L A S TRUTTURA G IURIDICO – I STITUZIONALE DELLE F ORZE A RMATE I RANIANE
3. Il Corpo delle guardie della Rivoluzione islamica
3.2 Lo Statuto dell’IRGC
3.3.1 Tensioni nelle dinamiche interne ai poteri dello Stato
L’attuale Presidente della Repubblica islamica, Hassan Rouhani, con il supporto del gruppo moderato, è visto da Khāmeneī come colui che sta conducendo l’Iran verso un graduale cambiamento politico e che, nel fare ciò, si sia schierato contro la storica alleanza Khāmeneī –
74 Il JCPOA, Joint Comprehensive Plan of Action, è un accordo siglato nel mese di luglio del 2015, entrato poi in vigore
a partire da gennaio 2016, che impone restrizioni al programma di arricchimento nucleare dell’Iran, il quale, dopo due anni di negoziati, ha raggiunto l’intesa con il cosiddetto gruppo 5+1, ovvero comprendente i cinque membri permanenti che siedono in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti) più la Germania, oltre all’Unione Europea. L’obiettivo primario del JCPOA è impedire all’Iran di sviluppare una tecnologia tale da permettergli di costruire ordigni atomici, consentendogli, tuttavia, di proseguire il programma finalizzato alla produzione di energia nucleare per gli usi civili. A fronte del rispetto degli impegni assunti, dal 2016 lo Stato iraniano ha beneficiato della rimozione delle precedenti sanzioni economiche imposte da Stati Uniti, Unione Europea e Consiglio di sicurezza dell’ONU, ed emanate tramite la Risoluzione n. 1747 (2007). Con la sottoscrizione del JCPOA, da parte sua l’Iran si è impegnato ad eliminare le sue riserve di uranio a medio arricchimento e a tagliare del 98%, invece, quelle a basso arricchimento, ma ciò si accompagna anche all’impegno assunto per la riduzione di oltre due terzi delle centrifughe a gas per tredici anni (da 19 mila a 6.104, di cui soltanto 5.060 destinate all’arricchimento dell'uranio per i prossimi dieci anni). Peraltro, le centrifughe rimaste attive devono essere di prima generazione e, dunque, meno efficienti e moderne. L’Accordo sul nucleare iraniano prevede, altresì, che nei primi quindici anni successivi alla firma dello stesso, Teheran potrà arricchire l’uranio ad una gradazione che non risulti essere superiore al limite posto di 3,67%, mentre le attività per l’arricchimento dell’uranio, similmente a quelle finalizzate alla ricerca, potranno essere condotte limitatamente ad un singolo impianto, mentre sarà intrapresa un’azione di conversione di altri impianti al fine di non incorrere nel rischio di proliferazione nucleare. Pertanto, allo scopo di assicurare un controllo effettivo del rispetto degli obblighi assunti da parte di Teheran, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) condurrà ispezioni in tutti gli impianti nucleari iraniani, sebbene gli ispettori dell’agenzia potranno accedere ai soli siti precedentemente concordati nell’accordo e, pertanto, si renderà necessario il consenso del governo iraniano affinché si possa condurre l’ispezione anche negli altri siti. Joint Comprehensive Plan of Action, 14 luglio 2015, Vienna; BONGIORNI R., Cosa prevede lo storico accordo sul nucleare con l’Iran del 2015, in Il Sole24Ore, 2 maggio 2018.
75 The Revolutionary Guards, Past, Present and Directions for Future Development, in ICT – International Institute for
Counter – Terrorism, Iran and Shi’ite Terrorism Desk, novembre 2018. Reperibile al link: https://www.ict.org.il/Article/2289/The_Revolutionary_Guards#gsc.tab=0.
