatta dell’esercito iracheno, di fronte all’avanzata militare di Dāʿesh nel 2014, è da rintracciare in una serie di errori, commessi da Washington, nella conduzione del programma di SSR in Iraq: in particolare, la debolezza insita nelle forze armate del Paese è stata generata dall’incompletezza della ricostruzione del settore della sicurezza.67
Nel contesto della SSR, il ripristino dell’apparato di sicurezza statale, comprendente l’esercito, le forze di polizia, i servizi di intelligence e il controllo dei confini, costituisce un aspetto centrale della ricostruzione post-bellica di uno Stato, ma è altrettanto essenziale trasferire la responsabilità, in materia di garanzia della sicurezza, dalla forza occupante alle autorità del Paese. Quanto detto era, a maggior ragione, ancor più necessario nel caso dell’Iraq, dove lo sconfitto apparato di sicurezza era stato smantellato in nome del processo di “de - baʻthification”, finalizzato a rimuovere l’influenza del partito Baʻth di Saddām Husayn. Nella maggior parte dei casi di costruzione dello Stato, le forze di occupazione si trovano di fronte a un dilemma: le rispettive forze militari devono essere sufficientemente grandi, e dispiegate per un periodo di tempo sufficientemente lungo, al fine di poter ricostruire il settore della sicurezza del paese occupato, tuttavia, vi è anche il rischio che la popolazione locale diventi sempre più insofferente ad uno stanziamento di larga scala delle truppe straniere, peraltro prolungato per un periodo di tempo considerevole. Ciò significa che è necessario raggiungere un compromesso tra la grandezza e la durata della missione, affinché le forze straniere siano considerate una minaccia minore rispetto ad altre minacce domestiche.68
A partire dal 2004, gli sforzi della Coalizione si concentrarono sulla ricostruzione del settore della sicurezza irachena, ma, al contempo, alcuni gruppi militanti iniziarono a confrontarsi e a competere per l’ottenimento del potere all’interno dello Stato: oltre ai continui attacchi contro le
66 SEDRA M., op. cit., p. 17.
67 KNIGHTS M., The Future of Ira’s Armed Forces, Al – Bayan Center Publications Series, Baghdad, marzo 2016, p. 16. 68 STÖHS J., op. cit. pp. 147 -148.
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forze della Coalizione, le milizie sunnite e sciite intrapresero un confronto diretto l’una contro l’altra, prendendo di mira anche le forze di sicurezza irachene appena formate. In aggiunta a ciò, al- Qāʿida, gruppo terroristico precursore di Dāʿesh, iniziò a condurre una serie di attacchi terroristici su larga scala in tutto il paese, colpendo sia la Coalizione che la popolazione civile, con enormi effetti destabilizzanti ed alimentando, ulteriormente, la lotta per il potere tra le diverse comunità presenti in Iraq. La situazione di violenza crebbe al punto da trasformare il conflitto in una guerra confessionale, mentre le truppe statunitensi, di numero troppo ridotto per dispiegare un’ampia azione di contrasto, non riuscirono ad evitare l’escalation dello scontro.69 La situazione iniziò a mutare a partire dal 2007, quando Washington decise di avviare una campagna militare volta al ripristino della stabilità politica dell’Iraq, che stava ormai scivolando in una guerra civile: generalmente conosciuta come “the surge”, la nuova missione statunitense comportò l’invio in Iraq di cinque brigate aggiuntive (circa 20 mila soldati), con lo scopo di imprimere una svolta significativa in favore della Coalizione. Inoltre, altri fattori interni al Paese iniziarono a mutare, tra cui un generale ripensamento dei gruppi sunniti, i quali, a fronte delle atrocità commesse da al- Qāʿida nei confronti dei civili, si rivolsero agli Stati Uniti per l’ottenimento di maggiore supporto, atteggiamento al quale si allinearono anche le milizie sciite, le quali furono persuase ad abbandonare la rivolta e a collaborare con il governo di Baghdad, guidato dal primo Primo ministro eletto democraticamente, Nūrī al-Mālikī (2006 – 2014).70
