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I decenni che seguirono l’arrivo al potere di Saddām Husayn, in qualità di Presidente dello Stato iracheno, furono segnati da numerose violenze interne, a causa delle epurazioni compiute in seno alle élite dirigenti del Paese, e da guerre: la lunga e sanguinosa guerra, contro la nascente Repubblica Islamica dell’Iran, fu combattuta tra il settembre del 1980 e l’agosto del 1988; seguì poi, tra il 1990-91, la guerra del Golfo, che vide l’Iraq contrapposto ad una coalizione internazionale di trentacinque Stati, intervenuti in difesa della sovranità del Kuwait a seguito dell’invasione ed annessione dello stesso da parte di Baghdad; infine, la seconda guerra del Golfo, durata meno di un mese tra marzo e aprile del 2003 e che portò alla caduta definitiva del regime dittatoriale del raʻīs. Quanto detto si accompagnò a numerose tensioni e scontri interni nel tentativo di fronteggiare la rivolta degli sciiti e le ambizioni separatiste dei curdi.

Come già anticipato, questo scritto non tratterà nello specifico il dispiegarsi dei vari avvenimenti che segnarono i ventiquattro anni di regime di Saddām Husayn, poiché lo scopo è quello di ripercorrere brevemente la storia istituzionale del Paese, nel corso del XX secolo, così da comprendere quali siano stati i principali sconvolgimenti che hanno poi condotto alla nascita dell’attuale Stato iracheno e all’emanazione della sua Costituzione. Avendo individuato, tuttavia, nello sciismo e nella struttura delle forze armate i due fili conduttori di questa analisi comparata, i successivi paragrafi saranno dedicati ad una riflessione circa l’evoluzione dell’esercito durante il regime e a come la comunità sciita si pose nei confronti del clan al potere.

2.2.5.1 L’esercito iracheno al servizio di un clan

Con il consolidamento del potere di Saddām Husayn, l’istituzione militare irachena, definita pochi decenni prima come il cardine dello Stato, finì per essere relegata ai margini dell’apparato statale, nonostante il suo ruolo determinante per l’affermazione del clan dei takriti all’interno del

95 Clan familiare di Saddām Husayn al-Takriti. 96 LUIZARD P.J., op. cit., p. 72.

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partito Baʻth. Un esercito “ideologico” nato da una complessa azione governativa, portata avanti tramite epurazioni, azioni repressive e propagande di politicizzazione dei militari, e che si consolidò come uno strumento nelle mani della famiglia alla guida del Paese.97 Il risultato fu il controllo dei civili98, primo tra tutti lo stesso Saddām Husayn, sui militari, politica che ebbe però profonde conseguenze e ripercussioni sul funzionamento dell’apparato di difesa, il quale, pur dovendo fronteggiare diversi conflitti armati negli anni del regime, si ritrovò, di fatto, privo di una leadership militare, mancanza dalla quale si generò una delle principali debolezze dell’esercito iracheno. Il sistema, infatti, era tale per cui ciascun responsabile delle forze armate era affiancato da un funzionario politico che, pur dichiarando di agire in nome degli interessi del partito Baʻth, agiva secondo le volontà del solo clan al potere. L’estrema politicizzazione dell’istituto, da una parte, annientò nei militari lo spirito di intraprendenza e di iniziativa, lasciando spazio alla sola rassegnazione, e, dall’altra, servì a Saddām Husayn ad evitare la nascita di una qualsiasi forma di contropotere.99

Una tendenza nuova, che si fece strada all’interno del regime, fu la moltiplicazione ai margini dell’esercito di corpi d’élite, ciascuno dei quali basato su un metodo di arruolamento di tipo tribale, che mirava quindi a reclutare all’interno della cerchia ristretta di un clan o tribù. Tra queste, la Guardia Repubblicana fu certamente l’unità meglio armata ed addestrata del regime, rappresentando uno dei pilastri fondamentali su cui il regime stesso si basò, a tal punto che arrivò a sostituirsi totalmente all’esercito in diversi campi, in particolare in determinati siti strategici.100

2.2.5.2 La comunità sciita alla ricerca di rappresentanza

L’involuzione settaria filosunnita del partito Baʻth si accompagnò ad una durissima repressione nei confronti dei comunisti, tra i quali si contavano per lo più esponenti appartenenti alla comunità sciita del Paese, mostrando quindi un’esplicita volontà di ripristino del potere sunnita, a scapito dei già limitati spazi di influenza che gli sciiti erano riusciti a conquistare durante il governo di Kassem: il risultato fu la totale assenza di canali di espressione per gli sciiti, i quali, benché ai margini della società ed esclusi dalla struttura governativa, possedevano però una base sociale non più limitata alle sole campagne, come era negli anni Venti, ma si erano radicati anche nelle periferie e nei sobborghi cittadini.101 In quest’ottica, è facile comprendere le ragioni per cui, tra gli anni Trenta e Cinquanta, un gran numero di sciiti decise di sposare gli ideali del Partito

97 Ibidem, p. 91.

98 I membri dello Stato maggiore erano civili in uniforme, i quali, tuttavia, non erano mai entrati a far parte della

gerarchia militare.

