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Le consultazioni per l’elezione dei 13 eurodeputati danesi si svolgono il 7 giugno 2009, e registrano un’affluenza del 59,54% rispetto alla media europea del 42,97%7. Il dato, in aumento di circa 12 punti percentuali rispetto a quello registrato per le precedenti elezioni europee del 2004 (47,9%), non può comunque essere considerato soddisfacente se si tiene conto che per le consultazioni nazionali la partecipazione al voto risulta essere compresa tra l’80-85%. La sorprendentemente “alta” partecipazione al voto, che determina il primato della Danimarca in termini di affluenza rispetto agli altri Stati membri, è giustificata dalla decisione del governo di indire nella stessa giornata un referendum circa la proposta di modifica dell’Atto di successione al trono, già approvata dal Folketing (il Parlamento danese), che avrebbe permesso ad ogni primogenito del monarca di salire al trono indipendentemente dal sesso (Bille 2010).

Come per le elezioni regionali e locali, le forze politiche hanno la possibilità di formare delle alleanze e, in occasione delle elezioni del 2009, si assiste alla formazione di tre grandi

7Per i dati elettorali, che riguardano le elezioni nazionali ed europee svoltesi in Danimarca e presentati nei prossimi paragrafi, si è fatto riferimento al sito “Election Resources on the Internet:

Elections to the Danish Folketing” (http://electionresources.org/dk/) e alla sezione elezioni (Befolkning og Valg) del sito “Danmarks Statistik” (https://www.dst.dk/da), nonché ai dati del Parlamento Europeo (http://www.europarl.europa.eu).

coalizioni: la prima formata dal Partito Socialista (SF - Socialistisk Folkeparti), dai Socialdemocratici (SD - Socialdemokraterne) e dal Partito Sociale Liberale (RV - Det Radikale

Venstre); la seconda costituita dalle forze incumbent, ossia il Partito liberale (V - Venstre), il

Partito conservatore (KF - Det Konservative Folkeparti) e l’Alleanza liberale (LA - Liberal

Alliance); la terza caratterizzata dall’unione delle due forze euroscettiche, il Movimento

popolare contro l’UE (N - Folkebevægelsen mod EU) e il Movimento di Giugno (J -

Junibevægelsen); solo il Partito popolare danese (DF - Dansk Folkeparti) non aderisce ad alcuna

delle tre coalizioni. I migliori risultati sono quelli raggiunti dai socialdemocratici SD (21,5%) e dal partito socialista (15,9%), mentre sembrano avere qualche difficoltà i partiti al governo, quali il liberale V (20,2%) e il conservatore KF (12,7%); un buon risultato lo ottiene il DF che, con il 15,3% dei voti, risulta essere l’unico partito appartenente alla coalizione di governo ad aver aumentato di molto il consenso elettorale rispetto alle precedenti consultazioni nazionali. Non raggiungono buoni risultati i due partiti euroscettici danesi di sinistra: il Movimento popolare contro l’UE mantiene il suo unico seggio con il 7,2% di voti, mentre il Movimento di giugno perde il seggio e registra una diminuzione della percentuale di voto che passa dal 9,1% del 2004 al 2,4% del 2009; una situazione sintomo di un iniziale affievolimento di quell’opposizione all’Unione Europea che in Danimarca era rappresentata da questi due partiti, che si presentavano esclusivamente alle elezioni europee e che quindi riuscivano a raccogliere un ampio consenso fra i cittadini che nutrivano una qualche forma di opposizione, più o meno intensa, ottenendo nel periodo di successo circa il 25% dei voti (Bille 2010). Probabilmente, le istanze antieuropeiste si spostano verso altri partiti: nello specifico, il partito liberal-conservatore al governo, il Venstre, che, pur mantenendo il suo generale europeismo, sposta l’attenzione anche su alcune criticità della struttura e della regolamentazione comunitaria; a questo, si aggiunge il partito popolare DF, il quale, pur assicurando ai due partiti al governo (V e KF) il sostegno e la maggioranza al Folketing su questioni “domestiche”, si è poi sempre allontanato dalle loro posizioni pro-Europa a causa di una opposizione alle istituzioni sovranazionali che non hanno “permesso” al partito di prendere parte alla coalizione formata dalla maggioranza governativa (Christensen e Christiansen 2010). Lo spostamento a destra delle posizioni euroscettiche sembra riuscire a svincolare il dibattito politico danese dalla riduttiva contrapposizione tra le posizioni favorevoli e contrarie alla membership, e sembra portare verso una “euro-maturazione” del confronto politico sulla issue Europa (Braae 2009): la campagna elettorale, infatti, non si focalizza, come per le precedenti elezioni europee, sulla polarizzazione tra posizioni pro e anti Europa, ma si assiste all’avvio di un confronto ragionato su quelle che sono le criticità dei sistemi comunitari, sulle modalità con cui l’UE dovrebbe riuscire a definire regole e misure comuni nell’affrontare le grandi sfide della contemporaneità, tra tutte la crisi economico-finanziaria e quella climatica, nonché sul ruolo che le istituzioni europee

dovrebbero avere in relazione ai governi e ai Parlamenti nazionali (Bhatti e Hansen 2009; Christensen e Christiansen 2010).

