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1. La propaganda sovversiva o antinazionale (art 272 c.p.) e il lungo cammino verso la sua abrogazione.

1.1. Dubbi di legittimità costituzionale.

Durante una lezione sugli artt. 270 e 272 c.p., Arturo Rocco ammetteva candidamente, dinnanzi ai propri studenti, che queste disposizioni gli erano costate una certa fatica, «perché si trattava di ridurre in termini astratti la repressione di ben concreti ed esistenti movimenti politici» (222). In particolare,

con l’art. 272 c.p. il legislatore aveva inteso riferirsi alla propaganda sovversiva e antinazionale promossa da certi gruppi politici, liberamente operanti nel periodo prefascista e confluiti in partiti dopo la caduta del regime: i comunisti, i bolscevichi, i socialisti e gli anarchici, le cui attività propagandistiche erano rispettivamente dirette a “stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre”, a “sopprimere violentemente una classe sociale”, a “sovvertire violentemente gli ordinamenti economici e sociali costituiti nello Stato” e a distruggere “ogni ordinamento politico e giuridico della società”. La

ratio storica di questa disposizione era perciò facilmente intuibile e si

sostanziava nella necessità di raggiungere le peculiari finalità del trascorso regime, prima fra tutte quella di reprimere ogni forma di opposizione politica, in quanto potenzialmente capace di minare la stabilità e la supremazia del partito unico fascista.

La caduta del fascismo e l’avvento della Costituzione hanno fatto venir meno questa esigenza. Il principio del pluripartitismo, sancito all’art. 49 della Carta costituzionale, consente a tutti i cittadini di associarsi liberamente in partiti, per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Ed è proprio questa disparità di opinioni politiche che consente all’ordinamento democratico di nutrire le proprie strutture e articolazioni (223). Premesso che

l’ordinamento democratico vive del confronto ideologico, che a sua volta presuppone la libertà di espressione e di pensiero (art. 21 Cost.), limitare tale libertà – come voleva fare l’art. 272 c.p. – significherebbe sovvertire l’ordinamento medesimo, ottenendo proprio ciò che, invece, si vuole evitare. È quindi lo stesso concetto di democrazia ad escludere la possibilità di reprimere la propaganda delle forze che si oppongono al sistema, con ciò dovendosi concludere per l’ammissibilità di una propaganda eversiva, seppur nei soli

222 Le parole di Arturo Rocco sono riprese da G. VASSALLI,Propaganda “sovversiva” e

sentimento nazionale, in Giur. cost. 1966, p. 1097.

223 Questo pensiero è espresso da C. LAVAGNA, Il concetto di ordine pubblico alla luce

La propaganda

limiti in cui essa tenda a conquistare democraticamente la maggioranza, e non anche quando sia diretta a realizzare azioni violente (224). Del resto, «se la

garanzia di cui all’art. 21 Cost. ha un senso, lo ha soprattutto ai fini della propaganda» (225), la cui piena identificazione con la manifestazione del

pensiero è confermata sia dall’art. 19 Cost., dove la libertà di propaganda religiosa non è altro che una specificazione settoriale dell’art. 21 Cost., sia dall’art. 266 c.p., che parifica la stampa ad “ogni altro mezzo di propaganda” (226). Queste considerazioni trovano ulteriore conferma nella natura non

omogenea (o antagonistica) del nostro ordinamento, alla cui base vi è un accordo iniziale tra le varie parti politiche – un «compromesso» storico e istituzionale, per usare le parole di Calamandrei (227) – teso a garantire una

pacifica convivenza tra le ideologie più disparate. E proprio perché vi è stato un compromesso, non si può impedire alle parti di essere se stesse, di rinunciare cioè a quelle caratteristiche da cui ha origine il contrasto politico con le altre parti. Ne deriva che «ciascuna parte deve necessariamente conservare la libertà della espressione e della propaganda, sia delle proprie finalità, sia dei mezzi che si ritengono (…) più idonei al raggiungimento di tali finalità» (228).

Oltre a porsi in evidente contrasto con gli artt. 49 e 21 Cost. – nonché con l’art. 2 Cost. che, riconoscendo e garantendo i diritti inviolabili dell’uomo, si pone come necessaria premessa per l’applicazione dell’art. 21 Cost. – l’art. 272 c.p. disattende anche il fondamentale principio di offensività del fatto. Ciò si evince in primo luogo dalla Relazione al progetto definitivo, che specifica come

224 Così si esprime A. CERRI, Libertà di manifestazione del pensiero, propaganda,

istigazione ad agire, cit., p. 1194, il quale precisa che «una democrazia, per essere realmente tale, deve fondarsi su di una sfida permanente alle forze che la negano».

225 G. AMATO,Libertà di pensiero e propaganda sovversiva, in Democrazia e diritto 1966,

p. 485.

