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L’interpretazione adeguatrice della Corte costituzionale (sent n 65 del 1970).

1. L’apologia ex art 414, comma 3, c.p.

1.2. L’interpretazione adeguatrice della Corte costituzionale (sent n 65 del 1970).

Nel 1970, la Corte costituzionale si trova a dover decidere se l’art. 414 c.p., nella parte in cui punisce l’apologia di delitto, costituisca o meno ingiusto impedimento alla libertà di manifestazione del pensiero. Investito della questione, il Giudice delle leggi risponde con una sentenza interpretativa di rigetto, affrettandosi a precisare che «il denunciato contrasto non sussiste, ove dell’art. 414 c.p. sia data corretta interpretazione»: il divieto ivi contenuto – prosegue la Corte – non deve essere esteso «né alla critica della legislazione o della giurisprudenza, né all’attività propagandistica di singoli, partiti, movimenti, gruppi, diretta a promuovere la deletio di qualsiasi norma incriminatrice. Né costituisce apologia l’affermare che fatti previsti dalla legislazione vigente come delitti hanno, o possono avere, soggettivamente od oggettivamente positivo contenuto morale o sociale». L’apologia punibile ai sensi dell’art. 414 c.p., quindi, «non è la manifestazione di pensiero pura e semplice, ma solo quella che per le sue modalità integri comportamento idoneo a provocare la commissione di delitti». Con queste affermazioni, la Corte dimostra di non condividere la rigidità di pensiero delle Sezioni Unite, ma nel contempo scarta anche la strada dell’abrogazione, come se le mancasse il coraggio di tagliare i ponti con il passato. Da qui la soluzione compromissoria di salvare la fattispecie de qua, riducendone la portata applicativa. Affermando che la sola apologia punibile è quella «diretta ed idonea a provocare la commissione di delitti», però, la Corte fornisce un’accezione di apologia pressoché analoga a quella di istigazione, mostrando di condividere la teoria della c.d. istigazione indiretta. Una simile scelta interpretativa ha suscitato le reazioni più disparate in seno alla dottrina: taluni studiosi (339) – non molti, a

dire il vero – hanno condiviso l’atteggiamento conservatore della Corte; altri

339 A.C. JEMOLO, Lo Stato può difendersi (nota adesiva a C. Cost., 4 maggio 1970, n.

65), in Giur. cost. 1970, p. 1433; M.SPASARI,Fatto e reato nella dommatica del Codice e della Costituzione, in Riv. it. dir e proc. pen. 1991, p. 1112.

L’apologia

(340), invece, – e sono la maggioranza – hanno criticato l’intero impianto della

sentenza, sempre più convinti che l’unica strada percorribile sarebbe dovuta essere quella dell’abrogazione.

Ciò premesso, prima ancora di soffermarsi sui singoli commenti alla pronuncia in esame, sarebbe opportuno considerare le formule adoperate dalla Corte per descrivere l’apologia punibile. Infatti, se ai Giudici costituzionali va dato il merito di aver sottolineato l’inammissibilità di una nozione di apologia che pregiudichi la libertà di espressione, va anche riconosciuto come le espressioni da essi impiegate (apologia come “comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti” e apologia “diretta e idonea a provocare la violazione delle leggi penali) siano risultate estremamente generiche ed elastiche, al punto da creare non pochi problemi interpretativi (341).

In particolare, secondo una lettura più restrittiva, l’apologia punibile sarebbe solo quella che mira a far commettere subito, o in un momento strettamente prossimo sotto il profilo temporale, atti delittuosi. In questi termini, la Corte avrebbe limitato la sfera di punibilità alle sole espressioni che si propongono di incidere sulla volontà altrui inducendola immediatamente all’azione e non, semplicemente, determinando in essa propositi per il futuro. Una simile esigenza risponderebbe al principio liberal-democratico per cui, se c’è tempo per controbattere alla parola che induce alla violazione della legge, non è necessario ricorrere alla sanzione penale; viceversa, quest’ultima si giustifica solo laddove espressioni dirette a mettere in moto subito l’azione non lascino

340 L. ALESIANI, I reati di opinione, cit., p. 265; M. CERASE, Sull’apologia e i reati di

pericolo la Cassazione fa un salto indietro, in Cass. pen. 1993, p. 1718;F.P.D’URBANO, Brevi osservazioni sull’apologia di delitto, in Temi Romana 1980, p. 859; C. FIORE, I reati di opinione, cit., p. 106; G.FIANDACA –E.MUSCO,Diritto penale. Parte speciale, vol. I, Bologna 2007, p. 463; E.FRONZA,Brevi note sulla teoria della “istigazione indiretta” in tema di apologia, in Cass. pen. 2003, p. 1013; V. NAPOLEONI, Horror vacui e false interpretazioni in tema di apologia di delitto, in Cass. pen. 1981, p. 770; A. SPENA,

Libertà di espressione, cit., p. 726; C.TRUCCO, Brevi note sui più recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di apologia di reato, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1982, p. 735.