Le statistiche di allora mostrano che, a partire dal 2008, la violenza nel Paese si ridusse dell’80%, mentre la violenza di matrice etnico – confessionale calò di oltre il 90% dall’inizio della missione “the surge”. Contemporaneamente, più di 550 mila individui, facenti parte del personale addetto alla sicurezza, furono addestrati ed equipaggiati: tra questi 230 mila uomini costituirono le nuove forze armate irachene, con l’aggiunta di oltre 100 mila nuovi soldati e ufficiali di polizia reclutati ogni anno. Tuttavia, l’apparente rafforzamento del governo centrale si rivelò il preludio ad un nuovo conflitto: il nascente apparato statale iracheno rimase di predominanza sciita e, conseguentemente, non fu considerato neutrale da parte di molti sunniti, inoltre, dal punto di vista sunnita, gli Stati Uniti non stavano semplicemente addestrando ed equipaggiando un esercito nazionale e una forza nazionale di polizia, ma piuttosto una fazione opposta in un’ottica di guerra civile, nozione peraltro rafforzata dall’inclusione di al – Sadr e della sua milizia sciita.71
Quando il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, iniziò il mandato nel 2009, fu irremovibile in merito alla volontà di mantenere le promesse fatte in campagna elettorale:
69 Ibidem.
70 Ibidem, p. 149. a
71 Muqtada al – Sadr è un religioso iracheno di orientamento sciita, leader del Movimento Sadr e della milizia affiliata.
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l’amministrazione Obama avrebbe riportato a casa le forze statunitensi dall’Iraq e fatto della guerra in Afganistan una priorità. In realtà, già con il suo predecessore, George W. Bush, erano state avviate le negoziazioni tra Washington e Baghdad, le quali si erano accordate per la firma di un accordo, il cosiddetto Status of Force Agreement (SOFA), ai sensi del quale le truppe statunitensi avrebbero lasciato i centri urbani dal 30 giugno 2009, fino a lasciare completamente l’Iraq entro la fine del 2011. Tramite il trasferimento di responsabilità in capo alle forze locali, da parte del comando anglo – statunitense, l’Iraq compì un importante passo verso il consolidamento della sua sovranità, ma con il senno di poi, si potrebbe sostenere che il ritiro degli americani sia stato dannoso per la stabilità del Paese: sia il governo degli Stati Uniti che il Primo ministro al-Mālikī non si accordarono per la firma di un nuovo SOFA, grazie al quale le forze statunitensi sarebbero potute rimanere nel Paese, al fine di assicurare supporto e addestramento ulteriore alle forze armate irachene, le quali furono quindi lasciate sole a combattere in una situazione che, tuttavia, era più ricca di debolezze che di punti di forza.72
3.2.2.1 L’assenza di leadership in un sistema corrotto
Le unità irachene per la sicurezza dovettero affrontare numerosi problemi in seguito al 2003, che, tuttavia, non furono completamente risolti e sanati da parte degli americani: i capi furono di frequente selezionati sulla base della loro affiliazione etnico – confessionale, attraverso un sistema di quote; furono coinvolti numerosi ufficiali male addestrati, promossi però da alcuni partiti politici, che ne sostennero poi la nomina per posizioni di comando nonostante la loro totale inadeguatezza per i ruoli in questione. La corruzione era largamente diffusa anche quando, nel 2009, le forze armate irachene raggiunsero l’apice della loro forza e compattezza, dimostrando come le debolezze insite nella leadership della struttura militare irachena non fossero state risolte, nonostante la presenza sul terreno di circa 180 mila soldati americani.73
Quando Washington avviò il ritiro delle truppe tra il 2009 e il 2011, dapprima dalle città e poi gradualmente in ogni provincia, la qualità della leadership irachena iniziò a declinare, coinvolgendo, dunque, anche il complesso settore della sicurezza. Nello specifico, un fattore significativo è stato certamente rappresentato dall’eccessiva politicizzazione della struttura di comando e controllo: i partiti politici alla guida del governo iracheno sostituirono le cariche di comando superiore al fine di assicurare il collocamento ai vertici dei loro nominati politici. Pertanto, il favoritismo di matrice politica, tribale e familiare si espanse in modo totalmente incontrollato e le cariche più alte della gerarchia militare, responsabili quindi del comando armato,
