L A S TRUTTURA G IURIDICO – I STITUZIONALE DELLE F ORZE A RMATE I RANIANE
1. L’esercito dello shāh nemico della Rivoluzione
Durante il moto rivoluzionario a cavallo tra il 1978 - 79, l’apparato militare iraniano fu oggetto di rifiuto da parte del popolo in sommossa, poiché considerato un anacronismo monarchico ed uno strumento oppressivo del regime: infatti, anche se la monarchia giunse ufficialmente alle proprie battute finali quando lo shāh, Mohammad Reza Pahlavi, lasciò l’Iran a metà del mese di gennaio del 1979, le forze di opposizione continuarono a considerare l’esercito come il principale nemico nazionale. La ragione di tale ostilità, oltre a risiedere nell’efferata azione di repressione attuata dalle forze armate nei confronti dei manifestanti, era alimentata anche dal timore di un’azione controrivoluzionaria degli ufficiali al fine di veder ristabilito il sistema monarchico, in ragione del forte sentimento di fedeltà che legava le forze armate al regime.1
Con l’avvio della nuova fase politica dell’Iran, le idee e le proposte furono molte e differenti, avanzate da parte delle principali anime rivoluzionarie, ma tutti concordarono su alcuni punti
1 SCHAHGALDIAN N.B., The Iranian Military Under the Islamic Republic, RAND Corporation, California, marzo 1987,
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riguardanti le forze armate, in particolare si mirava all’indebolimento dell’influenza politica degli ufficiali, alla riduzione dei contingenti e all’eliminazione di tutti i privilegi a loro accordati. Già nel marzo, 1979, il governo annunciò la conversione della base navale in costruzione a Chah Bahar in un porto di pesca, dichiarando che non sarebbe più stata responsabilità iraniana il controllo, quasi poliziesco, del Golfo Persiano; i contratti siglati con gli Stati Uniti, ed altre nazioni occidentali, per l’acquisto di moderni armamenti furono cancellati o congelati, così come furono espulsi dal Paese tecnici e consiglieri di nazionalità straniera; le stazioni di sorveglianza statunitense furono chiuse e si procedette al ritiro del contingente iraniano stanziato in Libano, nel quadro dell’operazione sotto l’egida delle Nazioni Unite, e in Oman.2
Nonostante le numerose misure intraprese, questa linea di azione lasciò comunque scontente quasi tutte le parti in gioco: ciò a cui i gruppi rivoluzionari miravano era il totale controllo civile sull’élite professionale militare e la sostituzione della stessa, storicamente legata al regime dello shāh. Pertanto, la soluzione a tale problema non poteva che essere il ricorso ad un’epurazione, ma quando fu necessario determinare i limiti e gli specifici strumenti da attuare nel perseguimento di questa politica, l’accordo tra le parti venne meno.3 Nel primo anno post – rivoluzionario, il destino dell’apparato militare fu caratterizzato da fasi alterne in relazione alle diverse posizioni delle parti in conflitto tra loro, anche se, in definitiva, la posizione dei gruppi di sinistra prevalse, giocando quindi un ruolo fondamentale nelle varie ondate di epurazioni alle quali le forze armate furono soggette. L’inizio di questa fase è generalmente indicato con la data del 15 febbraio 1979, giorno in cui quattro dei principali generali dell’esercito iraniano furono giustiziati: andando avanti anche gli ufficiali appartenenti ai ranghi inferiori furono presi di mira, sebbene il personale più colpito rimase quello con incarichi ai vertici del sistema. Questo processo fu condotto da diverse agenzie, tra le quali i Consigli rivoluzionari e le società e associazioni islamiche, spesso dominate da fanatici religiosi e rivoluzionari di sinistra di vario tipo, i quali talvolta procedettero senza un vero e proprio schema rigido di selezione.4
2 Ibidem, pp. 17-18.
3 I rivoluzionari di sinistra, come il gruppo dei radicali islamici marxisti, chiese la completa dissoluzione dell’intero
apparato militare iraniano e la sua sostituzione con una sorta di “esercito del popolo”, caratterizzato da una ristretta struttura verticale di comando e controllato da alcuni comitati decentralizzati dei soldati. Inoltre, gli stessi gruppi insistettero per l’eliminazione anche fisica di coloro che erano considerati come traditori e nemici del popolo. Il partito filosovietico Tudeh non si spinse fino al punto di chiedere la totale dissoluzione dell’esercito, ma si limitò ad avanzare l’ipotesi di un’epurazione nei confronti degli ufficiali. L’Ᾱyatollāh Khumaynī e alcuni suoi sostenitori, sebbene privi di fiducia nei confronti dell’élite professionale militare, non avevano una visione ben definita sul da farsi, alternando dichiarazioni a favore di un’integrazione dell’esercito con le milizie rivoluzionarie, con altre inclini all’eliminazione degli elementi corrotti. Ibidem, pp. 18-19.
