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L’istigazione a disobbedire alle leggi (artt 266 e 415 c.p.)

1. Le principali ipotesi istigative speciali Cenni introduttivi.

1.2. L’istigazione a disobbedire alle leggi (artt 266 e 415 c.p.)

L’art. 415, prima parte, c.p. punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, pubblicamente, istighi alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico. Pertanto, mentre nell’istigazione a delinquere l’oggetto

in un comizio con le parole “nessuno di voi risponda alla chiamata all’esercito per difendere i capitalisti e gli imperialisti americani”.

442 Ass. Roma, 5 marzo 1981, Di Giovanni e altro, in Giur. it. 1981, II, p. 481, con nota

di A.NAPPI,Pubblicazione di documenti a scopo informativo ed istigazione a delinquere.

443 Così Cass. pen., sez. I, 3 novembre 1997, Galeotto, in Cass. pen. 1998, p. 2933

che, con riferimento ad una manifestazione pacifista indetta in occasione del coinvolgimento italiano nella Guerra del Golfo, ha censurato la mancata considerazione, nella motivazione della sentenza annullata, di significativi elementi di fatto, quale l’esplicito dissenso manifestato dai destinatari del messaggio verso il programma illecito propalato pubblicamente mediante diffusione di volantini incitanti alla diserzione.

444 P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna 1984, p. 267; C.

ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero, cit., p. 49 e ss.; S. FOIS, Principi costituzionali, cit., p. 153 e ss.

L’istigazione

della condotta istigativa può essere un qualsiasi reato, nella presente ipotesi esso viene a coincidere esclusivamente con la disobbedienza alle leggi di ordine pubblico. Questo requisito costitutivo, che a prima vista sembrerebbe circoscrivere con sufficiente chiarezza la portata applicativa della norma, si presta invece a plurime interpretazioni. Tant’è che – in assenza della benché minima specificazione legislativa – nell’accezione di “leggi di ordine pubblico” sono state fatte rientrare le leggi elettorali (445), le

leggi fiscali o tributarie (446), le leggi di ordine pubblico di polizia e,

addirittura, le stesse norme penali incriminatrici (447). Per arginare una

simile “proliferazione interpretativa”, parte della dottrina (448) ha tentato di

ridurre l’indeterminatezza della fattispecie de qua, sostenendo la necessità di una lettura restrittiva della stessa, che circoscrivesse le leggi di ordine pubblico alle sole leggi considerate essenziali al mantenimento dell’ordine pubblico materiale, identificabile nella tranquillità e sicurezza pubbliche (v. supra cap. I, par. 2.1.2). Da qui l’impossibilità di attribuire alle leggi elettorali, fiscali o tributarie la natura di leggi di ordine pubblico, data la loro incapacità di garantire serenità e protezione ai cittadini (449); quanto

alle norme penali incriminatrici, neppure queste possono rientrare nell’accezione di leggi di ordine pubblico rilevante ai sensi dell’art. 415 c.p., giacché l’istigazione a violare tali norme comporta l’applicazione della previsione generale di cui all’art. 414 c.p., come suggerisce peraltro lo stesso principio di specialità (450).

Altri Autori, invece, in termini ancora più risoluti, hanno ravvisato nell’art. 415 c.p. «un limite del tutto inammissibile alla manifestazione del pensiero»

445 Cass. pen., sez. I, 7 novembre 1967, Di Pasquale e altri, in Cass. pen. 1968, p.

2011 e in Arch. pen. 1968, p. 294 e ss., con nota critica di S. RAMAJOLI, Il reato di istigazione a disobbedire alle leggi in rapporto all’astensione all’esercizio al voto.

446 Cass. pen., sez. I, 9 ottobre 1986, Carfoglia e altri, in Rass. trib. 1988, II, p. 61. 447 G. ROSSO,voce Ordine pubblico, cit., p. 157; O. VANNINI, Manuale di diritto penale:

parte speciale: i singoli delitti e le singole contravvenzioni, Milano 1954, p. 134.

448 P. NUVOLONE, Il diritto penale della stampa, cit., p. 209; L.VIOLANTE, Istigazione a

disobbedire alle leggi, in Enc. dir., vol. XXII, Milano 1972, p. 1008 e ss.

449 Cass. pen., sez. I, 16 ottobre 1989, Leghissa ed altri, in Cass. pen. 1990, p. 611,

con nota adesiva di A. GARGANI, Leggi fiscali e leggi di ordine pubblico nel quadro dell’art. 415 c.p. In senso conforme v. anche Cass. pen., sez. I, 25 febbraio 1991, Trentin e altri, in Cass. pen. 1993, p. 823.

