2. Le problematiche sottese ai reati di opinione.
2.2. Lo scarso spessore offensivo delle condotte incriminate.
2.2.2. Il requisito del pericolo concreto e i suoi (tanti) limiti.
La trasformazione dei delitti di provocazione in reati di pericolo concreto sembra garantire un sufficiente spessore offensivo alle fattispecie in discorso e, ad oggi, è ancora una delle strade più praticate dalla
Riv. pen. 2003, n. 5, p. 427 e s., per cui, per la sussistenza del reato ex art. 272 c.p., si richiede che il discorso incriminato sia «idoneo a creare una situazione di pericolo circa la concreta adesione alle tesi propagate, sotto forma di azioni violente immediatamente riconducibili alle tesi medesime».
142 Così L.ALESIANI, I reati di opinione, cit., p. 201 e s. che, nel descrivere il processo di
trasformazione dei delitti di provocazione in reati di pericolo concreto, richiama sovente le osservazioni prospettate da M.PELISSERO, Reato politico, cit., p. 335.
143 È il caso della sentenza n. 65 del 1970 (v. infra cap. II, par. 1.2) sull’art. 414, terzo
comma, c.p., in relazione alla quale la Corte costituzionale ha ritenuto che l’apologia punibile è solo quella che integra un comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti; idem dicasi per la pronuncia n. 108 del 1974 sull’art. 415 c.p., con cui il Giudice delle leggi ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 415 c.p. «nella parte in cui non specifica che l’istigazione all’odio fra le classi sociali deve essere attuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità».
144 L. ALESIANI, I reati di opinione, cit., p. 196, che si riferisce, in particolare, alla
sentenza n. 87 del 1966 sulla propaganda sovversiva (v. infra cap. II, par. 1.2), in cui la Corte costituzionale continua a fornire una lettura della fattispecie de qua in chiave di pericolo presunto; altrettanto significativa è la pronuncia n. 71 del 1978 sull’art. 266 c.p., con cui i Giudici costituzionali dichiarano che il delitto di istigazione dei militari a disobbedire alle leggi si configura quando l’istigazione sia «diretta a commettere gli atti concreti specificamente elencati, i quali costituiscono, per valutazione legislativa immune da irragionevolezza, pericolo per il bene costituzionalmente protetto». Per quest’ultima pronuncia, si rimanda alla nota critica di L. STORTONI, L’incostituzionalità dei reati di opinione: una questione liquidata?, in Foro it. 1979, p. 898, il quale ritiene che la decisione assimili e confonda il problema della lesività con quello ben diverso del bene giuridico.
giurisprudenza per ridurre l’eccessiva anticipazione di tutela che caratterizza molti reati di opinione.
Sennonché, tale processo di conversione comporta anche alcuni problemi di non facile risoluzione. In primo luogo, un’attenta dottrina (145) ha
osservato come il requisito dell’idoneità, analogamente al concetto di pericolo, implichi un giudizio di tipo probabilistico tra l’elemento a cui l’idoneità accede ed un evento assunto a secondo termine della relazione. E in questo tipo di giudizio, soltanto il primo fatto appartiene alla categoria dei dati esistenti o esistiti, mentre il secondo è assunto in termini di mera possibilità o realtà eventuale. Ne consegue che anche il “nesso causale” intercorrente tra i due fatti finisce per avere natura soltanto eventuale (146).
In secondo luogo, posto che i reati di opinione sono in gran parte reati politici, la valutazione della situazione politico-sociale del Paese al momento in cui l’agente realizza la sua condotta impone al giudice di calarsi nei panni dello storico, per rinvenire possibili analogie rispetto a situazioni che si sono verificate in passato. La legge di copertura del rapporto tra l’accadimento attuale e quello futuro, infatti, non può che avere carattere storico, sociologico o politico, con tutte le incertezze e i limiti che leggi di questo tipo comportano (147). Peraltro, le difficoltà
aumentano ulteriormente se si considera che gli eventi assunti a secondo termine della relazione sono spesso eventi macrolesivi, rispetto ai quali
145 F.ANGIONI,Il pericolo concreto come elemento della fattispecie penale, Sassari 1984,
p.24;M.PELISSERO, Reato politico, cit., p. 337.
146 Per questo, ha senz’altro ragione F. ANGIONI, Contenuto e funzioni del concetto di
bene giuridico, Milano 1983, quando afferma che non si dovrebbe parlare di “nesso di causalità” in senso stretto, ma piuttosto di “causabilità” della conseguenza dannosa.
