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Gli spot elettorali dei partiti euroscettici dal 2008 al 2018: il disegno della ricerca

3.3 L’analisi degli spot elettorali: strumenti e tecniche di rilevazione

3.3.1 L’analisi del contenuto sui prodotti medial

L’analisi del contenuto può essere considerata come un insieme di procedure che mirano alla scomposizione di testi in elementi più semplici, ossia le variabili, che permettono di cogliere gli elementi costitutivi dell’unità di analisi scelta (Losito 1996). In una delle sue prime riflessioni sul tema, Berelson definisce l’analisi del contenuto come “una tecnica di ricerca capace di descrivere in modo obiettivo, sistematico e quantitativo il contenuto manifesto della comunicazione” (1952, p. 18). Tali tecniche possono essere applicate a una molteplicità di contenuti mediali, che sono appunto considerati “testi” a prescindere dalla loro natura (discorsi verbali, video, immagini, articoli). Determinanti nella corretta applicazione dell’analisi del contenuto sono la definizione dell’unità di analisi, dell’unità di contesto, e la conseguente scrittura della scheda di rilevazione; quest’ultima fondamentale poiché restituisce al ricercatore una varietà di dati, a partire dalle variabili delineate e considerate, che permetteranno di realizzare delle interpretazioni dei contenuti mediali sottoposti all’analisi e, inoltre, di realizzare delle comparazioni tra unità di analisi differenti proprio grazie alla presenza di variabili pre-definite e all’analisi del contesto in cui queste unità prendono forma (Neuendorf 2002; Krippendorff 1980; Riffe, Lacy e Fico 2005; Berg 2006; Benoit 2011). La definizione dell’unità di analisi e di contesto, dunque, guida il ricercatore nell’utilizzo di una determinata procedura, e quindi anche nella scelta di utilizzare una delle tre tipologie di analisi del contenuto delineate da Rositi (1988).

L’AdC di primo tipo è quella in cui le unità di analisi coincidono con gli elementi significanti, ossia gli elementi linguistici, che a loro volta saranno portatori di determinati significati (ibidem). Le unità d’analisi sono facilmente individuate e isolate, e possono essere rintracciate in parole, proposizioni, temi e parole chiave, che a loro volta devono essere correlate alla più ampia unità di contesto, ossia quella porzione di testo in cui le unità di analisi assumono specifici significati. Ne consegue che l’analisi di primo tipo è utile per lo studio di testi e discorsi dei quali sono analizzati soprattutto la quantità e la frequenza delle unità di analisi, il che riconduce tale procedura alla semantica quantitativa utilizzata da Lasswell nei suoi studi sul linguaggio della politica (Lasswell 1927, 1949). Nell’AdC di secondo

tipo le unità di analisi non si identificano con gli elementi linguistici, e dunque facilmente

riconoscibili, ma sono rappresentate da altri elementi caratterizzati da una forte rilevanza all’interno della più ampia unità di contesto (Rositi 1988). In questo senso, l’analisi si focalizza su singole parti che costituiscono un contenuto mediale più ampio; ad esempio, l’analisi delle caratteristiche socio-demografiche dei personaggi di una serie televisiva, l’analisi dei temi maggiormente affrontati da un candidato nei suoi interventi, ma anche le strutture e gli intrecci narrativi dei discorsi. L’AdC di terzo tipo, conosciuta anche come AdC come inchiesta, viene utilizzata quando l’unità di analisi coincide con l’unità di contesto, e quindi non vi è

una scomposizione in unità più piccole dell’oggetto sul quale effettuare l’osservazione, ossia un film, un contenuto audiovisivo breve, un’immagine, una interazione discorsiva nel suo complesso, un articolo giornalistico e le sue varie componenti (ibidem). Questa tipologia di analisi, che sarà utilizzata nel presente lavoro,

può essere definita come analisi interpretativa in senso più diretto, ovvero come analisi in cui viene definitivamente meno la pretesa di una descrizione “obiettiva” del messaggio (…), [alla quale] si sostituisce la più consapevole finalità di pervenire ad una interpretazione corretta, tra le molte possibili, del messaggio, ove per interpretazione corretta è da intendersi un’interpretazione basata su una serie di operazioni di ricerca esplicitate, logicamente congruenti, empiricamente fondate, traducibili in procedure di rilevazione e di elaborazione dei dati (Losito 1996, p. 29).

La semplicità con cui si presentano le tecniche tipiche della content analysis è in realtà soltanto “apparente” se si tiene conto del fatto che l’osservazione delle stesse componenti su oggetti di studio anche molto diversi nasconde molteplici difficoltà. Pertanto, nell’utilizzo dell’analisi del contenuto il ricercatore deve tener contro di quelli che possono essere considerati gli step fondamentali per la buona riuscita dello studio, i quali non devono essere considerati come facenti parte di un “percorso lineare”, ma si tratta di un “processo in fieri che richiede al ricercatore di tornare spesso sui propri passi per continue revisioni e messe a punto delle scelte effettuate” (Losito 1996, p. 76). In primo luogo, la definizione di quelli che sono gli obiettivi della ricerca che avranno dunque un’influenza sia sulla selezione del corpus di analisi sia sulla definizione della scheda di rilevazione. Il secondo passo da compiere riguarda la selezione delle unità di analisi e la definizione di quelle che sono le categorie e le dimensioni che si intende osservare; si tratta di due azioni fondamentali per la successiva fase di scrittura della scheda di rilevazione, costituita da domande strutturate e non strutturate alle quali è lo stesso ricercatore a dover rispondere dopo aver osservato le modalità con cui si mostrano le diverse proprietà che caratterizzano l’unità di analisi scelta. In questo contesto, sembrano emergere alcuni dubbi in merito all’utilizzo della content

analysis su unità di analisi, ossia i contenuti e i messaggi mediali che si inseriscono all’interno

di un campo, quello dei processi comunicativi, caratterizzato da una plurivocità e da una equivocità che dunque renderebbero più complessa l’analisi attraverso partiche e strumenti semplici e standardizzati (Rositi 1988). In realtà, tali dubbi possono essere immediatamente sciolti se si considera che:

Le pratiche di analisi del contenuto non hanno normalmente avuto come fine quello di ottenere una rappresentazione sintetica totale, né per così dire “essenziale”, del proprio oggetto; esse invece normalmente indagano un determinato corpo di comunicazioni a partire da qualche domanda altamente specifica (Ivi, p. 60).

