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La crescita del sentimento euroscettico registrata nella maggior parte dei partiti politici a partire da quella che viene definita la Grande Recessione (Canterbery 2011; Kahler e Lake 2013; Rombi 2016a), e riscontrabile nella crescita del consenso dei cittadini (espresso attraverso il voto alle elezioni europee del 2009 del 2014, e a quelle nazionali che hanno avuto luogo nei diversi Stati membri dopo il 2008), ha permesso alla issue Europa di guadagnare uno spazio rilevante all’interno del dibattito pubblico e politico europeo e nazionale. Nonostante, come già ampiamente discusso, la letteratura sull’euroscetticismo e sulla più generale dicotomia tra sostegno ed opposizione all’Europa si sia ampliata nel corso dell’ultimo decennio, mancano studi che risultino essere del tutto orientati alla definizione di quelle che possono essere considerate le ragioni dell’euroscetticismo.

In “Public perception of the EU as a system of governance”, gli studiosi Matthew Loveless e Robert Rohrschneider (2011) tentano una sistematizzazione degli studi sull’euroscetticismo, ponendo come oggetti di differenziazione della loro rassegna quattro elementi che possono essere considerati le possibili ragioni del fenomeno oggetto di studio: a) instrumental self-

interest; b) social location; c) national identity e d) institutions and institutional performance.

Per instrumental self-interest si fa riferimento a una valutazione strumentale e utilitarista, secondo la quale le posizioni euroscettiche risultano essere il frutto di valutazioni razionali sull’effettivo vantaggio che il Paese potrebbe ottenere grazie all’appartenenza all’Europa e al sostegno ad alcune delle sue politiche a livello soprattutto economico-finanziario (Eichenberg e Dalton 1993; Gabel e Whitten 1997). Tale ragione è giustificata dal fatto che sin dalla sua formazione, il fattore economico ha rappresentato uno dei temi maggiormente presenti all’interno del dibattito politico europeo, soprattutto in virtù del fatto che proprio la liberalizzazione del mercato, l’eliminazione dei dazi doganali e l’acquisizione della moneta unica avrebbero portato verso un benessere economico condiviso. Restano di difficile individuazione quali siano i fattori economici che possono essere considerati una conseguenza dell’adesione al progetto europeo, e quali sono realmente percepiti come benefici dai cittadini dell’Unione (Eichenberg e Dalton 1993; Anderson e Kaltenthaler 1996). La social location, che può essere intesa come un superamento della ragione materialista e utilitarista sopra descritta, abbandona la valutazione esclusivamente economica del progetto europeo e lascia spazio ad una valutazione basata sui valori tipici di un’organizzazione democratica ben sviluppata (Inglehart 1970, 1990, 1997). Una condizione che si serve della mobilitazione cognitiva degli individui, i quali sarebbero capaci di apprezzare l’assetto democratico dell’Unione. Alcuni studi (Jansenn 1991; Clark e Hellwig 2012) hanno dimostrato, inoltre, che la mancanza di conoscenza sui processi di integrazione europea incentivi l’affermarsi di un’opposizione verso l’Europa, mentre esista una correlazione

positiva tra la conoscenza, il coinvolgimento politico e il sostegno all’integrazione. La contrapposizione tra identità nazionale e identità europea è anch’essa considerata una delle cause della diffusione dell’euroscetticismo. Tuttavia, ad influenzare l’atteggiamento verso l’Unione non è semplicemente un “attaccamento” alla propria nazione (Serricchio 2014), quanto l’assenza di un senso di appartenenza che porti verso la definizione di “European People” (Schmitt e Thomassen 1999; Scheuer 1999). Perché questo si realizzi, è necessario fondare il sostegno all’Europa sulla presenza di valori condivisi, che di conseguenza conferiscano legittimità alle decisioni e alle azioni delle istituzioni europee. Hanno reso più complessa la definizione di un’identità europea sia l’entrata di nuovi Paesi considerati culturalmente molto distanti (si pensi soprattutto al graduale ingresso di Stati dell’Europa dell’est, ma anche alla richiesta di adesione da parte della Turchia) sia il massiccio divario economico tra i Paesi del nord e del sud Europa, che si è andato intensificando nel periodo successivo alla crisi economica del 2008. Come si osserva nelle riflessioni di Bruter (2003), non solo il riconoscimento di un’identità europea risulta fondamentale per combattere la crisi di legittimità che l’Unione sta affrontando, ma è necessario che l’identità europea si faccia portatrice sia di valori e simboli culturali sia di una componente civica che sia capace di guardare ai cittadini come parte di uno stesso sistema politico. L’ultima ragione dell’euroscetticismo prende forma dalla valutazione delle performances istituzionali da parte dei cittadini europei. In generale, si ritiene che il declino del consenso popolare verso l’UE sia in parte dovuto al fallimento delle politiche comunitarie, che non sono state in grado di ridistribuire risorse e potere tra gli Stati membri (Schmitt e Thomassen 1999). Ne consegue una perdita di importanza del ruolo dell’Unione, che è vista come un’istituzione di rappresentanza minore e subordinata a quella nazionale. Si tratta, dunque, di fattori organizzativi e strutturali che sono costantemente posti a valutazione da parte sia dei cittadini sia dei Governi nazionali, i quali spesso formulano giudizi esclusivamente sull’osservazione delle singole parti che contribuiscono alla definizione dell’entità sovranazionale. La valutazione delle insitutions and institutional performances dovrebbe comprendere sia quelle attività che permettono all’Unione Europea di uniformare il contesto economico, politico e sociale degli Stati membri (emanazione regolamenti, previsione di sanzione per i non adempienti) sia il controllo, l’effettiva attuazione e il calcolo dell’efficacia delle norme recepite a livello nazionale. La legittimità di un sistema sembra fondarsi sulla presenza di risultati positivi (Miller e Listhaug 1990): se le persone credono di essere rappresentate in modo corretto e accurato dal governo (nel nostro caso l’istituzione europea), il loro sostegno è destinato ad aumentare (Kornberg e Clarke 1994; Loveless e Rohrschneider 2011). Le riflessioni di Loveless e Rohrschneider (2011) ben si ricollegano agli studi che distinguono tra hard e soft i fattori che influiscono sulla configurazione dell’euroscetticismo (McLaren 2002; de Vreese e Boomgaarden 2005; Hooghe e Marks 2004, 2005; Van Klingeren,