147 Sul punto v. M. PELISSERO, Reato politico, cit., p. 337, secondo il quale «le leggi di
esperienza in queste fattispecie assumono necessariamente carattere storico, sociologico e politico, in quanto spetta al giudice rinvenire possibili elementi di somiglianza rispetto a situazioni che si sono verificate in un passato più o meno recente, con tutti i limiti e con tutte le incertezze che inevitabilmente si accompagnano alla ricostruzione degli eventi storici e alla ricerca di eventuali analogie». È dello stesso avviso M.CERASE,Sull’apologia e i reati di pericolo la Cassazione fa un salto indietro, in Cass. pen. 1993, p. 1717, il quale osserva che, quando si tratta di reati di istigazione e apologia, il quadro si complica, poiché «l’oggetto dell’analisi non è un singolo fenomeno naturalistico, ma l’intera realtà socio-politica: si abbandona, cioè, il terreno della causalità materiale e si approda su quello della causalità psicologica, entro il quale, ai fini dell’accertamento del pericolo, le migliori scienze ed esperienze non sono più quelle esatte, ma le discipline sociali, quali la storia, la psicologia, la sociologia, la scienza dell’organizzazione».
pare difficile poter esprimere un giudizio di idoneità della condotta (148). Si
pensi, ad esempio, all’evento genocidio come conseguenza di una condotta integrante gli estremi della propaganda (v. infra il caso Ruanda, cap. II, par. 2.1): in questo frangente, il giudizio di idoneità della condotta potrebbe avere esito positivo solo ipotizzando il concorso di più soggetti nella realizzazione del fatto o l’abuso di posizioni di potere all’interno degli apparati istituzionali.
Questi rilievi critici evidenziano come anche il requisito dell’idoneità, ossia del pericolo concreto, si sia dimostrato incapace di garantire determinatezza e offensività al fatto tipico, trasformandosi piuttosto in un elemento foriero di interpretazioni giudiziarie arbitrarie (149). Da qui la
proposta di inserire, de iure condendo, il requisito del pericolo non nella posizione di elemento qualificante la condotta illecita, bensì nella posizione di evento in senso naturalistico, così da ovviare alle perplessità avanzate dalla dottrina. Un intervento in tal senso potrebbe essere attuato, ad esempio, mediante l’inserimento, da parte del legislatore, di un’apposita clausola che faccia espresso riferimento al pericolo che si verifichino determinati reati (es. “se dal fatto deriva il pericolo che si commettano i reati istigati o di cui si è fatta apologia”). In questo modo, non vi sarebbe alcuna compromissione del principio di legalità, giacché ad intervenire sarebbe direttamente il legislatore e non il giudice in sede interpretativa. Il giudizio richiesto per l’accertamento di un evento pericoloso, inoltre, ha il pregio di sottrarsi ad ogni censura di arbitrarietà, in quanto prende in considerazione tutte le circostanze esistenti al momento in cui il risultato si
148 Anche questo spunto critico è suggerito da M.PELISSERO, Reato politico, cit., p. 337. 149 Giungono a questa stessa conclusione L. ALESIANI, I reati di opinione, cit., p. 203,
per la quale «la pericolosità concreta, che avrebbe dovuto fornire un limite applicativo alla fattispecie, finisce per presentare il volto ambiguo della incertezza dei confini applicativi, modulabili secondo il giudizio soggettivo dell’interprete e condizionati dai contingenti bisogni di pena»; G. DE VERO, Istigazione, libertà di espressione e tutela dell’ordine pubblico, in Arch. pen. 1976, II, p. 3, che evidenzia, tra gli aspetti problematici della conversione in oggetto, la possibile compromissione del valore della tipicità formale legata ad un’alterazione del tipo descrittivo ovvero ad un’accentuazione del divario tra conformità al modello legale ed offensività del fatto; C. GRASSO, L’anticipazione della tutela penale, cit., p. 15, per il quale la praticabilità delle fattispecie di pericolo concreto sarebbe ridotta e comunque assai dubbia; M. PELISSERO, Reato politico, cit., p. 341 e s., secondo il quale, nemmeno il tentativo di liberare l’elemento della idoneità dal giudizio probabilistico in ordine alla realizzazione dell’evento lesivo, accontentandosi della semplice possibilità, consente alla fattispecie di acquisire un livello più accettabile di determinatezza.
è prodotto, e non solo quelle presenti al momento della condotta. Con queste premesse, anche l’offensività del fatto ne uscirebbe rafforzata: se, per provare la concreta lesione del bene tutelato, si utilizzano tutte le circostanze intervenute successivamente alla condotta, la possibilità di scarto tra tipicità e lesività si riduce al minimo. Tuttavia, neppure questa soluzione appare risolutiva, giacché la prova del pericolo, che dovrebbe rientrare rigorosamente nell’ambito delle spiegazioni scientifiche, finisce qui per sconfinare nell’universo delle c.d. discipline sociali, che – come già si è avuto modo di dire – sono inesatte per natura. Inoltre, le fattispecie in esame hanno caratteristiche tali per cui l’accertamento del pericolo potrebbe collocarsi anche a grande distanza temporale dal momento in cui l’evento lesivo si verificherà o non potrà più verificarsi (150). Pensiamo, ad
esempio, ad un’attività di propaganda razzista: potrebbe sfociare in un genocidio? A distanza di quanto tempo? E fino a che punto può estendersi il distacco temporale tra situazione pericolosa ed eventuale risultato lesivo? A queste domande non è possibile rispondere con certezza, poiché l’oggetto da analizzare non è un singolo fenomeno naturalistico, ma l’intera realtà socio-politica, che in quanto tale non può essere studiata alla luce delle scienze esatte e fuoriesce dal terreno della causalità materiale per approdare in quello della causalità psicologica, dove tutto può essere il contrario di tutto.