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Conclusa questa prima parte generale in merito allo studio delle relazioni politico militari, è ora possibile volgere l’attenzione allo sviluppo di queste stesse tematiche all’interno di una

16 Ibidem pp. 2-3. 17 Ibidem pp. 3-5.

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specifica area di analisi, appunto il Medio Oriente, così da condurre una riflessione sui due casi studio qui analizzati, l’Iran e l’Iraq. Infatti, le questioni inerenti alle relazioni politico – militari sono strettamente legate ai processi di transizione da un sistema di governo ad un altro, sia che ciò avvenga in seguito a colpi di Stato sia attraverso riforme politiche non violente, aprendo dunque ad una nuova fase di democratizzazione del Paese. Come è prevedibile, una caratteristica centrale dei regimi democratici è l’esercizio del controllo politico sull’apparato militare, mentre una caratteristica ricorrente nei regimi autoritari e dittatoriali è l’esistenza di un governo militare, o l’esercizio di una forte influenza da parte dell’apparato militare, sulle istituzioni civili del governo. Dunque, studiare le relazioni politico – militari è un modo tramite il quale condurre un’indagine sui diversi livelli di democrazia di uno Stato rispetto all’autoritarismo.18

A partire dalla fine degli anni Ottanta, numerosi studiosi hanno cercato di spiegare la mancanza di democratizzazione, nonché la persistenza di regimi autoritari, che attraversa tutta la regione del Medio Oriente: in genere, le tradizionali spiegazioni addotte alla scarsa democratizzazione di questa regione si riferiscono a quattro principali fattori: 1) la debolezza delle società civili; 2) le economie che sono generalmente controllate dallo Stato; 3) gli alti livelli di povertà, analfabetismo e disuguaglianza; 4) la localizzazione geografica alla periferia dell’”epicentro” democratico; 5) un certo grado di specificità della regione.19 Anche in questo caso, così come era stato per le teorie sulle relazioni politico – militari, non è identificabile una visione unanimemente accolta, poiché ciascuno studioso politico tende ad avvalorare un aspetto piuttosto che un altro e, inoltre, a ciò si aggiunge anche una conferma empirica alterata delle ipotesi avanzate, dato che, determinate assunzioni sono rintracciabili anche in altri Paesi o regioni del mondo, ma presentano risultati finali diversi rispetto al Medio Oriente. Ad esempio, l’Africa subsahariana è una regione ugualmente povera, se non addirittura più povera, con società civili molto deboli e ben lontana dal cosiddetto “centro delle democrazie di successo”, ma ciò nonostante è una regione nella quale sono rinvenibili diversi Stati che hanno saputo gestire fasi di transizione democratica. Pertanto, i fattori sopra elencati possono spiegare solo parte della resistenza alla democratizzazione, ma non il fenomeno nel suo complesso.20

Studiare le relazioni politico – militari di un Paese è importante, giacché l’identificazione di un controllo politico e democratico dell’apparato militare è un elemento chiave per l’affermazione di un settore della sicurezza efficace e trasparente, tuttavia il Medio Oriente, così come il Nord Africa, rappresenta un’area geografica che, storicamente, è sempre stato difficile riformare: non

18 KÅRTVEIT B. E JUMBERT M.G., Civil – Military Relations in the Middle East: A Literature Review, in CMI Working

Paper, n. 5, giugno 2014.

19 Ibidem p. 2. 20 Ibidem p. 2-3.

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solo la maggior parte dei sistemi politici del Medio Oriente non sono totalmente democratici, ma le relazioni politico – militari si sono di frequente ridotte ad un confronto, diretto e continuo, tra l’élite politica civile e le forze armate. Numerosi sono i casi di colpi di Stato operati dai militari, a cui talvolta sono seguiti, a fronte del tentativo fallito, periodi di aspre repressioni contro i membri delle forze armate. La corretta applicazione della Security Sector Reform, di cui a lungo si è parlato, deve essere percepita non come un mero strumento di democratizzazione, tanto che, nelle sue ultime elaborazioni, l’assicurazione della “human security” è ritenuta essere l’obiettivo primario, prima ancora dell’esercizio di un controllo politico e, difatti, è possibile spianare la strada alla democrazia perseguendo dapprima la sicurezza umana, il che significa disporre di forze di sicurezza efficaci e volte alla stabilizzazione democratica.21 La maggior parte delle ricerche sulle forze di sicurezza del Medio Oriente si focalizza sulle sole forze armate, tralasciando così il ruolo svolto dei capi civili e come essi tentano di esercitare il controllo sull’apparato statale: ciò nonostante, gli attori civili, sia che essi operino in sistemi semi democratici o autoritari, ricoprono un fondamentale ruolo nella creazione di un sistema di sicurezza efficace e altresì trasparente, poiché si presuppone che essi siano destinati, non solo a finanziare e ad indirizzare strategicamente le istituzioni per la sicurezza, ma anche a fare in modo che queste stesse istituzioni militari non sviluppino ambizioni politiche che travalicano dal loro ruolo. Pertanto, il triste scenario delle forze armate in Medio Oriente è, in parte, anche il risultato di autorità civili inefficaci.22

