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La controversa modifica introdotta dalla l n 85 del 2006.

2. La propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico (art 3, co 1, lett a), I parte, l n 654 del 13 ottobre 1975).

2.1. La controversa modifica introdotta dalla l n 85 del 2006.

Già si è detto (v. supra par. 1.4) come la legge di riforma dei reati di opinione sia intervenuta anche sull’art. 272 c.p., espungendo dal codice la fattispecie di propaganda che, già dagli anni Sessanta, era stata oggetto di numerose critiche da parte della dottrina. Fin qui, nulla di strano: l’abrogazione dell’art. 272 c.p. era attesa da tempo e rispondeva alle aspettative di chi ravvisava nella propaganda una fattispecie ormai desueta, in palese contrasto con il principio di libertà di espressione.

Va da sé, però, che il legislatore, contestualmente all’abrogazione della propaganda ex art. 272 c.p., ha altresì deciso di intervenire sulla legislazione

extra codicem e, in particolare, sulla fattispecie di propaganda razzista,

sostituendo il verbo “diffondere” con il verbo “propagandare”. Ed è stato proprio a questo punto che le stranezze hanno iniziato ad emergere. Prima fra tutte, una spiccata contraddizione (300) tra l’intento di eliminare il reato di

propaganda dal codice e la contestuale volontà di reintrodurla nella legislazione speciale, facendo rientrare dalla finestra ciò che sembrava essere uscito definitivamente dalla porta.

Ci si è sovente interrogati sulla ratio di una simile novella, percepita da taluni come «un tentativo da parte del legislatore (…) di placare la vexata questio circa la possibile incostituzionalità del disposto per violazione dell’art. 21 Cost.» (301), e da altri come una mossa squisitamente politica che, restringendo

l’ambito di applicazione della fattispecie, avrebbe «presta[to] un riparo indulgenzialista a ben specifiche vicende giudiziarie» (302).

Quanto al significato dei termini “propaganda” e “diffusione”, la dottrina maggioritaria ne ha messo in luce la diversa portata concettuale, asserendo

300 Questa contraddizione è rilevata soprattutto da L. ALESIANI, I reati di opinione, cit.,

120.

301 L. SCAFFARDI, Oltre i confini della libertà di espressione, cit., p. 203. Negli stessi

termini si è espressa anche F. SALOTTO, Reato di propaganda razziale e modifiche ai reati di opinione, cit., p. 170, per la quale «è da ritenere che il legislatore, nell’apportare questa modifica, sia stato spinto (…) dall’intenzione di sopire le polemiche e i dubbi relativi alla potenziale violazione del principio di libera manifestazione del pensiero».

302 C.VISCONTI,Il legislatore azzeccagarbugli, cit., p. 223. Il riferimento è, chiaramente,

al sopra citato caso giudiziario che aveva coinvolto sei noti esponenti veronesi della Lega Nord, per aver cercato di acquisire consensi presso l’opinione pubblica facendo leva su alcuni pregiudizi storici contro gli zingari. Questa opinione è condivisa anche da D. PULITANÒ, Riforma dei reati d’opinione?, cit., p. 746, per il quale «la novella leghista del 2006» si è posta «in un’ottica fortemente selettiva, segnata da contingenti interessi politici».

La propaganda

che la diffusione «prevede un’ampia divulgazione di idee, così da poter portarne a conoscenza altri, mentre la propaganda prefigura un’azione più specifica, il cui risultato è rivolto ad influire sulla psicologia e l’altrui comportamento» (303). Secondo altri, invece, i termini in questione

coinciderebbero e la sostituzione operata dal legislatore si esaurirebbe in una mera modifica formale della fattispecie. Al di là della semplice differenza terminologica, infatti, la novella non avrebbe inciso sostanzialmente sulla portata della norma, «poiché il termine “diffusione” è sempre stato comunque interpretato non nel senso di una mera manifestazione del pensiero, quanto invece nel senso di un’azione idonea a mettere in pericolo il bene giuridico tutelato» (304).

