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L’apologia del fascismo, analogamente a tutte le fattispecie contemplate dalla c.d. legge Scelba, presenta un’innegabile connotazione ideologica, che suscita legittimi interrogativi sul significato e sull’utilità della permanenza di un simile apparato repressivo nell’odierno sistema giuridico (380). A ben vedere, però, la

378 La c.d. legge Scelba ha sostituito integralmente le leggi nn. 149 e 195 del 1945,

entrambe configurate come temporanee ed emanate nell’immediato dopoguerra con l’espressa finalità di impedire il risorgere del fascismo.

379 A.MANNA,Fascismo (sanzioni contro il), cit., p. 141.

380 Tra i tanti interventi, spesso polemici, sull’attuale validità delle sanzioni contro il

fascismo si rimanda alla famosa intervista, fonte di un acceso dibattito politico, rilasciata dallo storico R. DE FELICE, Le norme contro il fascismo? Sono grottesche, aboliamole, in Corriere della Sera, 27 dicembre 1987, p. 2.

L’apologia

circostanza che si tratti di «reati di ideologia» (381) non è la sola critica ad essi

addebitabile. Un ulteriore spunto polemico, ad esempio, è dato dalla scarsissima applicazione giurisprudenziale di tale normativa, che ammonta ad un numero veramente esiguo di sentenze. Vero è che il raro utilizzo di una norma non può essere ragione sufficiente per la sua revisione o abrogazione (382), ma resta comunque un sintomo incontrovertibile della necessità di

abbandonare, o comunque di modificare, la tutela penale (383).

Le maggiori perplessità, tuttavia, riguardano l’individuazione del bene giuridico offeso dai c.d. delitti antifascisti, e in particolar modo dall’apologia. La teoria che ravvisa tale interesse nell’ordine pubblico (v. supra cap. I, par. 2.1.2) è stata ampiamente criticata da autorevole dottrina (384), in base al

condivisibile argomento per cui un simile concetto, di cui peraltro non si rinviene alcuna traccia nella Costituzione, non può giustificare i limiti posti dalla legge ordinaria ad un bene come la libertà di manifestazione del pensiero che, invece, trova espressa menzione nella Carta fondamentale.

Da qui la proposta di individuare l’interesse tutelato nella personalità dello Stato, inteso come legittimo antagonista al movimento fascista (385). Così

facendo, però, si incorre nel paradosso di voler giustificare la normativa in esame appellandosi ad un bene che, forse più di altri, risente proprio di quella stessa ideologia fascista che tanto si vuole combattere e che associa alla personalità dello Stato l’espressione più autentica di una visione autoritaria dello Stato medesimo (386). Per superare questo impasse, si è quindi tentato di

381 F.PALAZZO,Associazioni illecite ed illeciti delle associazioni, in Riv. it. dir e proc pen.

1976, p. 428.

382 In questo senso v. G.FORTI,Tra criminologia e diritto penale: “cifre nere” e funzione

generalpreventiva della pena, in G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Diritto penale in trasformazione, Milano 1985, p. 53; K. LÜDERSSEN, Strafrecht und “Dunkelziffer”, Tubinga 1972, i quali ritengono che un rapporto eccessivo tra i numerosi reati commessi e le relative scarse applicazioni giurisprudenziali non debba mai essere considerato un sintomo esclusivo della necessità di abbandonare lo strumento penale.

383 Così si esprime G. FIANDACA, Nota, cit., p. 21, in relazione all’apologia di genocidio.

Sul punto v. anche quanto dichiarato dalla Corte suprema canadese, R v. Zündel, [1992] 2 S.C.R. 731, cit., per cui la scarsa utilizzazione della norma penale è sintomo della sua non essenzialità per il sistema giuridico. Da qui l’inevitabile pronuncia di incostituzionalità.

384 Per una stringente critica all’ordine pubblico come limite alla libertà di

manifestazione del pensiero v. C.FIORE, I reati di opinione, cit., p. 107 e ss.

385 V.PATALANO,L’associazione per delinquere, Napoli 1971, p. 152 e ss.

386 Così si esprime A.MANNA,Fascismo (sanzioni contro il), cit., p. 141, il quale osserva

che, se il bene della personalità dello Stato «è quello che forse più di altri risente dell’originaria matrice fascista, (…) potrebbe sembrare un controsenso ricondurre l’oggettività giuridica di fattispecie, che hanno invece come loro scopo principale quello

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sostituire il termine “personalità dello Stato” con quello di “Repubblica”, più consono al mutato assetto organizzativo della comunità statuale (387).

Sennonché, si è visto che anche quest’ultima accezione mantiene pressoché inalterato quel carattere di «soggettivizzazione della comunità (…) che non può non tradursi in una possibile evanescenza sotto il profilo dell’oggettività giuridica» (388).