Per quanto riguarda l’Iran e l’Iraq, ci si trova di fronte a due Paesi che sono parte del Medio Oriente e che hanno poi sviluppato un proprio percorso istituzionale profondamente diverso l’uno dall’altro, e che peraltro, in nessuno dei due casi, può essere annoverato come dittatoriale. Entrambi gli Stati, difatti, presentano diversi centri di potere, di cui alcuni elettivi, ma ciò nonostante sono difficilmente considerabili come delle democrazie piene e ciò vale soprattutto per il caso iraniano, dove i vertici delle più importanti istituzioni sono nominati, e non eletti, ma soprattutto fanno parte dello schieramento più conservatore dal punto di vista politico e religioso. Fermo restando quanto affermato, si cercherà ora di indagare le relazioni politico – militari che caratterizzano i due Paesi, al fine di delinearne la natura fondante e, in questo senso, l’Iraq rappresenta sicuramente un interessante caso studio alla luce della trasformazione, repentina e radicale, che ha subito in seguito al tramonto della lunga parabola politica di Saddām Husayn e del partito Baʻth. L’analisi comparata che segue, in merito alle relazioni politico – militari in Iran e in Iraq, proseguirà abbastante linearmente, alla luce del fatto che buona parte dei concetti è già stata ampiamente trattata nella parte II di questo scritto, rispettivamente nel capitolo 1 e nel capitolo 2. Pertanto, saranno ripresi

21 GAUB F., Civil – Military Relations in the MENA: Between Fragility and Resilience, in Chaillot Papers, n. 139,

European Union Institute for Security Studies (ISS), Parigi, ottobre 2016, p. 7.

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alcuni degli aspetti già studiati al fine di compararli con quanto affermato in merito alle principali caratteristiche del controllo democratico delle forze armate.

2.1 Il caso iraniano

A più di quarant’anni dalla Rivoluzione islamica del 1979, l’Iran si trova a dover far fronte ad una serie di minacce e sfide provenienti, non solo dall’esterno, ma anche dall’interno dei confini nazionali. In particolare, la Guida suprema, l’Āyatollāh ʿAlī Khāmeneī, che stando ad alcune fonti pare godere di scarse condizioni di salute, pone il problema della sua successione che, indipendentemente da quando avrà effettivamente luogo, è tuttavia suscettibile di creare un serio problema politico per il Paese, destabilizzando potenzialmente l’intero regime. La seconda sfida è, invece, posta dalla crescente disaffezione rinvenibile tra la popolazione iraniana, evidenziata dall’aumento dei casi di protesta e manifestazione che si sono susseguiti, soprattutto negli ultimi due anni, in tutto il Paese.23 Si è detto che, al fine di neutralizzare queste minacce, la Repubblica islamica dell’Iran e la sua Guida suprema hanno progressivamente rafforzato i propri strumenti coercitivi e di sicurezza, primi tra tutti il Corpo delle guardie della Rivoluzione islamica e la sua milizia civile, il Basij, tenuto conto del fatto che un aspetto imprescindibile, per la sopravvivenza di un particolare regime politico, è la fedeltà delle forze armate nei confronti dello stesso, e, conseguentemente, fintanto che i vertici del potere potranno contare sull’appoggio militare, difficilmente una forza sovversiva popolare potrà minare la tenuta della struttura di potere. Durante lo studio della struttura giuridico – istituzionale delle forze armate iraniane era stato evidenziato come l’apparato militare, e l’IRGC nello specifico, avesse subito un complesso processo evolutivo, rispetto alla sua originaria elaborazione, così come era risultata all’indomani della Rivoluzione e sotto l’allora Guida suprema, l’Āyatollāh Khumaynī, il che significa che esaminare oggi le relazioni politico – militari dell’Iran significa guardare al modello promosso successivamente da Khāmeneī.24