Boomgarden e de Vreese 2013). Sono considerati fattori hard quelli che rispondono a un approccio utilitarista, basato sulla valutazione dei benefici derivanti dall’Unione, tra tutti il benessere economico e l’occupazione. Il fatto che l’Unione Europea sia nata con l’obiettivo di raggiungere una maggiore efficienza economica mediante la creazione di una entità sovranazionale, ha per molto tempo dato a questi fattori una forte centralità nelle attività decisionali, tanto che per molti studiosi essi rappresentavano le uniche ragioni alla base dello sviluppo di un’opposizione all’Unione (Andersen e Reichert 1995; Rodrik 1997; Gabel 1998). Nell’ultimo decennio, nonostante i fattori hard continuino ad avere una certa rilevanza, alcuni studiosi hanno intercettato un aumento della presenza dei fattori soft tra le principali motivazioni che spingono cittadini e forze politiche ad assumere un atteggiamento euroscettico. Lauren M. McLaren (2002) è tra i primi ad affermare che le ricerche condotte sul tema non avevano considerato l’importanza che fattori come l’ostilità e la paura verso gli “altri” e le “culture altre”, nonché la presenza di un maggiore o minore senso di appartenenza nazionale, hanno nel veicolare una maggiore sfiducia verso il processo di integrazione europea, soprattutto se a quest’ultimo vengono associati esclusivamente elementi negativi. Dal momento che l’identità nazionale non può essere eliminata mediante il processo di integrazione, è necessario fare in modo che i cittadini abbiano la possibilità di sentirsi parte di due differenti gruppi sociali: una condizione possibile solo a patto che l’identità nazionale non sia messa in discussione o “in pericolo” a causa della presenza di un’identità europea. La paura di perdere la propria identità nazionale proprio a causa del processo di integrazione europea, infatti, è uno dei motivi che alimenta l’affermarsi del sentimento euroscettico (Hooghe e Marks 2004, 2005; Lubbers e Scheepers 2007). Dalle ricerche empiriche svolte è emerso che, mentre negli anni Novanta i fattori hard sembrano essere la principale causa dell’euroscetticismo, a partire dagli anni Duemila i fattori soft iniziano a conquistare un ruolo particolarmente rilevante all’interno del dibattito sull’integrazione; secondo alcuni studiosi, il cambiamento verificatosi tra i due diverse periodi è una diretta conseguenza degli attacchi terroristici di New York (2011), di Madrid (2004), di Londra (2005), fino ad arrivare ai più recenti di Parigi (2015,2017), Bruxelles (2016), Barcellona (2017) e Londra (2017), che hanno portato verso un rinvigorimento del nazionalismo e verso una più profonda ostilità per le culture e identità “altre” (Huddy, Khatib e Capelos 2002; Perrin 2005; Davis 2007).

Le cause dell’euroscetticismo sembrano risentire, dunque, tanto delle condizioni economiche che caratterizzano i singoli Paesi e l’Unione Europea nel suo complesso quanto del senso di appartenenza nazionale. Un ulteriore approccio considera la crisi sociale, che ha invaso il sistema politico con la conseguente perdita di fiducia verso le istituzioni e la rapida ascesa di partiti antipolitici e che sta negli ultimi anni inserendosi anche nelle dinamiche politiche a livello sovranazionale, un elemento fondamentale nel graduale e recente aumento dell’atteggiamento euroscettico (Prospero 2015). Lo dimostrano il crescente consenso di

quelle forze politiche che sono al tempo stesso populiste ed euroscettiche, e che racchiudono in un’unica istanza sia l’avversione alla politica nazionale tradizionale sia l’opposizione al processo di integrazione europea (ibidem), entrambi colpevoli di aver intensificato la decrescita economica, il divario sociale e la crisi politica. I nuovi temi catapultati all’interno della sfera pubblica proprio grazie all’avvento e al successo dei partiti euroscettici negli ultimi anni, altro non sono che la dimostrazione della presenza di un conflitto di classe non ancora superato in Occidente, come dimostrano le contrapposizioni tra “Stati del rigore” e “Stati dell’austerità” (Offe 2015), ma anche il recente dibattitto sulla configurazione di “un’Europa a due velocità”. Ancora, l’euroscetticismo si serve di temi che si inseriscono all’interno di un dibattito più culturale che sociale, allo scopo di non intensificare le già marcate fratture interne ai singoli Stati, ma proiettare verso l’esterno malesseri e

preoccupazioni; ne è un esempio la centralità del tema immigrazione14 nel discorso delle posizioni euroscettiche, ma anche il conflitto tra gli stessi membri dell’Unione (come è accaduto soprattutto nelle ultime elezioni in riferimento alla Germania e alla sua leader Angela Merkel). La frattura sociale – incentivata anche dalla recente crisi economica – che caratterizza lo spazio europeo contemporaneo, dunque, rappresenta un elemento indispensabile nell’ascesa di forze politiche euroscettiche che, servendosi di una retorica conflittuale e populista, riescono a guadagnare il consenso di cittadini-elettori diversi non solo in termini di ideologia, ma anche in relazione alla loro collocazione sociale.