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Spunti di diritto comparato: manifestazioni naziste nel Villaggio di Skokie.

Già si è visto come gli Stati Uniti d’America, democrazia tollerante per eccellenza, accordino piena tutela anche alle opinioni false, sovversive e antidemocratiche, nonché alle espressioni capaci di offendere la sensibilità altrui, a condizione che – e questa sarebbe l’unica limitazione – esse non

421 G.BIONDI,Brevi considerazioni sul reato di manifestazioni fasciste, cit., p. 735. 422 C. TRUCCO, Brevi note sui più recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di

apologia di reato, cit., p. 740.

423 Così G. SPAGNOLO, Norme penali contro il neofascismo, cit., p. 318; G. BIONDI, È

ancora attuale la norma che punisce le associazioni finalizzate alla riorganizzazione del disciolto partito fascista?, cit., p. 2483.

424 Arriva alla stessa conclusione, ma con un ragionamento molto più stringato e

diretto, anche L. ALESIANI, I reati di opinione, cit., p. 266, la quale, riferendosi in particolare all’apologia del fascismo, ha affermato che, «se non ha più senso di esistere una autonoma fattispecie di apologia (…), è chiaro che non ha più senso nemmeno l’esistenza di forme speciali di apologia».

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conducano ad azioni dannose (425). La verità, infatti, ha molte più possibilità

di emergere in un contesto di discussione aperta che non nell’ambito di un regime di censura (426). A mio sommesso avviso, si tratta di una prospettiva

assolutamente condivisibile, cui anche le democrazie del vecchio continente dovrebbero tendere, superando il timore di un ritorno al passato e sgravandosi del peso di scomode eredità.

Restando in tema di manifestazioni nazi-fasciste, è alquanto emblematica la posizione assunta dalla Suprema Corte degli Stati Uniti in merito a quanto accaduto a Skokie, un villaggio dell’Illinois, la cui popolazione, all’epoca dei fatti, era costituita in prevalenza da ebrei scampati all’olocausto nazista (427). Nel 1977, il National Socialist Party of America

(NSPA) – un gruppo politico definito filo-nazista dal suo leader – decideva di marciare davanti al Municipio di Skokie, rievocando l’atmosfera e i fasti della Germania nazista. I manifestanti, per l’occasione, sfilavano indossando la divisa militare del partito ed esibendo il simbolo della swastika fasciato sul braccio sinistro, nonché portando in corteo alcune bandiere su cui campeggiava il medesimo emblema.

In seguito ai fatti, il Consiglio Comunale di Skokie e il Sindaco del villaggio intentavano una causa contro l’NSPA, presentando diversi argomenti a sostegno della propria posizione. In particolare, i ricorrenti ritenevano che i promotori della marcia nazista avessero inflitto un trauma psicologico (psychic trauma) ai residenti ebrei sopravvissuti all’olocausto, facendosi

425 Basti pensare che, di recente, la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha

assolto alcuni membri della Westboro Baptist Church i quali, con dimostrazioni pacifiche ma fortemente offensive, avevano manifestato le loro idee di odio nei confronti degli omosessuali e della Chiesa cattolica in occasione del funerale di un marine cattolico caduto in guerra. La Corte, pur riconoscendo che la parola può infliggere grande dolore, afferma che anche i discorsi d’odio, quando vertono su tematiche pubbliche, contribuiscono al dibattito democratico e, per questo, devono essere protette dal Primo Emendamento. V. Snyder v. Phelps, 562 U.S (2011), reperibile all’indirizzo www.supremecourt.gov/opinions/10pdf/09-751.pdf.

426 Questo concetto, che sta alla base della dottrina del marketplace of ideas (v. supra

cap. I, par. 2.1.1), è ripreso anche in Snyder v. Phelps, 562 U.S (2011), cit., dove si legge che «…this Nation has chosen to protect even hurtful speech on public issues to ensure that public debate is not stifled…».

427 National Socialist Party of America v. Village of Skokie, 432 U.S. 43 (1977), in

http://caselaw.lp.findlaw.com/cgi-bin/getcase.pl?court=us&vol=432&invol=43.