Altrettanto contestabile appare il ricorso al bene dell’ordine costituzionale, tale locuzione potendo riprodurre il già criticato concetto di ordine pubblico, soprattutto se inteso come mero limite esterno alla libertà d’espressione. L’unico modo per rendere più congruo l’impiego della suddetta accezione sarebbe quello di delinearla come limite alla libertà d’associazione, finalizzato cioè ad incriminare tutte quelle organizzazioni che, ai sensi della XII disp. trans. e fin., si pongono in contrasto con il sistema di valori riconosciuto dalla Costituzione. Ma si tratterebbe in ogni caso di un’accezione comprensiva dell’ordine pubblico ideale, che non può trovare spazio nel nostro ordinamento, in quanto limite generale all’esercizio dei diritti di libertà (v.

supra cap. I, par. 2.1.2).

La verità, mai dichiarata espressamente, è che le norme in esame, emanate con l’esclusiva finalità di proteggere e stimolare il sentimento antifascista di una parte del popolo italiano, si limitano a tutelare l’antifascismo come valore in sé; e non anche l’ordine pubblico, la personalità dello Stato o l’ordine costituzionale: tutti concetti di difficile individuazione, cui si ricorre sia per mascherare la connotazione politico-ideologica di tali delitti, sia per munirli di un minimo di offensività che, nonostante l’impegno profuso in tal direzione, risulta comunque insufficiente.

Premesso che un’ideologia politica (in questo caso l’antifascismo) non può assurgere a bene giuridico da tutelare, fa specie che uno Stato che si professa «democratico» si definisca al tempo stesso «irriducibilmente contrastante nei riguardi del fascismo», perché una cosa esclude l’altra. Infatti, o si accetta la manifestazione di qualsiasi ideologia (fascismo compreso) come vorrebbe la vera essenza della democrazia, che è dialogo e scambio di tutte le opinioni, nessuna esclusa; oppure si limita la libertà d’espressione escludendo certe

di combattere quantomeno le espressioni più pericolose di tale ideologia, alla medesima matrice autoritaria».

387 T.PADOVANI,Bene giuridico e delitti politici. Contributo alla critica ed alla riforma del

titolo I, libro II, c.p., in Riv. it. dir. e proc. pen1982, p. 39.

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ideologie, ma allora tale limitazione diventa essa stessa sovversiva dell’ordinamento costituito. In sostanza, se si impone un’ideologia (l’antifascismo) e se ne reprime un’altra (il fascismo), si frustra il dibattito politico, ottenendo esattamente il contrario di ciò che si voleva.

Trattandosi di pure incriminazioni del pensiero con forte matrice ideologica, quindi, non vi è dubbio che le fattispecie in discorso contrastino con l’art. 21 Cost. (389). In un primo tempo, per ovviare a questa incompatibilità, i giudici

della Cassazione avevano cercato di attribuire un valore programmatico all’art. 21 Cost., sostenendo la non immediata azionabilità dell’articolo in questione ed affermando la necessità di norme integrative di rango ordinario per fissarne i limiti (390). Abbandonata questa strada, si è poi tentato di giustificare la

permanenza delle disposizioni antifasciste nel nostro ordinamento richiamando la XII disp. trans. e fin., il cui rango costituzionale consentirebbe alle stesse di derogare validamente all’art. 21 Cost., trovando un giusto compromesso tra la libertà di manifestazione del pensiero da una parte e l’esigenza di evitare la ricostituzione del disciolto partito fascista dall’altra (391).

Sennonché, autorevole dottrina (392) ha correttamente osservato che le norme

sull’apologia del fascismo e sulle manifestazioni fasciste non possono essere ricondotte all’ambito della XII disp. trans. e fin. Quest’ultima previsione, infatti, costituisce un’eccezione rispetto alla regola generale di cui all’art. 18

389 In questo senso v. soprattutto C.ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero

nell'ordinamento italiano, Milano 1958, che è stato fra i primi a sottolineare l’inconciliabilità del reato di apologia di fascismo con l’art. 21 Cost.

390 V., per tutte, Cass. pen., sez. un., 15 aprile 1950, in Giust. pen. 1950, II, p. 497,

per cui la diretta applicazione dell’art. 21 Cost. avrebbe potuto condurre a «disordini irreparabili, giacché le più nocive e maligne espressioni del pensiero, dall’ingiuria all’oltraggio, dal vilipendio all’istigazione a delinquere, acquisterebbero impulsi tali da infirmare lo stesso principio di sovranità dello Stato».