341 G. BOGNETTI,Apologia di delitto punibile ai sensi della Costituzione e interpretazione

della norma dell’art. 414 c.p., ultimo comma, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1971, p. 18, ritiene che si debba «individuare e descrivere, traendole dalla serie continua delle interpretazioni che potrebbero di per sé adattarsi alla lettera delle formule usate dalla Corte costituzionale, tre schematiche configurazioni del reato d’apologia, le quali appaiono, nella loro contrapposizione, particolarmente utili ad indicare l’ampio arco di divergenza su cui si distende la serie, e, in sé, tre diverse soluzioni di carattere per così dire tipico ed esemplare tra le interpretazioni proponibili». La stessa convinzione è condivisa da C.FIORE, I reati di opinione, cit., p. 109, nota 64, il quale ritiene che, nel dichiarare punibile come apologia il solo comportamento “concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti, la Corte abbia «proposto un arduo problema di interpretazione».

L’apologia

alla società la possibilità di contrastare verbalmente l’influenza di stimoli fomentatori di reati (342). Anziché imporre il silenzio forzato, quindi, sarebbe

molto più proficuo ricorrere alla parola “buona”, unico vero rimedio contro la parola “cattiva” (343).

Vi è poi una lettura intermedia, per cui la Corte, ricorrendo alle suddette definizioni, avrebbe inteso subordinare la punibilità dell’apologia all’esistenza di un pericolo meno incombente, cosicché rientrerebbe nella fattispecie de qua non solo il discorso che tende a far scattare subito la molla dell’azione esterna, ma anche quello che insinua nell’animo altrui il proposito di commettere un fatto che si collocherà in un futuro più o meno lontano. In quest’ottica, la sfera di punibilità risulterebbe indubbiamente più estesa rispetto a quella di cui all’interpretazione precedente. Da qui l’introduzione del requisito dell’idoneità della condotta, intesa come probabilità o seria verosimiglianza che i temuti eventi futuri stimolati dall’apologia si verifichino.

Infine, vi sarebbe anche una terza configurazione della struttura del reato di apologia che, pur attingendo al modello di cui alla seconda ipotesi, non lega il concetto di idoneità a quello di probabilità, ma richiede solamente una

ragionevole possibilità che il fatto delittuoso indotto dal discorso apologetico

abbia luogo. Secondo quest’ultima interpretazione, quindi, l’apologia sarebbe punibile anche laddove il verificarsi del fatto criminoso non fosse strettamente probabile e anche qualora le capacità persuasive dell’apologeta non apparissero particolarmente elevate, bastando la possibilità non irrilevante che le eventuali circostanze condizionanti il compimento del fatto si presentino in quel dato ambiente.

Ora, considerata l’indeterminatezza delle formule adoperate dalla Corte, non è chiaro a quale di queste tre accezioni di apologia essa volesse riferirsi. Tuttavia, un’attenta dottrina ha osservato che, se i Giudici costituzionali avessero voluto restringere la sfera di punibilità alle sole apologie dirette e idonee a provocare immediatamente una violazione della legge penale, essi «avrebbe[ro] dovuto fare esplicito uso di quell’avverbio limitativo della

342 Il principio in questione occupa un posto d’onore nella letteratura angloamericana

sulla libertà d’espressione ed è sostenuto, in particolare, da Z.CHAFEE, Free Speech in the United States, cit.; O.W.HOLMES, Opinioni dissenzienti, cit.; J.S. MILL, On liberty, cit.

343 Per riprendere le parole di L.D. BRANDEIS, Concurring opinion in Whitney v.

California 274 U.S. 357, 377, «if there be time to expose the falsehood and fallacies of the speech, to avert the evil by the processes of education, the remedy to be applied is more speech, not enforced silence».

L’apologia

fattispecie. In mancanza, e poiché la formula della direzione e dell’idoneità della condotta non esclude di per sé dalla sua sfera apologie miranti ad insinuare propositi criminosi a esecuzione differita e condizionata, quest’esclusione non ha diritto di compierla l’interprete» (344). Un simile

argomento, peraltro, troverebbe conferma nel fatto che la Corte, quando definisce il bene tutelato dalla fattispecie, richiama l’esigenza di “prevenire e far cessare turbamenti della sicurezza pubblica”; e in questo contesto il verbo “prevenire” giustificherebbe «anche interventi su fatti espressivi non immediatamente (in senso temporale) prodromici a reati» (345). La prevenzione

dei turbamenti della sicurezza pubblica, infatti, si attua anche colpendo quei discorsi che, pur non essendo diretti a far commettere subito atti criminosi, mirano comunque a inculcare nell’animo dei destinatari l’opportunità, più o meno remota, di realizzarli. A fronte di queste considerazioni, quindi, il concetto di idoneità della condotta fissato dalla sentenza dovrebbe intendersi in senso lato, non essendovi traccia alcuna della necessità di un pericolo particolarmente intenso.

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