Per una più approfondita disamina della vicenda di Skokie si rimanda a L.H. TRIBE, Neutral Principles and the Nazi March in Skokie, in Consitutional Choices, Cambridge 1985, p. 219 e ss.

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beffe dei loro dolorosi ricordi (painful reminders) e provocando negli stessi un grave stress emozionale (severe emotional distress).

La Corte, tuttavia, pur ammettendo che la manifestazione inscenata era stata irritante e di cattivo gusto, assolveva l’NSPA, perché la marcia si era svolta pacificamente, senza l’uso di violenza e senza mettere in pericolo i residenti. Gli spettatori, inoltre, non erano stati obbligati ad assistere al corteo (non c’era captive audience) e la circostanza che alcuni di essi fossero stati “disturbati” da un simile episodio non bastava a rendere penalmente perseguibile la pacifica manifestazione di un’opinione, per quanto impopolare essa fosse. La manifestazione incriminata, pertanto, rientrava a pieno titolo sotto alla garanzia del Primo Emendamento e non poteva essere penalmente perseguita.

Questa decisione si presta a non poche riflessioni critiche. In primo luogo, va detto che nel caso di specie non era propriamente in gioco la libertà di parola o di manifestazione del pensiero, bensì la libertà di riunione, o meglio la libertà di riunirsi in corteo (428). Questa libertà, a differenza della

prima, incontra una serie di limiti maggiori, dati dal fatto che alcune riunioni o cortei possono facilmente mettere in pericolo la sicurezza e l’incolumità dei cittadini. Difatti, per quanto concerne il nostro ordinamento, mentre l’art. 21 Cost. menziona il solo limite del buon costume, l’art. 17 Cost. prevede che il diritto di riunirsi in luogo pubblico possa subire limitazioni “per comprovati motivi di sicurezza o incolumità pubblica”. Partendo da queste premesse, un’attenta dottrina ha colto l’occasione per precisare che «solo in una riunione una manifestazione pubblica di pensiero può ingenerare situazioni pericolose», e quindi può essere penalmente perseguita, mentre laddove «si manifesti il proprio pensiero senza contatto personale diretto con un pubblico di ascoltatori (…) non ci sarà né istigazione diretta né istigazione indiretta, ma solo libera manifestazione del pensiero» (429). Pertanto, se un soggetto manifesta il

proprio pensiero in un libro o parlando alla radio, e quindi senza instaurare un contatto diretto con l’uditorio, è escluso che possano crearsi – quantomeno nell’immediato – situazioni pericolose per la pace e la

428 M.AINIS,Valore e disvalore della tolleranza, cit., p. 426, nota 1. 429 S.BASILE,Apologia di delitto, in Quale giustizia 1970, n. 4, p. 87.

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tranquillità pubblica. Di conseguenza, chi manifesta in questo modo il proprio pensiero non potrà essere chiamato a rispondere di alcunché, dovendosi egli attenere al solo limite espresso del buon costume. Se invece quelle stesse idee vengono diffuse durante un comizio o in occasione di un corteo, instaurando un contatto diretto con gli ascoltatori, è certamente più probabile che le parole infiammino i presenti, trasmodando in azioni e ingenerando situazioni pericolose per l’incolumità pubblica, che lo Stato deve necessariamente prevenire.

La situazione descritta nel caso Skokie era indubbiamente riconducibile a questo secondo tipo di manifestazione, ma la Corte ha sottovalutato il pericolo per l’incolumità e la sicurezza dei residenti ebrei, potenziale bersaglio di violenze da parte dei manifestanti filo-nazisti. Questi ultimi, infatti, non si erano limitati ad esprimere la loro adesione morale a quell’ideologia, ma l’avevano fatto sfilando per le vie del villaggio, a diretto contatto con la popolazione, composta anche da numerosi ebrei sfuggiti alle persecuzioni naziste europee. L’errore dei giudici americani è stato quello di focalizzare la loro attenzione esclusivamente sulla libertà di manifestazione del pensiero, quando avrebbero dovuto considerare anche la libertà di riunione che, per le ragioni già viste, incontra molte più limitazioni. Da questo punto di vista, quindi, la decisione della Corte Suprema non può essere pienamente condivisa.