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(451), sostenendo l’illegittimità della previsione in discorso, in quanto

«rivolta alla tutela di un assetto normativo qualificato che non trova alcuna corrispondenza nel significato costituzionale di ordine pubblico» (452). In

altri termini, si dovrebbe riconoscere l’impossibilità di escludere dall’orizzonte della vita democratica certe iniziative dirette a suscitare comportamenti di “disobbedienza civile”, trattandosi di «mere forme di protesta collettiva non violenta (..) [che] restano talvolta il solo strumento democratico di lotta contro intollerabili situazioni di sfruttamento o di diseguaglianza» (453). La disposizione de qua, al contrario, impedirebbe tali

legittime reazioni, vietando ai cittadini di rivendicare i valori etico-sociali in cui credono e comprimendo arbitrariamente la loro libertà d’espressione. Da qui la scelta di sollevare questione di legittimità costituzionale nei confronti dell’art. 415 c.p., che però è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo solo nella parte in cui prevede come oggetto dell’istigazione l’odio tra le classi sociali senza specificare che essa debba essere attuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità (v. infra par. 1.3); quanto all’istigazione a disobbedire alle leggi, invece, si è ritenuto di escluderla dalla declaratoria di incostituzionalità (454). Anche la successiva

giurisprudenza, peraltro, ha ribadito la piena legittimità di quest’ultima forma istigativa, affermando che, «ai fini della sussistenza del delitto, la condotta dell’agente deve essere, sotto il profilo direzionale, indirizzata a spingere il soggetto istigato alla disobbedienza delle predette leggi e, sotto il profilo strutturale, idonea a determinare questa spinta nel soggetto istigato»; infine, per quanto riguarda il concetto di idoneità della condotta istigatrice – ha aggiunto la Cassazione – esso «non può essere fissato in funzione di un pericolo concreto per la pubblica tranquillità, così come richiesto, invece, per la seconda ipotesi di reato prevista dal predetto articolo dopo l’intervento della Corte costituzionale» (455). Una siffatta

451 C.FIORE, I reati di opinione, cit., p. 134.

452 G.DE VERO,Istigazione, libertà di espressione e tutela dell’ordine pubblico, cit., p. 3. 453 C.FIORE, I reati di opinione, cit., p. 134.

454 C. cost., 5 aprile 1974, n. 108, cit.

455 Cass. pen., sez. I, 15 dicembre 1980, Papini, in Cass. pen. 1982, p. 952, con nota

di P. PISA, Qualche appunto sull’istigazione a disobbedire alle leggi di ordine pubblico. Contra, invece, Trib. Sondrio, 11 febbraio 1983, Cerfoglia e altro, in Foro it. 1983, II, p. 133 e in Giur. merito 1985, p. 172, con nota di L.D.CERQUA,Istigazione a disobbedire

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affermazione contrasta, però, con il fondamentale principio di offensività del fatto e riflette la contraddittorietà del ragionamento sotteso alla pronuncia del Giudice delle leggi; quest’ultimo, infatti, nel richiedere che soltanto l’istigazione all’odio di classe debba essere commessa in modo pericoloso per la pubblica tranquillità, ha contemporaneamente lasciato intendere che per l’istigazione a disobbedire alle leggi non fosse affatto richiesto un simile pericolo. Il che risulta alquanto incomprensibile, dal momento che il principio di necessaria lesività dovrebbe applicarsi a tutte le fattispecie di reato e non ad alcune soltanto.

Gli stessi profili problematici emergenti dall’art. 415 c.p. si riscontrano anche rispetto all’art. 266 c.p., che disciplina un’ipotesi speciale di istigazione a disobbedire alle leggi, punendo con la reclusione da uno a tre anni chiunque istighi i militari a disobbedire alle leggi o a violare il giuramento dato o i doveri della disciplina militare o altri doveri inerenti al proprio stato. Un’attenta dottrina ha osservato che una parte di questa previsione normativa «dovrebbe essere assorbit[a] nella disposizione dell’art. 414, comma 1, c.p., mentre, per la parte che non concerne la violazione delle leggi penali militari, le previsioni in ess[a] contenute appaiono manifestamente incostituzionali; nella Costituzione, infatti, non sarebbe dato desumere alcuna peculiare esigenza di tutelare gli interessi di cui all’art. 266 c.p. in modo preminente rispetto alla garanzia della libertà di manifestazione del pensiero (456). Queste osservazioni, unite al dato che

la fattispecie – nella sua formulazione letterale – prescinde completamente dall’esistenza di un effettivo pericolo per l’interesse tutelato, hanno indotto alcuni giudici di merito ad impugnare ripetutamente la norma dinnanzi al Giudice costituzionale: prevedibili le reazioni della Corte che, ribadendo il proprio atteggiamento di pura conservazione, ha rigettato l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 266 c.p. per due volte (457). