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4.1.3 “Più Danimarca, meno Europa”: il successo del Danks Folkepart

Il Partito Popolare Danese (Danks Folkeparti – DF) è una forza politica che si forma dall’uscita, avvenuta nel 1995, di cinque esponenti dal Partito del Progresso (Fremskridtspartiet – Z o FrP). Pur mantenendo alcuni punti chiave all’interno del proprio programma, ad esempio la issue migrazione, il DF non può essere considerato in continuità ideologica con il predecessore. Il Partito del Progresso nasce nel 1972, ma, nonostante il buon risultato ottenuto in occasione delle elezioni parlamentari del 1973 con circa il 15,9% di voti, non riesce a guadagnare un posto all’interno del panorama politico nazionale e continua a ricoprire per tutti gli anni Ottanta una posizione marginale. Le ragioni sono da ricercare sia nella “durezza” delle posizioni e nella sua configurazione di partito di protesta sia nell’opposizione a qualsiasi tipo di compromesso e/o negoziazione da parte del leader Mogens Glistrup con le forze politiche

mainstream presenti al Folketing (Kosiara-Pedersen e Ringsmose 2005; Pedersen 2006). Proprio

la riluttanza del leader del Partito del Progresso sarà una delle cause dei conflitti interni e della successiva scissione in due forze politiche: il Fremskridtspartiet, che nel 1999 non riuscirà a contrastare una nuova serie di conflitti interni e cesserà di esistere, e il Danks Folkeparti, che si avvia verso una rapida ascesa grazie al cambio di paradigma portato avanti dalla leader Pia Kjærsgaard. Nello specifico, gli anni Novanta rappresentano un momento fondamentale per il nuovo partito: da una parte, la leader prova ad avviare un processo di “apertura” e di collaborazione con le maggiori forze politiche parlamentari, nello specifico i conservatori e i liberali, allo scopo di contrastare l’avanzata socialdemocratica e abbandonare la natura marginale del predecessore; dall’altra, mantiene gli obiettivi del FrP per non perdere la base elettorale guadagnata nel corso degli anni (Rydgren 2004; Kosiara-Pedersen e Ringsmose 2005; Kosiara-Pedersen 2006; Green-Pedersen e Odmalm 2008). Le elezioni del 1998 rappresentano il primo grande successo per il DF, che triplica il numero dei parlamentari (13 seggi) con il 7,4% di voti e può finalmente ambire all’ingresso effettivo nello scenario politico nazionale.

Le elezioni parlamentari del 2001 permettono al Partito Popolare Danese di entrare a pieno titolo all’interno della politica mainstream: con il 12% di voti ottiene 22 seggi al Folketing ed entra a far parte del sostegno parlamentare del governo liberal-conservatore, guidato dal partito liberale Venstre. Il successo del DF appare ancor più imponente se si considera che nel corso della campagna elettorale i partiti di sinistra hanno in più occasioni provato a mantenere tale forza politica ai margini del sistema, classificandolo come un partito di

estrema destra con tendenze razziste e xenofobe (Andersen 2003). In realtà, nonostante gli attacchi, il partito è riuscito ad allontanarsi dall’ideologia estremista dei gruppi neo-nazisti, grazie alla realizzazione di una campagna basata sull’approfondimento dei problemi e sulla ricerca di soluzioni, ma anche attraverso l’utilizzo di una retorica discorsiva molto meno aggressiva e violenta. La differenza tra il Partito del Progresso e il Partito Popolare Danese, infatti, non è rintracciabile nel “cosa”, ma nel “modo” con cui le issues sono trattate (Rydgren 2004). Il DF mantiene una posizione anti-establishment anche nel periodo successivo all’ingresso nella coalizione di governo avvenuta nel 2001, ma modera i linguaggi e i toni con cui affronta le tematiche e con cui si rivolge alle altre forze politiche, che gli permette di ottenere una maggiore credibilità nel contesto nazionale; e, pertanto, non solo riesce a inserirsi nella politica mainstream, ma riesce anche a conquistare il consenso di una buona parte di cittadini-elettori, sottraendola al Partito Socialdemocratico con il quale condivide la base elettorale costituita dalla classe operaia.