Ora, ad avviso di chi scrive, non si può non percepire la diversa ampiezza semantica dei termini in discorso, ed è pienamente condivisibile quanto affermato dalla Cassazione, per cui «l’uso del verbo “propaganda” in luogo di “diffonde” restringe la fattispecie originaria, perché implica che la diffusione debba essere idonea a raccogliere consensi intorno all’idea divulgata» (305).

Sennonché, da questa interpretazione deriverebbe un problema di conformità della fattispecie rispetto all’attuale normativa sovranazionale. Precisamente, la nuova disciplina si porrebbe in contrasto con l’obbligo internazionale assunto dall’Italia con la firma della Convenzione Internazionale di New York del 7 marzo 1966, relativa all’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, con cui lo Stato italiano si è impegnato “a dichiarare crimini punibili dalla legge ogni diffusione di idee ecc.” (art. 4, lett. a). E poiché il riferimento alla “diffusione in qualsiasi modo” è stato espunto dalla disposizione in esame, quest’ultima «pare dover inevitabilmente essere considerata una violazione

303 L. SCAFFARDI, Oltre i confini della libertà di espressione, cit., p. 203. Nello stesso

senso, v. C. CITTERIO, Discriminazione razziale, cit., p. 156, per il quale «la “propaganda” [è] qualcosa di più e in ogni modo di diverso dalla “mera diffusione in qualsiasi modo”»; F. SALOTTO Reato di propaganda razziale e modifiche ai reati di opinione, cit., p. 170 e ss., la quale sostiene che «“diffondere” equivale a divulgare e far conoscere», mentre «la propaganda implica una azione idonea ad influire sulla psicologia e sul comportamento altrui. Quest’ultima è una condotta più incisiva, capace di operare in senso pregiudizievole sull’atteggiamento collettivo. Non consiste solo nel portare a conoscenza dei terzi le proprie idee, ma si caratterizza per la sua forza persuasiva, ovvero per la sua attitudine ad influenzare il pensiero ed il giudizio degli “ascoltatori”. E chi propaganda le proprie idee intende orientare la volontà altrui». In giurisprudenza, la differenza tra i due termini è sottolineata, in particolare, da Cass. pen., sez. III, 7 maggio 2008, Mereu, in Cass. pen. 2009, p. 3023, con osservazioni di A.MONTAGNA.

304 C.SILVA,Il concetto di discriminazione razziale, cit., p. 346, nota 30. 305 Cass. pen., sez. III, 13 dicembre 2007 (dep. 28 marzo 2008), n. 13234, cit.

La propaganda

della Convenzione di New York» (306). Inoltre, la nuova fattispecie «non

parrebbe risultare sufficiente ad adempiere [neppure] l’obbligo imposto ex art. 1, co. 1, lett. b) della Decisione quadro 2008/913/GAI» (307), per cui l’Italia si

impegna ad adottare tutte le misure necessarie a punire la perpetrazione di atti di istigazione alla violenza e all’odio razziale “mediante la diffusione e la distribuzione pubblica di scritti, immagini o altri materiali”.

A queste critiche, però, si può facilmente controbattere, osservando che, prima ancora di rispettare gli obblighi assunti in sede internazionale, l’Italia deve rispettare i principi fondamentali sanciti dalla Costituzione. Tra questi principi, vi è senza dubbio anche quello di legalità, con il suo corollario della tassatività-determinatezza, fortemente disatteso da una fattispecie che pretendeva di punire ogni generica “diffusione” di idee razziste. Ricorrendo all’accezione di “propaganda”, invece, il legislatore ha cercato di circoscrivere la portata della norma, definendone più nettamente i confini e scegliendo di incriminare solo quei comportamenti che risultino effettivamente offensivi. Il che, tra l’altro, è perfettamente in linea con quanto disposto dall’art. 2 della stessa Decisione quadro 2008/913/GAI, che consente agli Stati membri di rendere punibili “soltanto i comportamenti che siano realmente minacciosi, offensivi o ingiuriosi”.

2.2. Problemi applicativi e spunti di diritto comparato. Il caso Ruanda e

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