72 Ibidem, p. 150.
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amministrazione, pianificazione, addestramento e funzioni logistiche, furono assegnate a persone totalmente prive di qualifiche, le quali non avevano alcun interesse nella prosecuzione dello sviluppo militare e di sicurezza dell’Iraq, essendo maggiormente focalizzate nell’arricchimento personale perseguito tramite il ricorso alla corruzione.74
Come hanno osservato alcuni studiosi, al momento del ritiro statunitense dall’Iraq, la struttura delle forze armate del Paese poteva essere paragonata ad una piramide invertita: in cima vi era un’ampia base di alti ufficiali e comandanti, in competizione l’uno con l’altro per l’ottenimento di vantaggi in un sistema permeato dalla corruzione, mentre al di sotto vi era un gruppo altamente ristretto di buoni ufficiali e funzionari non commissionati. Tuttavia, il funzionamento di un sistema così viziato non poteva durare a lungo e, infatti, l’intera struttura cadde di fronte all’arrivo del primo nemico, in questo caso Dāʿesh.75
3.2.2.2 La mancanza di adeguati servizi di supporto
In realtà, l’incompiutezza della ricostruzione irachena era già nota ad alcuni, tanto che al momento del ritiro degli Stati Uniti, vi fu chi sottolineò il fatto che la data del 2012, per il ritiro delle forze armate statunitensi, fosse una data politica arbitraria, stabilita da politici che non comprendevano quanti componenti di supporto essenziali non fossero ancora stati costruiti in seguito allo smantellamento avvenuto nel 2003. Uno dei motivi che portò al fallimento nella ricostruzione di alcuni servizi è da rinvenire nel fatto che, inizialmente, buona parte dei servizi coinvolti non erano necessari poiché gli stessi venivano già forniti dagli Stati Uniti, come nel caso della difesa aerea, artiglieria, logistica, ingegneria, intelligence, comunicazioni e servizi di supporto medico. Quando la missione “the surge” degli Stati Uniti, per il consolidamento della stabilità politica irachena, fu conclusa e lo sviluppo dei servizi di supporto poteva finalmente iniziare, il ritiro di Washington era già stato avviato.76 Nel momento in cui Dāʿesh intraprese la propria azione militare, le forze di sicurezza irachene erano già pronte per un grave disastro militare, dato che esse sapevano di poter intraprendere azioni di contro – insurrezione solo nei confronti di guerriglieri scarsamente armati, non essendo in grado di fronteggiare situazioni di tensione caratterizzate da combattimenti ad alta intensità, come avvenne nel caso di Dāʿesh, che era invece ben equipaggiato e aveva accesso all’utilizzo di mezzi pesanti.77
74 Ibidem, p. 18.
75 KNIGHTS M. E JAAFAR J., Restoring the Iraqi’s Pride and Fighting Spirit, in The Washington Institute, 8 luglio 2015. 76 KNIGHTS M.,op. cit., p. 18-19.