99 LUIZARD P.J., op. cit., p. 92.

100 Eisenstadt M., Iraq’s Republican Guard, The Washington Institute for Near East Policy, Gennaio 1991. 101 CAPEZZONEL. E SALATI M., op. cit., pp. 358-359.

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comunista iracheno, il quale si schierò in rappresentanza di una nuova generazione, che stava progressivamente abbandonando le campagne e iniziando un nuovo tipo di lavoro, quello nelle fabbriche. Particolarmente interessante, tuttavia, è il fatto che, tra gli sciiti, vi fu anche chi, impossibilitato a ricoprire cariche all’interno del governo e dell’esercito, si dedicò a uno dei pochi settori nel quale non erano state previste interdizioni: il commercio. Ciò permise, a fronte anche dei numerosi successi ottenuti nel settore, la nascita di una vera e propria borghesia in seno alla comunità sciita irachena, la quale divenne l’unica a possedere una struttura di classe tipicamente capitalistica.102

Di fronte alla necessità di colmare il vuoto creatosi in seguito alla dura repressione dei comunisti iniziarono ad emergere nuovi programmi ed idee ben più radicati nella tradizione, cultura e religiosità di matrice sciita, che portarono alla nascita dei primi partiti di ispirazione islamista.103 Da questo momento, la comunità sciita iniziò un percorso di ritorno sulla scena politica nazionale, in particolare tramite l’azione di un movimento religioso che, contrariamente ai sunniti, vide gli

ʻulamā tra i suoi principali sostenitori e si fece promotore di un progetto di Islam politico. Città

sante come Najaf e Karbala divennero i principali centri del movimento islamista, il quale seppe sviluppare un’azione che non si limitò alle sole rivendicazioni di natura culturale e religiosa, ma progredì anche in senso politico e, nel 1957, nacque il primo partito islamista sciita dell’Iraq.104

In questo contesto di ritorno del movimento religioso, la marjaʻiyya, l’istituzione propria dello sciismo duodecimano, ebbe un ruolo significativo: costituendo in Iraq un unicum rispetto agli altri Paesi arabi105, l’istituzione religiosa subì un durissimo attacco, che nel 1980 culminò con la decisione del governo di Saddām Husayn di condannare a morte, per la prima volta nello sciismo iracheno, un marjaʻ, l’Ᾱyatollāh Muhammad Baqir al-Sadr. Quest’ultimo, infatti, in qualità di rappresentante di Khumaynī in Iraq, si era messo alla guida del movimento di rinascita islamica ed era riuscito, nel corso degli anni Settanta, a mobilitare numerose manifestazioni religiose la cui portata fu tale da minacciare il potere dello stesso. Analizzare le dinamiche di conflitto interne alla società irachena è fondamentale per comprendere le scelte di politica estera di Baghdad: dal quadro appena descritto, infatti, emerge chiaramente come la guerra che nel 1980 Saddām Husayn dichiarò alla Repubblica islamica dell’Iran fosse una diretta conseguenza di questo stesso conflitto interno, in virtù della vicinanza, non solo ideologica, della gerarchia religiosa sciita irachena a Teheran.106

102 LUIZARD P.J., op. cit., pp. 139-140.

103 CAPEZZONEL. E SALATI M., op. cit., p. 358.

104 Lo Hizb ad-Daʻwa al-Islamiyya, il Partito dell’appello all’Islam. LUIZARD P.J., op. cit., p. 61.

105 La marjaʻiyya potrebbe essere definita come una sorta di Vaticano dei musulmani sciiti, rappresentando infatti il

comando religioso degli sciiti ed essendo estraneo al controllo da parte delle Stato.

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Tramite le loro azioni, il movimento islamista e la marjaʻiyya si rafforzarono vicendevolmente e Muhammad Baqir al-Sadr fu il principale ideologo del partito Daʻwa, il più vecchio partito islamista dell’Iraq, ma anche il più iracheno, in relazione alla sua indipendenza dal vicino Iran. L’Ᾱyatollāh Muhammad Baqir al-Sadr identificò, infatti, quattro passaggi fondamentali per lo sviluppo del Daʻwa: prima di tutto, era necessario che si costituisse come un partito politico e sviluppasse una base di massa; secondo, avrebbe dovuto agire come un’effettiva opposizione politica e rappresentare quindi una valida alternativa al governo; terzo, avrebbe dovuto conquistare il controllo dell’apparato statale, consolidando in questo modo un ordine politico Islamico non ricorrendo necessariamente a strumenti democratici; e infine, avrebbe potuto servire gli interessi della comunità.107 La marjaʻiyya ebbe, dunque, il bisogno di svilupparsi parallelamente al Daʻwa, costituendone una sorta di ramo consultivo, al fine di realizzare alcuni fondamentali compiti: diffondere il più possibile gli insegnamenti dell’Islam; individuare un movimento ideologico; ottenere la tutela del movimento; e infine, assicurarsi che la marjaʻiyya fosse coinvolta negli affari della comunità e potesse adempiere nel miglior modo ai loro interessi.108