Tra i fattori che hanno contribuito all’ascesa del DF si annovera la centralità acquisita dalla questione migratoria che il partito stesso ha concorso a delineare. Da sempre tema chiave di tale forza politica, il dibattito sorto intorno alla issue migratoria ha obbligato i partiti politici a rendere note le loro posizioni, ma ha altresì alimentato la copertura mediale del tema. Le elezioni del 1998 e quelle del 2001 sono, infatti, quasi del tutto incentrata sui problemi che la Danimarca si trova ad affrontare a causa dell’aumento dei cittadini stranieri sul territorio nazionale, e rappresentano un momento decisivo per l’ingresso del tema nel dibattito pubblico e politico nazionale degli anni a seguire (Rydgren 2004; Green-Pedersen e Odmalm 2008; Green-Pedersen e Krogstrup 2008). In particolare, in occasione della campagna elettorale del 2001 si assiste al passaggio da un dibattito incentrato sulle social-economic issues in modo generico a uno incentrato sui problemi sociali ed economici derivanti dalla

immigration issue. In linea con tale cambio di paradigma, il DF riesce a catalizzare l’attenzione

sui problemi economici, sociali e culturali dovuti alla presenza di immigrati e rifugiati, e di conseguenza a diffondere la necessità di una revisione delle attuali policies in materia di immigrazione, accoglienza e integrazione (Meret 2010). L’innovazione del DF è rintracciabile nella varietà di approcci che utilizza nella trattazione del fenomeno migratorio. Soprattutto nei primi anni, quelli compresi tra le elezioni parlamentari del 1998 e quelle del 2011, il tema è principalmente legato alla dimensione economica e sociale. Gli immigrati e i richiedenti asilo sembrano infatti mettere in crisi il sistema di welfare, dal momento che aumentano i cittadini con reddito al di sotto della soglia di povertà, e quello occupazionale, dal momento che si andrebbe incontro a una presenza massiccia di lavoratori non qualificati (Rydgren 2004; Nannestad 2004; Green-Pedersen e Odmalm 2008; Meret 2010; Brücker et al. 2014). Successivamente, soprattutto in seguito alla stagione di attentati terroristici che hanno sconvolto l’Europa e che ha visto la Danimarca stessa essere colpita nel 2015, il partito

affianca la dimensione culturale e identitaria a quella economico-sociale nella narrazione del fenomeno migratorio (Gundelach 2010; Siim 2013; Harmon 2016; Smiley et al. 2017). Infatti, la necessità di limitare l’ingresso di immigrati e rifugiati e di applicare norme restrittive in materia di accoglienza e integrazione è legata, oltre che alla possibilità di diminuire la criminalità cittadina, alla volontà di limitare l’insediamento di gruppi jihadisti sul territorio nazionale. La bidimensionalità della issue migrazione permette al partito di poter allo stesso tempo realizzare un discorso basato sulla necessità di salvaguardare sia il benessere economico dei cittadini danesi, minacciato dall’immigrazione non adeguatamente regolamentata, sia i valori tradizionali e nazionali, minacciati dalla presenza di soggetti culturalmente lontani dall’insieme di quei principi condivisi che permettono ai Paesi dell’ovest di cooperare e collaborare in diversi settori (Lauring Knudsen 2008; Meret 2010). Proprio a partire dalla issue migrazione, il Partito Popolare Danese avvia una netta politica di avversione all’Unione Europea. Alla base dell’euroscetticismo del partito ritroviamo l’opposizione alle politiche in materia di gestione dei flussi migratori verso l’Europa e la richiesta di revisione dell’Accordo di Schengen, quest’ultimo fortemente contrastato nel 2001 in occasione della sua entrata in vigore in Danimarca. L’opposizione all’accordo sulla libera circolazione si è reinserita nel dibattito politico tra il 4 gennaio e il 23 febbraio del 2016, quando la coalizione di governo ha reintrodotto il controllo alle frontiere per limitare gli ingressi nel Paese in concomitanza con la crisi migratoria iniziata a partire dal 2015.