158 3.2.2.3 I limiti posti dal sistema politico
Quanto fin qui evidenziato è da inserire in un più ampio quadro che coinvolge l’intero sistema politico dell’Iraq. Infatti, c’è chi ritiene che la caduta di Mosul, nel 2014, sia stata il risultato diretto dei difetti insiti nel sistema politico istituito dopo la fine del regime di Saddām Husayn. Il danno che la corruzione ha inflitto alle istituzioni irachene, di cui si è detto pocanzi, è stato in parte causato dal cosiddetto sistema muhasasa, il quale prevede che i governi di unità nazionale debbano soddisfare delle precise quote confessionali.78 In particolare, il sistema prevede la distribuzione degli incarichi di maggior rilievo, all’interno del governo, tra i tre principali gruppi che compongono la popolazione irachena, ossia sciiti, sunniti e curdi: la scelta di adottare questo singolare sistema di quote è da inserire nel particolare frangente storico in cui si trovava l’Iraq, e cioè la caduta del regime dittatoriale di Saddām Husayn, il quale aveva, per circa ventiquattro anni, perseguitato ed emarginato politicamente la maggioranza sciita del Paese, oltre a quella curda localizzata prevalentemente nei territori a nord – ovest.79
Tuttavia, il risultato di tale logica è stato che, alla divisione degli incarichi, ha poi fatto seguito la spartizione delle ricchezze dell’Iraq associate ai diversi ministeri, favorendo il clientelismo e la corruzione politica, nonché un approccio incoerente alla governance e, quindi, all’erogazione dei servizi da parte del governo, ivi incluso il settore della sicurezza. Dopo il 2003, l’intera politica irachena è stata strutturata secondo la logica del sistema muhasasa e la maggior parte dei partiti ha iniziato a rafforzare il sostegno ricevuto facendo appello alle identità religiose ed etniche all’interno dei loro collegi elettorali.80 In effetti, il sistema muhasasa presenta numerosi punti deboli: con lo scopo dichiarato di voler tutelare le diverse anime che compongono la società, ha però bloccato sul nascere ogni tentativo di creazione di una cittadinanza irachena comune, aumentando invece le divisioni all’interno della società su base etnico – settaria. Peraltro, il sistema basato sulle quote non è servito a mitigare le rivalità per la conquista del potere tra le varie fazioni, alimentando lotte interne per il consolidamento di posizioni politicamente ed economicamente rilevanti, il tutto a discapito dei cittadini, i quali, scesi in piazza a manifestare dall’inizio del mese di ottobre del 2019, chiedono al governo anche l’abolizione di questo sistema.81 Infine, il sistema
muhasasa va incontro anche agli interessi di potenze straniere e non è un caso che questa logica
settaria abbia ricevuto il sostegno degli Stati Uniti e dell’Iran, due Paesi che hanno potuto acquisire un forte potere decisionale nelle questioni interne all’Iraq: infatti, la divisione settaria della politica ha permesso, sia a Washington che a Teheran, di sfruttare le rivalità tra i gruppi a proprio vantaggio,
78 DODGE T., Can Iraq Be Saved?, in Survival, 2014, pp. 7-20.
79 IBRAHIM A., Muhasasa, the Political System Reviled by Iraqi Protesters, in Aljazeera, 4 dicembre 2019. 80 DODGE T., op. cit., pp. 7-20.
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contribuendo al mantenimento di un governo a Baghdad che è, però, intrinsecamente debole e dipendente dal sostegno estero. In questi ultimi anni, l’Iran è stato il Paese che, tra i due eterni rivali, ha tratto maggiori vantaggi da tale sistema, al quale deve quindi molto alla luce del successo ottenuto nella conduzione della propria strategia politica regionale.82
Quanto fin qui affermato è interessante per una lettura delle recenti tensioni scaturite tra Teheran e Washington, le quali, in seguito all’uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani, appaiono inclini ad un confronto proprio sul suolo iracheno, alla luce della reciproca intolleranza dovuta alla presenza delle forze armate di entrambi i Paesi. Probabilmente, non è un caso che l’attacco statunitense sia giunto in un momento di forte consolidamento dell’influenza della Repubblica islamica in Iraq, dove le forze armate di Teheran, grazie all’azione dell’unità Niru-ye
Qods, hanno avuto un ruolo significativo, al fianco della Coalizione internazionale a guida
statunitense, nella sconfitta territoriale di Dāʿesh.83