226 L’identificazione tra propaganda e libertà di manifestazione del pensiero è

sostenuta, oltre che da G. AMATO,Libertà di pensiero e propaganda sovversiva, cit, p. 485, anche da S. FOIS,Principi costituzionali e libera manifestazione del pensiero, cit., p. 344, per il quale la distinzione tra i due concetti non sarebbe trasferibile sul piano giuridico, ai fini, soprattutto, dell’art. 21 Cost. Contra, invece, NUVOLONE, Le leggi penali e la Costituzione, Milano 1953, che accorda una minor protezione alla propaganda, giungendo di conseguenza ad assolvere l’art. 272 c.p.

227 P. CALAMANDREI, Cenni introduttivi alla Costituzione e ai suoi lavori, in P.

CALAMANDREI – A. LEVI, Commentario sistematico alla Costituzione italiana, Firenze 1950, I, p. XXXV, parla di «Costituzione tripartitica», ossia di «compromesso» tra democristiani, socialisti e comunisti. «Per compensare le forze di sinistra di una rivoluzione mancata» – osserva il giurista – «le forze di destra non si opposero ad accogliere nella Costituzione una rivoluzione promessa».

La propaganda

le associazioni politiche in questione siano «soltanto quelle che limitano la loro attività alla diffusione delle idee, cioè all’affermazione teorica degli obiettivi politici che costituiscono il loro programma», mentre «qualora dette associazioni avessero di mira anche l’attuazione dei loro programmi, esse costituirebbero o si trasformerebbero (…) in altre forme associative» (229),

dandosi così luogo ad altri (e ben più gravi) titoli di reato. L’art. 272 c.p., dunque, non richiede né un “cominciamento” dell’azione, né un pericolo effettivo per la tenuta dell’ordinamento costituito, e si riduce ad un mero illecito di disobbedienza, potenzialmente idoneo a sanzionare anche la manifestazione di idee innocue. Prescindendo dall’esistenza di una serie di requisiti costituzionalmente essenziali, la norma penale diventa fonte di diseguaglianze, in quanto consente di trattare in modo uguale situazioni completamente diverse. A titolo esemplificativo, un’attenta dottrina ha osservato che, «dal punto di vista dell’art. 272 c.p., (…) il caso dell’anarchico isolato il quale, in una pubblica piazza e sotto l’occhio incuriosito di una piccola folla, propagandi attivamente la distruzione di ogni ordine sociale, è in tutto uguale a quello dei dimostranti fascisti i quali, in un clima quale poté aversi il 27 ottobre 1923, propagandino su tutte le piazza d’Italia e di fronte ad ascoltatori eccitati, lo scioglimento dei partiti di sinistra, la soppressione del Parlamento o simili» (230). Le due situazioni sopra descritte sono

profondamente diverse tra loro, in quanto nella prima non è dato ravvisarsi alcun pericolo per l’ordinamento costituito, mentre nella seconda il pericolo sussiste. Eppure, stando all’art. 272 c.p., si tratterebbe di una differenza di poco conto: l’agente dovrebbe essere condannato in ogni caso, per il solo fatto di aver diffuso idee sovversive. Il che implicherebbe, tra l’altro, l’inaccettabile identificazione dei principi costituzionali con quelli ideologici di questa o di quell’altra parte politica.

L’art. 272 c.p., quindi, era da considerarsi “doppiamente” illegittimo: non solo limitava la libertà di manifestazione del pensiero, ma la limitava prescindendo dall’esistenza di qualsivoglia pericolo. Tant’è che il progetto governativo del 1965 avanzò la proposta di abrogare tale previsione normativa. Successivamente, il progetto Gonella la modificò in “propaganda diretta a mutare violentemente l’ordinamento costituzionale”. Questo secondo tentativo di riforma, lodevole perché finalizzato a conferire maggior offensività alla

229 Relazione del Guardasigilli sul progetto definitivo, cit., p. 51.

La propaganda

fattispecie, fu però criticato da Vassalli, il quale osservava acutamente come «anche se modificata nel suo tenore, [la disposizione] servirebbe agli stessi scopi per i quali era stata esplicitamente eliminata; infatti, (…) si potrebbe benissimo applicare ai movimenti socialisti, cui si potrebbe attribuire il fine istituzionale di voler operare per “mutare violentemente l’ordinamento costituzionale dello Stato”» (231). Da ultimo, fu constatato che l’art. 272 c.p.

non aveva motivo di esistere come punizione di un reato autonomo, in quanto o le fattispecie ivi contemplate rientravano in quelle già previste dai primi due commi dell’art. 414 c.p. (istigazione a delinquere e apologia di reati) oppure non si vedeva come le relative condotte potessero essere vietate, tenuto conto dell’art. 21 Cost. in tema di libertà di pensiero (232). In definitiva, le critiche

all’art. 272 c.p. provenivano da più fronti e investivano la fattispecie sotto diversi profili. Passando in rassegna le opinioni dottrinali dell’epoca, si ha la percezione che l’abrogazione dell’art. 272 c.p. fosse ormai cosa fatta. Ma così non fu.

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