2.2.5.3 La caduta del regime

Il 17 gennaio 1991, la guerra del Golfo per la liberazione del Kuwait iniziò: gli Stati Uniti e i Paesi alleati della coalizione iniziarono a colpire Baghdad e altri obiettivi in Iraq. Questo scontro giunse al termine di un periodo durante il quale non di rado si sentì parlare di tacita alleanza strategica americano-irachena: rafforzatasi nel contesto della guerra contro la Repubblica islamica dell’Iran, Saddām Husayn credette, erroneamente, che essa potesse sopravvivere anche in una fase successiva al superamento del cosiddetto “pericolo islamico”. Alla guida di un Paese indebitato con numerosi creditori occidentali e vessato dalle sanzioni economiche imposte dagli stessi, il raʻīs guardò all’invasione del Kuwait, ricchissimo di petrolio, come all’unico mezzo per evitare la bancarotta finanziaria dell’Iraq e nell’agosto del 1990 centomila soldati dell’esercito iracheno invasero il Paese emiratino.109

La guerra del Golfo, che Saddām Husayn definì come “la madre di tutte le battaglie”, ebbe un effetto anche sul rapporto tra gli sciiti e il governo sunnita, riducendo la posizione dell’Islam sciita in Iraq. Il raʻīs, infatti, si adoperò per guadagnarsi la legittimazione e il supporto della popolazione sciita irachena prima, durante, e dopo la guerra, ricorrendo alla simbologia tribale e sciita e appellandosi alla difesa dell’onore iracheno, troppo importante per sottomettersi ai dettami della

107 RIZVI S., Political Mobilization and the Shiʻi Religious Establishment “(marjaʻiyya)”, in International Affairs, Vol.

86, n. 6, Oxford University Press per conto del Royal Institute of International Affairs, Novembre 2010, pp. 1299-1313.

108 Ibidem.

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coalizione alleata. La guerra, dunque, costrinse il leader iracheno, che era stato promotore della secolarizzazione del Paese, a richiamare i principali elementi identitari della popolazione sciita irachena.110

Nonostante l’intervento militare, la posizione statunitense rimase a lungo ambigua, poiché, pur prefiggendosi l’obiettivo di voler liberare il Kuwait, di fatto non volle mai mirare anche al rovesciamento del regime di Saddām Husayn, generando un diffuso sentimento di disillusione in seno alla comunità sciita, la quale aveva visto nell’azione armata l’unico mezzo per porre fine al governo del raʻīs. Con la dichiarazione statunitense del cessate il fuoco, infatti, Washington permise non solo al suo avversario di reprimere le insurrezioni che, su istigazione dell’opposizione, erano scoppiate nelle zone sud del Paese a maggioranza sciita, ma inaugurò anche una fase nella quale il regime sanzionatorio nei confronti dell’Iraq si trasformò in quello che Pierre-Jean Luizard definisce

“un marcheggiamento permanente tra Washington e Baghdad, la cui posta in palio era il grado di sottomissione dei dirigenti iracheni alla volontà americana”.111

In seguito agli attentati dell’11 settembre, la politica estera degli Stati Uniti in Medio Oriente si allineò totalmente a quella di Israele e, a quel punto, sia Washington sia Tel Aviv si trovarono uniti dal comune obiettivo della lotta al terrorismo. Le successive mosse di Saddām Husayn, unico leader arabo a non condannare gli attentati terroristici e, anzi, a denunciare i bombardamenti americani in Afganistan, allontanarono ulteriormente i due Paesi, tanto che, il 29 gennaio 2002, il Presidente americano George W. Bush pronunciò il famoso discorso nel quale indicò l’Iran, l’Iraq e la Corea del Nord come i nuovi nemici degli Stati Uniti, costituendo essi, e i movimenti terroristici da loro sostenuti, “un asse del male, armato per minacciare la pace nel mondo”.112

Il 9 aprile 2003, dopo soli venti giorni di combattimento, Baghdad cadde sotto l’azione militare congiunta anglo-americana, costringendo Saddām Husayn alla fuga e decretando la fine della seconda guerra del Golfo. A questa prima fase, che si concluse quindi con la caduta del regime dittatoriale del raʻīs, seguì l’occupazione del territorio iracheno da parte delle truppe statunitensi e il tentativo di ricostruzione del Paese, a partire dal 21 aprile 2003, quando fu instaurata l’Autorità Provvisoria della Coalizione.