Nel complesso, il DF può essere annoverato tra i partiti euroscettici nazionalisti di destra, ma il suo atteggiamento verso l’UE lo avvicina a un soft euroscepticism, poichè si dichiara a favore della membership e della cooperazione sovranazionale, soprattutto in alcuni ambiti, a patto che sia salvaguardata la sovranità politica ed economica (Lauring Knudsen 2008). Nella visione del Partito Popolare Danese, l’Europa dovrebbe configurarsi come una entità in grado di rendere efficace a cooperazione tra Paesi “liberi e indipendenti” in quei settori che possono portare a un miglioramento delle condizioni economiche e sociali dei singoli partecipanti, mantenendo intatta la sovranità delle istituzioni politiche nazionali. In particolare, il DF è del tutto a favore della collaborazione in settori come l’ambiente, il libero mercato e la sicurezza internazionale; mentre sostiene che siano una prerogativa nazionale la gestione delle politiche riguardanti gli affari esteri, le questioni monetarie e quelle fiscali (Meret 2010). Decisiva sarà la campagna del Partito Popolare Danese in occasione del referendum sull’euro del 2000, che gli permetterà di inserirsi all’interno del dibattito politico nazionale e di affermare le proprie posizioni negli affari europei, ossia la preoccupazione per una perdita della sovranità e dell’indipendenza economica del Paese.

È importante sottolineare che il DF è riuscito a mantenere una certa coerenza nell’atteggiamento verso l’UE nel passaggio dall’opposizione parlamentare alla coalizione di governo; la leader del partito ha continuato a criticare la classe politica danese per la sua

incapacità di ribellarsi a quelle che sono le decisioni europee. Si tratta di un discorso che trae origine dalla presenza di un “deficit democratico” all’interno dell’Unione, che il partito danese considera una diretta conseguenza dell’esclusione della cittadinanza all’interno dei processi decisionali comunitari, i quali sono gestiti esclusivamente da esponenti pubblici e politici non eletti. Inoltre, entrato nel panorama politico nazionale grazie all’acquisizione di un buon numero di seggi nel Folketing, il partito non ha optato per l’ammorbidimento delle proprie posizioni allo scopo di dar forma a “punti di contatto” con le forze politiche

mainstream al governo; ma, al contrario, ha più volte contrastato le decisioni e le risoluzioni

del governo in merito alle questioni europee considerate in esplicito contrasto con il proprio programma politico. Ciò ha permesso al DF di conquistare una rilevante credibilità all’interno dell’opinione pubblica e di promuoversi quale unico partito garante dell’identità e della sovranità nazionale (Lauring Knudsen 2008; Maret 2010).

La posizione dichiaratamente euroscettica ha aiutato il partito a guadagnare uno spazio all’interno dello scenario politico nazionale, poiché gli ha permesso di differenziarsi dalle altre forze politiche dell’establishment in materia di affari europei. D’altro canto, la coerenza delle posizioni assunte dal DF nei confronti dell’UE dimostra come l’euroscetticismo non sia stato utilizzato per motivi strategici, ma al contrario anche l’appartenenza a una coalizione di governo tendenzialmente europeista – o per meglio dire non ben definita – non ha avuto ripercussioni sulle posizioni del partito. Si tratta di una condizione che permette ancora oggi al Partito Popolare Danese di differenziarsi dalla classe politica mainstream, che non sembra essere in grado di scegliere e mantenere una determinata linea politica nel rapporto con l’Unione Europea. In questo modo, il DF si afferma quale unico vero garante della sovranità nazionale, che ha scelto di opporsi alle decisioni comunitarie, e alla stessa politica nazionale, allo scopo di tutelare i cittadini danesi e salvaguardare gli interessi nazionali.

4.1.4 Gli spot elettorali del DF tra il 2008 e il 2018

Il corpus del Partito Popolare Danese (Danks Folkeparti) comprende 13 spot che sono stati raccolti attraverso la consultazione dei due canali YouTube3 e della sezione “DF Film” del

3 I due canali sono relativamente giovani, in quanto il primo viene aperto il 29 maggio 2014 (https://www.youtube.com/channel/UCiDi10-eqJ2Sv0wYW-RoS9g/about) e il secondo il 20 dicembre 2016 (https://www.youtube.com/channel/UC5CDvJam5lJmYGgA3iI5u2Q/about). La “giovinezza” dei canali ha permesso di recuperare i video delle ultime due elezioni considerate, le europee del 2014 e le parlamentari del 2015, ma per la ricerca degli altri materiali, relativi alla campagna europea del 2009 e a quella parlamentare del 2011, ci si è serviti del sito ufficiale e di canali YouTube non ufficiali in cui tali video sono stati archiviati (consultati nel periodo 10-20 giugno 2018).

sito ufficiale del partito4. Inoltre, durante il periodo di ricerca in Danimarca5, è stato possibile consultare alcuni materiali archiviati presso l’Università di Aarhus.