391 In questo senso v. P. BARILE DE SIERVO, Sanzioni contro il fascismo ed il

neofascismo, in Noviss. Dig. it., XVI, Torino 1969, p. 970; C.BON VALSASSINA,Apologia

di fascismo, divieto di riorganizzazione del partito fascista e libertà di manifestazione del pensiero, in Foro it. 1957, I, p. 953.

392 Così A.MANNA,Fascismo (sanzioni contro il), cit., p. 141, per il quale «tali fattispecie

non posseggono l’usbergo costituzionale della XII disp.» e, di conseguenza, «non possono essere qualificate come limiti legittimi alla libertà di manifestazione del pensiero». Si oppongono all’estensione dell’ambito applicativo della XII disp. anche L. SCAFFARDI, Oltre i confini della libertà di espressione, cit., p. 170, la quale precisa come «non sia possibile ricondurre alla copertura costituzionale della XII Disposizione transitoria generali espressioni istiganti all’odio razziale, rappresentando un ingiustificabile ampliamento dell’interpretazione della norma costituzionale»; A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali. Parte speciale, Padova 1992, p. 372, per il quale risulterebbe passibile di incostituzionalità applicare tali sanzioni «anche in danno di manifestazioni che non siano obiettivamente riconducibili alle finalità antidemocratiche del partito fascista».

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Cost. sulla libertà d’associazione; e dato che l’art. 14 delle preleggi al c.c. stabilisce che le norme penali e quelle eccezionali non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati, la conclusione non può che essere una e una soltanto: la XII disp., vietando la ricostituzione del partito fascista, si riferisce al solo reato associativo e una sua arbitraria estensione ad altre fattispecie non è consentita, giacché si tradurrebbe in un’inevitabile violazione del divieto di analogia.

Leggendo le disposizioni contenute nella c.d. legge Scelba, inoltre, ci si accorge di come queste non siano realmente dirette a prevenire la messa in pericolo dell’ordinamento democratico e delle sue istituzioni. Esse, infatti, si collocano ad uno stadio di “tutela” – se così si può definire – ancora anteriore rispetto a quello del pericolo, poiché colpiscono mere espressioni (parole e gesti) (393)

inerenti convincimenti personali e ideologici, indipendentemente dalla loro capacità di minacciare la sicurezza dello Stato e dei suoi cittadini. La caratteristica di essere “reati senza offesa” (394) ben si coglie nel secondo

comma dell’art. 4, che incrimina la pubblica esaltazione di principi, fatti e metodi del fascismo, nonché nella previsione di cui all’art. 5, che punisce il compimento di manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste, avvenuto durante pubbliche riunioni. Ai fini della sussistenza delle fattispecie in questione, il legislatore non esige alcun pericolo per la pace o la tranquillità pubblica, né richiede che gli atti commessi siano idonei a ricostituire il partito fascista. Oltre a porsi in contrasto con l’art. 21 Cost., quindi, i reati in oggetto disattendono anche il principio di necessaria lesività.

Infine, alle suddette perplessità di ordine costituzionale si potrebbe aggiungere – per ciò che riguarda, in particolare, il delitto di manifestazioni fasciste – anche un eventuale contrasto con il principio di legalità, data la «notevole

393 Pur rivelando una stretta affinità, la fattispecie di apologia e quella di

manifestazioni fasciste si differenziano tra loro perché la prima incrimina solo la parola, mentre la seconda colpisce anche i gesti e i comportamenti tipici del disciolto partito fascista.

394 Per la precisione, E.GALLO,Struttura delle fattispecie e loro sistemazione nell’ambito

dei reati di pericolo, in CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA,Lotta alla criminalità organizzata e politica. Legge Scelba, legge Reale, norme antimafia, Roma 1978, parla di «reati di mera disobbedienza» e di «reati di pericolo presunto»; e, in termini ancora più specifici, riconduce le fattispecie di cui agli artt. 4 e 5 alla categoria dei «reati ostativi», «che non riguardano in alcun modo comportamenti offensivi di un interesse, ma mirano semmai a prevenire la commissione di azioni pericolose (o lesive), elevando direttamente ad oggetto della qualificazione comportamenti che, rispetto a quelle, rappresentano soltanto una premessa vagamente preparatoria».

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indeterminatezza del concetto di “manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste”» (395): in cosa debbono consistere

esattamente tali manifestazioni, per poter integrare la fattispecie de qua? Basta intonare un inno? È sufficiente mimare un gesto? O invece è necessario ricreare l’atmosfera di quel periodo storico, indossando le divise del partito e facendo sfilare i simboli del regime? Il legislatore non lo specifica e l’interprete, di conseguenza, brancola nel buio.

2.2. Gli interventi della Corte costituzionale in tema di apologia e di

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