Preso atto che, comunque, l’analisi del contenuto ha una resa maggiore su quelle unità di analisi non caratterizzata da una particolare complessità sintattica e semantica, nella riflessione di Krippendorff (1980) emergono tre “requisiti di reliability” che possono essere considerati degli indicatori della correttezza delle procedure utilizzate nell’AdC: a) la

stabilità, ossia la possibilità che l’analista compia le stesse scelte anche a distanza di tempo; b)

la riproducibilità, intesa come la possibilità che due analisti facciano le stesse scelte su uno stesso contenuto; c) l’accuratezza, in riferimento alla possibilità di considerare le proprie scelte come ottimali sulla base di un utilizzo già ampiamente diffuso dello strumento utilizzato per lo studio delle medesime unità di analisi.

Alla luce di tali considerazioni, emerge chiaramente che dalla “correttezza” della scheda di rilevazione dipende la riuscita stessa dello studio; pertanto la fase di testing, ossia quella in cui al ricercatore è richiesto di testare lo strumento su una parte del campione sul quale l’analisi sarà condotta, è investita di una notevole importanza. Ovviamente, la definizione della scheda di rilevazione, e quindi delle proprietà/variabili alle quali dare maggiore o minore spazio, risente sia delle ipotesi e dell’obiettivo definiti nel disegno della ricerca sia della soggettività del ricercatore (Landis e Koch 1977; Fleiss 1981; Benoit 2011). Un primo controllo, dunque, si concentra sull’effettiva possibilità di far emergere dalle variabili inserite nel codebook le dimensioni che si vogliono osservare sul corpus selezionato; secondariamente, nonostante l’analisi del contenuto sui testi mediali sia svolta su unità destinate e consumate da individui che percepiscono e interpretano questi prodotti in modo differente, è opportuno mettere a punto un’interpretazione quanto più univoca e precisa delle variabili da parte dei ricercatori coinvolti nella rilevazione. A rendere più complicata la fase di rilevazione è la struttura stessa dell’oggetto di studio, nello specifico la presenza di contenuti manifesti e

latenti: mentre i primi (ad esempio il tipo di suono, la durata del messaggio, la presenza di

specifici soggetti, la tipologia di immagini, i temi affrontati) possono essere considerati “oggettivi” dal momento che sono esplicitati nell’unità di analisi, e quindi immediatamente e univocamente individuati dai ricercatori, i secondi (ad esempio il tipo di emozione richiamata, la valutazione della qualità di un testo, l’utilizzo dell’ironia) presuppongono una valutazione soggettiva, e pertanto la loro interpretazione dipende in larga parte dalle caratteristiche del ricercatore, tra cui la sua esperienza e il suo contesto di riferimento. Proprio l’analisi del contenuto come inchiesta ci offre un aiuto nell’osservazione dei contenuti latenti,

dal momento che il suo carattere interpretativo permette ai ricercatori di osservare almeno in parte quei contenuti latenti, messi da parte dall’AdC tradizionale, attraverso l’analisi e l’interpretazione più profonda, ma comunque controllata, di significati più complessi (Losito 1996).

In generale, la valutazione dell’efficacia dello strumento (ossia la validità operativa) deve tener conto della capacità dai dati raccolti mediante l’analisi del contenuto di supportare e verificare le ipotesi di partenza e gli obiettivi definiti nel disegno della ricerca, come si evince chiaramente dalle riflessioni di Ammassari (1984), “possiamo definire la validità degli strumenti come la loro capacità di essere efficaci; (…) cioè il suo essere adatto allo scopo per il quale lo si è invocato” (pp. 148-149). Oltre a un’attenta e accurata riflessione su quelle che sono le scelte operate durante l’intero lavoro di ricerca, il quale permette di far emergere (anche tenendo conto delle criticità sorte durante la fase di testing) i punti di forza e di debolezza dello strumento nel suo complesso, la validità del proprio strumento può essere misurata attraverso la correlazione con altre ricerche che, pur non ergendosi sugli stessi obiettivi, si focalizzano sugli stessi contenuti e impiegano le stesse tecniche (Fleiss 1981; Geer 2006; Benoit 2011). È il caso, ad esempio, di una correlazione realizzata tra due lavori che intendono studiare i prodotti informativi televisivi (i telegiornali) attraverso l’utilizzo di una scheda di rilevazione, ma con obiettivi diversi: il primo focalizzato sulle immagini e il secondo sull’ordine di trattazione delle notizie; in questo caso, si avrebbe la possibilità di realizzare almeno in parte un confronto fra quelle variabili che figurano in entrambe le schede di rilevazione, essendo queste costruite per una rilevazione sullo stesso oggetto di studio.

Dopo aver apportato le modifiche allo strumento, tenendo conto delle criticità emerse durante la fase di testing, l’analisi può essere condotta sul corpus di riferimento, precedentemente raccolto, e successivamente si può procedere all’elaborazione, all’analisi e all’interpretazione dei dati raccolti.