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IRGC. La tensione tra i principali vertici del potere iraniano è palpabile e per comprenderla è sufficiente considerare un recente attacco che il Presidente ha fatto nei confronti delle pratiche portate avanti dal regime, quando in un suo discorso ha definito il primo Parlamento eletto della Repubblica Islamica (1980 – 84) il più libero e rappresentativo della volontà del popolo iraniano, poiché poteva contare tra i suoi membri anche esponenti comunisti e dissidenti dell’ideologia komeinista. L’attacco era dunque diretto a Khāmeneī e al Consiglio dei guardiani, che godono del potere di approvare o meno qualsiasi candidato che intenda correre ad elezioni.76
Con il proprio discorso, Rouhani desiderava ricordare al pubblico iraniano che il potere di Khāmeneī non è derivante dal risultato di uno scrutinio elettorale, ma piuttosto dal ricorso alle armi dell’IRGC. Non è la prima volta che Rouhani attacca il potere della Guida suprema, rimarcando, in particolare, il profondo squilibrio nella distribuzione dei poteri all’interno dell’impianto istituzionale iraniano, nel quale il Presidente della Repubblica islamica è impossibilitato ad esercitare un ruolo significativo nella conduzione della politica nazionale ed estera del Paese, tanto che ha dichiarato che il popolo non deve crearsi alcuna aspettativa nei suoi confronti poiché egli è, in pratica, privo di poteri e che, peraltro, alcun cambiamento sarà possibile in Iran fintanto che non si interverrà modificando l’impianto costituzionale, alludendo al monopolio di potere creatosi intorno a Khāmeneī e all’IRGC.77
Dietro all’accusa di Rouhani alla Guida suprema si cela, nella realtà, una sfida nei confronti dei pāsdārān e della struttura che permette il mantenimento della loro supremazia ed è, probabilmente, anche in ragione di ciò che Khāmeneī ha recentemente apostrofato le Guardie Rivoluzionarie, chiedendo loro di “tenersi pronte”, alludendo così ad un più generale avvertimento ad essere vigili rispetto a coloro che, chiedendo riforme politiche, mirano a rompere il modello di comando Khāmeneī – IRGC. In ogni caso, l’interpretazione più diffusa, tra l’opinione pubblica iraniana, è che la Guida suprema stia ordinando ai capi dei pāsdārān di farsi promotori, in prima linea, della rivoluzione e di denunciare come controrivoluzionari tutti coloro che si dichiareranno contrari al loro operato. Tuttavia, la scelta di lasciare carta bianca all’IRGC, in merito alle modalità di confronto con i loro nemici, non è priva di rischi: oggi, più che nel 1989, è largamente diffuso tra la popolazione un sentimento di intolleranza nei confronti delle Guardie Rivoluzionarie, considerate come i principali agenti della repressione in Iran. Quanto fin qui affermato è avvalorato dal coinvolgimento in vari scandali politici e di corruzione di numerosi funzionari dell’organo militare,
76 VATANKA A., Iran’s IRGC has Long Kept Khamenei in Power, in Foreign Policy, 29 ottobre 2019. 77 Ibidem.
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rafforzando così ulteriormente la rabbia del popolo per la natura predatoria dei pāsdārān e per il loro ruolo come principale ostacolo alle riforme politiche.78
Dunque, a quarant’anni dalla Rivoluzione islamica, l’IRGC si trova di fronte a una scelta fondamentale: se rafforzare ancora di più la propria azione di contrasto al governo, guidato da Rouhani, oppure pensare ad una nuova strategia d’azione, che assicuri il mantenimento del proprio ruolo politico, nonché degli ingenti interessi economici, nella Repubblica islamica dell’Iran. L’attuale debolezza dell’IRGC si manifesta con maggiore chiarezza se si considera l’insieme dei rapporti di potere interni all’Iran, nel quale i pāsdārān e i loro sostenitori politici faticano a trovare una valida alternativa alla visione offerta dall’attuale Presidente della Repubblica islamica, Hassan Rouhani, e dai repubblicani. L’unica figura di spicco all’interno dell’IRGC, che godeva di un forte potere e consenso politico, era il generale Qasem Soleimani, grande regista politico della regione che, a partire dal 1998, era stato a capo dell’unità d’élite Niru-ye Qods, anche detta “Brigata Gerusalemme”, responsabile della diffusione dell’ideologia di Khumaynī al di fuori dei confini della Repubblica islamica.79 La morte di Qasem Soleimani, avvenuta il 3 gennaio 2020, in un attacco mirato contro l’aeroporto internazionale di Baghdad, su ordine del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, ha innescato una serie di avvenimenti repentini che, al momento, sembrano prefigurare un nuovo scenario di conflitto in Medio Oriente. L’ostilità di Washington nei confronti del generale iraniano assassinato e dell’unità Niru-ye Qods dell’IRGC, posta sotto il suo comando per ventidue anni, era risaputa e trova motivazione nella politica regionale portata avanti da Teheran, tuttavia, la morte di Soleimani per volere diretto di Trump ha colto di sorpresa l’intera comunità internazionale, trattandosi di un atto di ostilità che suona più come una chiara dichiarazione di guerra, soprattutto alla luce della grande stima di cui il generale iraniano godeva non solo nel suo Paese, dove era dato come possibile candidato alla presidenza, ma anche fra i vicini alleati regionali.