2.1.1 Le principali caratteristiche della struttura in analisi

L’apparato istituzionale iraniano è caratterizzato da una struttura bifida, nel senso che il ruolo della Guida suprema è bilanciato (almeno teoricamente) dal Presidente della Repubblica, il Parlamento dal Consiglio dei guardiani, il ramo giudiziario dalla Speciale Corte dei clerici, e il medesimo approccio si applica anche all’apparato militare, che è costituito dall’esercito regolare, Artesh, e le forze armate rivoluzionarie. Sia Artesh che l’IRGC, così come le forze di polizia NAJA, sono subordinati allo Stato maggiore delle forze armate, responsabile per il coordinamento di tutte

23 GOLKAR S., The Supreme Leader and the Guard. Civil – Military Relations and Regime Survival in Iran, in Policy

Notes, n. 58, The Washington Institute for Near Policy, 2019, p. 1.

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le attività, dall’organizzazione dei programmi addestrativi alla predisposizione dei piani logistici. Lo Stato maggiore dell’esercito è poi, a sua volta, sotto il controllo diretto della Guida suprema, al quale è riconosciuta costituzionalmente la carica di Comandante in capo delle forze armate della Repubblica islamica, e che esercita il proprio controllo tramite l’azione di un ufficio specifico, in merito al funzionamento del quale sono tuttavia disponibili scarse informazioni.25 Circa la natura dei rapporti civili – militari iraniani, alcuni hanno sostenuto che il crescente potere detenuto dai pāsdārān, soprattutto a partire dalla presidenza di Aḥmadinežād, tale da non dispiegarsi semplicemente all’esterno dei confini, ma anche e soprattutto a livello domestico durante la dura repressione dei diversi moti di protesta, abbia effettivamente trasformato l’Iran in una dittatura militare26: assumendo tale prospettiva, l’Āyatollāh Khāmeneī sarebbe dunque una sorta di burattino nelle mani dei comandanti dell’IRGC, veri governanti del Paese.27

Al contrario, altri affermano che sia il clero a detenere davvero le redini del potere e, pertanto, Khāmeneī più che burattino sarebbe, invece, il vero manovratore dell’intero apparato statale, ivi compresi i comandanti militari. L’attuale presidenza di Hassan Rouhani sembrerebbe confermare questa seconda visione, tenuto conto del tentativo da lui condotto, almeno all’interno della propria amministrazione, per riportare al potere i tecnocrati e marginalizzare quanto possibile i membri dell’IRGC. Prendendo in considerazione gli eventi politici di questi ultimi anni, c’è chi ha messo in luce il fatto che, malgrado l’Āyatollāh Khāmeneī continui ad esercitare un controllo forte e pieno sull’apparato militare iraniano e nello specifico sull’IRGC, ciò dovuto in parte anche all’accordo tacito di reciproco interesse che li lega e di cui si era scritto nel capitolo 1 (parte II), la relazione tra le due parti è destinata a complicarsi ed incrinarsi. La ragione di ciò sarebbe rinvenibile nel crescente potere dei pāsdārān, i quali si sono notevolmente rafforzati a partire dal 2005 e nel corso della soppressione del Movimento Verde, acquisendo in tal modo una statura tale da porli, potenzialmente, in competizione con la classe politica di Teheran.28

2.1.2 L’esercizio estremo del controllo politico

Stando alla situazione attuale, il controllo esercitato sull’apparato militare iraniano da parte della più alta autorità politica, nonché religiosa, della Repubblica islamica è indubbio e, anzi, ha assunto, nel corso degli ultimi anni, forme sempre più rigorose e stringenti che saranno qui di seguito indagate. Ciò premesso, il fatto che in Iran esista un esercizio tanto forte ed estremizzato del controllo politico sull’apparato militare, non significa necessariamente che tale tipologia di

25 Ibidem, pp. 2-3.

26 HEN TOV E. E GONZALEZ N., The Militarization of Post – Khomeini Iran: Praetorianism 2.0, Washington Quarterly

34, n. 1, 2011.

27 GOLKAR S., The Supreme Leader and the Guard. Civil – Military Relations and Regime Survival in Iran, op. cit., p. 4. 28 Ibidem.