Nel contempo, però, bisogna riconoscere che, su suolo nordamericano, c’è una percezione del fenomeno nazista molto diversa rispetto a quella che si avverte in Europa; la swastika – così come ogni altro emblema riconducibile a quell’ideologia – si riduce ad un mero ricordo di orrori commessi oltreoceano, che come tali non appartengono propriamente al comune sentimento nazionale. Viceversa, è molto più sentita come minaccia la croce ardente o fiammeggiante(the Fiery Cross o cross-burning), simbolo usato dal Ku Klux Klan per indurre terrore nella popolazione afroamericana e, più in generale, in tutti gli appartenenti a minoranze etniche e razziali (430).

430 Questa attenta osservazione è di M. MANETTI, L’incitamento all’odio razziale tra

realizzazione dell’eguaglianza e difesa dello Stato, in Scritti in onore di G. Ferrara, Torino 2005, reperibile su www.associazionedeicostituzionalisti.it.

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Ecco, dunque, che ritorna l’importanza del contesto storico e geografico: ciò che può dirsi pericoloso in un dato luogo o periodo storico, diventa completamente innocuo se calato in una diversa dimensione spazio- temporale. Da qui l’abilità del legislatore e dei giudici di adattare la legge e la sua interpretazione ai mutamenti storici, politici e culturali che da sempre interessano ogni società.

Nella giurisprudenza degli Stati Uniti d’America è rinvenibile un cospicuo numero di sentenze in tema di cross-burning. Tra le principali decisioni in materia si ricordano, in particolare, R.A.V. v. City of St. Paul, 505 U.S. 377 (1992), reperibile all’indirizzo www.law.cornell.edu/supct/html/90-7675.ZS.html, che destò molto scalpore per aver affermato che l’innalzamento della croce fiammeggiante, teso a simboleggiare la superiorità della razza bianca, rientra tra le forme di manifestazione del pensiero protette dal Primo Emendamento. Per una serrata critica a questa pronuncia si rimanda a S.H. SHRIFFIN, Racist Speech, Outsider Jurisprudence, and the Meaning of America, in Cornell Law Review 1994, p. 43. Successivamente, con la sentenza Virginia v. Black, 538 U.S. 343 (2003), in www.law.cornell.edu/supct/html/01- 1107.ZS.html, la Suprema Corte ha cercato di aggiustare il tiro, ammettendo che il cross-burning ha un significato storicamente minaccioso per tutti coloro che appartengono alle minoranze razziali e giustifica, pertanto, un trattamento più severo rispetto ad altre meno identificabili forme di discorso non protetto. Nonostante queste premesse, però, anche in questa pronuncia i giudici americani hanno ritenuto comunque illegittima una disciplina che, nel ricorso alla croce ardente, presuma fino a prova contraria lo specifico intento di intimidire, poiché essa finirebbe per accomunare arbitrariamente tra loro le condotte che hanno effettivamente lo scopo di minacciare con quelle che si limitano a manifestare un’adesione alle ideologie del Klan o, addirittura, con quelle che usano l’abbruciamento della croce nell’ambito di opere artistiche o letterarie.

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SOMMARIO: 1. Le principali ipotesi istigative speciali. Cenni introduttivi. – 1.1. L’istigazione a delinquere (art. 414, comma 1, c.p.). – 1.2. L’istigazione a disobbedire alle leggi (artt. 266 e 415 c.p.) – 1.3. L’istigazione all’odio tra le classi sociali (art. 415 c.p.). – 1.4. L’istigazione all’odio razziale o etnico (art. 3, comma 1, lett. a) e b), legge n. 654 del 1975). – a) Come è cambiata la fattispecie di istigazione all’odio razziale dal 1975 ad oggi. – b) Riflessioni critiche. – 1.5. La circostanza aggravante dell’aver agito per finalità di discriminazione o di odio razziale (art. 3, legge n. 122 del 1993). – 2. Forme speciali di istigazione e art. 115 c.p. – 3. Il requisito della pubblicità. – 4. Dove finisce la parola inizia l’azione: l’idoneità della condotta a cagionare il pericolo di commissione di reati. – 4.1. L’influenza della dottrina americana del clear and present danger. Qualche riflessione in chiave comparatistica. – 5. Istigazione: un reato d’opinione? – 6. Una fattispecie da conservare (seppur a certe condizioni).

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