A causa del numero esiguo di spot reperiti in rete, sono stati contattati gli addetti stampa del partito mediante l’invio di una mail, con la quale si chiedevano informazioni in merito alla campagna di spot realizzata per le elezioni utili ai fini della ricerca (nello specifico le europee del 2009 e del 2014, e le parlamentari del 2011 e del 2015). I responsabili della comunicazione hanno tempestivamente dato seguito alla richiesta, sottolineando che il DF non ha utilizzato in modo rilevante tale strumento di propaganda durante le campagne elettorali, prediligendo i manifesti elettorali; e, inoltre, i responsabili hanno sottolineato che per le diverse consultazioni i partiti, pur realizzando diversi video, finiscono per designarne uno quale spot ufficiale di campagna. Sono stati poi inviati tramite mail i link dei video ufficiali della campagna; dopo aver effettuato un controllo rispetto al materiale già recuperato, si è riscontrata la sola presenza di due video in più rispetto a quelli raccolti in relazione alle elezioni europee del 2009.

Il ridotto impiego della forma di pubblicità politica televisiva è dovuto al divieto di trasmettere tali contenuti su emittenti nazionali e locali prima e durante le campagne elettorali, siano esse nazionali o europee. Solitamente, il servizio pubblico si impegna nella realizzazione di mini interviste di 15 minuti con i candidati di ogni partito, i quali sono anche coinvolti in una serie di dibattiti trasmessi sulla tv pubblica e su quella commerciale. Ciononostante, le forze politiche e i singoli candidati non sembrano essere interessati a utilizzare le forme brevi di comunicazione audiovisiva neanche potendo usufruire dei nuovi spazi concessi dalla Rete. Il disinteresse dimostrato dalle forze politiche verso lo spot elettorale, e di conseguenza il suo esiguo utilizzo, non hanno permesso ai cittadini-elettori di abituarsi, e più in generale di saper comprendere e apprezzare, le forme estetiche e i linguaggi di tale forma di propaganda. Lo dimostra lo scandalo sorto a causa della pubblicazione di uno spot istituzionale, diffuso attraverso il canale YouTube ufficiale del Folketing a due settimane dal voto, realizzato per incentivare la partecipazione al voto da parte dei giovani in occasione delle elezioni per il Parlamento Europeo del 2014. La polemica si erge in relazione al contenuto stesso dello spot, in cui un supereroe chiamato Voteman sembra essere stato ingaggiato dal Parlamento stesso per “obbligare” i giovani a votare con ogni mezzo a sua disposizione6. Nonostante il successo ottenuto in Rete in termini di like e condivisioni, la violenza presente nel video, ad esempio la decapitazione di un cittadino che si dichiara non

4Il sito internet è disponibile al link https://danskfolkeparti.dk/partiet/17304-2/

5Come già indicato in precedenza, il periodo di studio si è svolto dal 31 maggio 2018 al 3 luglio 2018 presso l’Università di Aarhus (Department of Political Science and Government della School f Business and Social Sciences), con la supervisione del Prof. Christoffer Green-Pedersen.

6 Sono molti siti web e i canali YouTube sui quali è possibile reperire lo spot danese: https://www.youtube.com/watch?v=FjbBSLZlpsQ

interessato alle imminenti consultazioni europee, ma soprattutto gli espliciti riferimenti sessuali, come accade sia nella scena in cui il supereroe è coinvolto in atti sessuali con più donne nella sua dimora sia nel momento in cui interrompe un giovane impegnato in un atto sessuale per costringerlo a recarsi alle urne, non hanno trovato l’approvazione popolare. Il Folketing si è così visto costretto, nonostante le scuse diffuse dal portavoce del Parlamento danese, Mogens Lykketoft, ad eliminare dal proprio canale il video, che intanto è divenuto virale e ha trovato spazio in molteplici social network e siti web a livello nazionale e internazionale. Neppure il simpatico avvertimento posto in chiusura del video, “Voteman è un personaggio di fantasia e le opinioni espresse sono unicamente sue. Nessun hipster è stato maltrattato durante le riprese”, è riuscito a far comprendere alla cittadinanza l’ironia e il sarcasmo del contenuto. Le critiche hanno finito per oscurare il significato profondo del video, facendo sì che l’attenzione dei fruitori finisse per concentrarsi esclusivamente sulla violenza e le oscenità presenti nel video. Difatti, la narrazione è incentrata sulla figura di un giovane, Voteman appunto, che decide di dedicare la propria vita a non permettere che gli altri commettessero il suo stesso errore, ovvero dimenticarsi di andare a votare.