La campagna elettorale si è concentrata su tematiche di rilevanza nazionale, che rappresentano i temi chiave su cui i partiti danesi si scontrano, ai quali viene ricollegata la dimensione europea, soprattutto in relazione al ruolo che l’Unione potrebbe ricoprire per portare a compimento specifici obiettivi domestici. In generale, il dibattito si anima intorno a tre specifiche issues: la crescita economica, il cambiamento climatico e la sicurezza.

In relazione alla crescita economica, tutti i partiti, indipendentemente dalle loro posizioni ideologiche, hanno trattato il tema sottolineando la necessità di un maggiore sforzo a livello europeo per rilanciare l’economia e innescare una nuova crescita all’interno di tutti gli Stati membri. La portata di tali azioni macroeconomiche comuni, volte a contrastare gli effetti della crisi economico-finanziaria, non è mai stata espressa in modo chiaro e approfondito dai diversi partiti; pertanto, il confronto si è basato su un generale e acritico sostegno al processo di integrazione. La rilevanza delle questioni ambientali rappresenta una peculiarità del contesto danese, da sempre attenta ai cambiamenti climatici soprattutto per la morfologia del territorio e per un’economia basata in modo rilevante sull’allevamento e sull’agricoltura. L’attenzione al clima, inoltre, acquista una ancora maggiore centralità in vista della “Conferenza ONU sui cambiamenti climatici 2009” (prevista tra il 7 e il 18 dicembre 2009). Il tema della sicurezza è affrontato soprattutto dal DF che, in ragione della sua posizione anti- europeista, chiede il ripristino dei controlli alle frontiere, e di conseguenza l’uscita della Danimarca dall’accordo di Schengen; in realtà, anche gli altri partiti pro-Europa, tra cui i due conservatori al governo e i socialdemocratici all’opposizione, guardano con favore alla proposta di reintroduzione dei controlli, ma vedono tale soluzione come una misura temporanea utile per salvaguardare la sicurezza nazionale (Christensen e Christiansen 2010). A questi, si aggiunge la issue immigrazione, che ha da sempre rappresentato un hot-topic all’interno del dibattito pubblico e politico danese (Green-Pedersen e Krogstrup 2008). Come per il tema della sicurezza, è il partito DF a porre maggiormente l’attenzione sul tema a partire dalla sentenza Metock8 del luglio 2008, con cui la Corte di Giustizia ritiene che per godere del diritto di circolazione e soggiorno, il familiare extracomunitario di un cittadino comunitario non deve avere previamente soggiornato legalmente in uno Stato membro dell’Unione. La sentenza viene considerata dall’euroscettico DF come una minaccia per le rigide politiche danesi in materia di immigrazione, mentre i partiti dell’area socialista si oppongono a tale drastica visione sostenendo che tale giudizio avrebbe potuto avviare un

8 Sentenza del 25 luglio 2008 della Corte di Giustizia (causa C-127/08, Blaise Baheten Metock e altri contro Minister for Justice, Equality and Law Reform). Direttiva 2004/38/CE - Diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri - Familiari cittadini di paesi terzi - Cittadini di paesi terzi entrati nello Stato membro ospitante prima di divenire coniugi di cittadini dell’Unione.

processo di trasformazione della legge sulla regolamentazione dell’immigrazione in Danimarca, che tenesse finalmente conto dei cambiamenti in atto nella società globalizzata (Christensen e Christiansen 2010).

Le quattro principali campaign issues sono state affiancate da altre tematiche, alcune delle quali in stretta connessione con esse, come ad esempio l’aumento della disoccupazione avvenuto durante la prima metà del 2009, che è stato trattato in concomitanza sia con il dibattito sulle politiche economiche comunitarie per il contenimento degli effetti della crisi economico-finanziaria sia con l’aumento dei flussi migratori provenienti dall’est Europa in seguito all’allargamento del 2004. Sempre in tema di allargamento, uno spazio marginale è stato dedicato alla possibile adesione della Turchia all’UE, che ha visto quasi tutti i partiti esprimere la loro contrarietà in merito, soprattutto in ragione di una differenza culturale particolarmente accentuata. Un altro tema che è riuscito mettere d’accordo le forze politiche danesi riguarda la possibile riduzione dei sussidi agricoli. Assente in campagna elettorale un qualsiasi riferimento al Trattato di Lisbona, poiché per la prima volta l’approvazione e la ratifica di un trattato comunitario da parte del governo è avvenuta senza l’indizione di un referendum popolare.

In generale, la campagna europea non ha ricevuto un’ampia copertura da parte del sistema mediale e, inoltre, non sono state ben individuate quelle che potevano essere le questioni in grado di catturare l’attenzione e l’interesse dei cittadini-elettori (Schuck et al. 2011). Sicuramente, l’agenda politica è stata influenzata dall’impatto della crisi economico- finanziaria, che ha spostato l’attenzione su tematiche di matrice economica (la recessione economica e la disoccupazione) e che, inoltre, ha maturato nella classe politica l’idea di una cooperazione comunitaria capace di risollevare le sorti di tutta l’Unione. In linea con uno degli slogan di campagna, “Un’Europa responsabile” del Partito Socialista, il dibattito elettorale sembra essere entrato in misura maggiore nel merito delle questioni, sottolineando la necessità di una trasformazione nelle politiche comunitarie. Una condizione probabilmente dovuta anche alla “minore presenza” di quei partiti fortemente euroscettici, che tendevano a incentrare il discorso su una opposizione di principio all’Unione.