82 1.1 Gli effetti delle epurazioni
Entro la fine del 1979, la maggior parte degli ufficiali più vicini allo shāh e di coloro che erano noti per le loro posizioni filoamericane furono eliminati e si passò, così, alla seconda fase del processo delle epurazioni, che si estese ai ranghi più bassi del personale militare e che coincise con la crescita e il consolidamento del potere politico del partito repubblicano islamico filo khomeinista, il quale poté ridurre gradualmente i propri legami con le forze nazionaliste liberali e di sinistra. Ciò permise al partito di controllare ben presto l’intera macchina amministrativa delle forze armate professionali e, al fine di condurre il processo di epurazione in modo più sistematico ed efficiente, si optò per il ricorso all’organizzazione militare di intelligence dello shāh, che rinominato Ufficio Politico – Ideologico e divenuto parte del Ministero della Difesa, venne incaricato di condurre le epurazioni al fine di neutralizzare qualsiasi elemento indesiderato e scomodo per il regime.5
Le epurazioni ebbero una portata significativa sull’esercito professionale iraniano: la maggior parte, se non tutti, gli ufficiali di bandiera del sovrano furono giustiziati, imprigionati o, in rari casi, riuscirono ad espatriare. In totale, oltre diecimila individui del personale militare, appartenente a tutti i ranghi, furono epurati e, nel settembre del 1980, fu ufficialmente annunciato che il numero dei militari coinvolti superava i diecimila individui, che sale drasticamente a ventitremila se si considera l’arco di azione protrattosi fino al 1986 e che coinvolse anche civili legati al settore della difesa. La portata di tale politica fu tale da intaccare tutti i servizi, anche se i settori più colpiti furono quelli della polizia nazionale e della gendarmeria, a cui seguirono le forze di terra.6
Oltre alle ingenti conseguenze in termini quantitativi, anche a livello qualitativo gli effetti delle epurazioni attuate dalla nascente Repubblica islamica furono significativi, soprattutto in senso negativo, poiché minarono l’abilità dell’esercito professionale nella conduzione delle operazioni, soprattutto in quelle ad elevata concentrazione tecnica. Al fine di colmare i vuoti createsi, le autorità iraniane optarono per una politica mirante a promuovere in tempi brevi gli ufficiali dei ranghi minori, molti dei quali, tuttavia, giunsero a ricoprire posizioni di comando pur non avendo seguito un percorso addestrativo adeguato alla conduzione di tale ruolo. Ciò nonostante, gli effetti positivi derivanti da questo processo furono, innanzitutto, un notevole rafforzamento della fedeltà politica dei giovani ufficiali nei confronti del regime islamico, che dava loro la possibilità di avanzare rapidamente tra i diversi ranghi nella gerarchia militare, ed, infine, il raggiungimento dell’obiettivo originario delle epurazioni, che consisteva nella creazione di uno “stato del terrore” tra i membri dell’esercito: anche a fronte di specifiche politiche del regime, rispetto alle quali i militari erano in
5 Ibidem. 6 Ibidem, p. 26.
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disaccordo, tuttavia gli stessi erano costretti a sottomettersi al volere del regime, al fine di non incorrere nelle conseguenze derivanti dalla mancata conformazione agli ordini.7
1.2 La necessità di ripensare la struttura delle forze armate
Tra i differenti successi dell’Iran post – rivoluzionario, la modalità tramite la quale il regime clericale è riuscito a consolidare il proprio potere è certamente uno dei più sorprendenti, e ciò non potrebbe essere più evidente come nel caso dell’apparato militare che il governo rivoluzionario ereditò dalla monarchia. Fin dagli inizi della Repubblica islamica, gli esponenti del clero erano ben consapevoli del rischio potenziale, posto dall’esercito dello shāh, per la loro stessa sopravvivenza politica, motivo per cui insistettero per una radicale riorganizzazione della struttura di comando e controllo militare. Guardando alle caratteristiche di cui il nuovo apparato è stato dotato, emerge con estrema evidenza come l’esercito professionale iraniano sia stato progettato specificatamente per assicurare la piena supremazia delle regole del clero islamico.8
Aspetto centrale per la riuscita di tale modello fu, certamente, il consolidamento del pieno controllo politico sulle forze armate, che tuttavia non poté prescindere da una fase di indottrinamento e controllo ideologico, condotto in particolar modo dal comitato centrale del partito repubblicano e dal direttorato politico – ideologico. Quest’ultimo, nonostante ufficialmente sia parte del Ministero della Difesa, nella realtà è un organo indipendente, costituito da civili e militari, responsabile di intraprendere tutte le azioni necessarie per l’educazione politica e ideologica delle truppe, il contrasto di dissidenti per la sicurezza interna, la propaganda politica e altri compiti simili ad essi collegati. Sotto diversi aspetti, il direttorato politico – ideologico appare simile al principale direttorato politico delle forze armate sovietiche.9
Aspetto interessante, alla luce anche della comparazione con l’Iraq, è il ruolo della composizione etnica all’interno dell’esercito. Infatti, l’idea per cui sia necessario mantenere un controllo forte sulle diverse minoranze etniche, ricorrendo anche al potere militare se necessario, rimane un principio irremovibile per le autorità islamiche, così come lo era stato per i loro predecessori. Ciò si giustifica, in parte, per il fatto che i motivi politici, ideologici, familiari e personali giocano un ruolo più preponderante, tra le relazioni interpersonali all’interno delle forze armate, rispetto a quelli puramente etnici, tuttavia, ciò non significa nemmeno che le identificazioni etnico – religiose tra gli ufficiali siano da dare per scontate. La Rivoluzione ha, in effetti, impedito a molte minoranze non musulmane di ricoprire posizioni di potere sia all’interno che all’esterno
7 Ibidem, p. 27. 8 Ibidem, p. 28. 9 Ibidem, p. 30.
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dell’esercito professionale, eccezion fatta per alcuni cristiani armeni coinvolti in particolari ruoli di rilevanza tecnica, mentre i gruppi musulmani non sciiti sono stati largamente esclusi.10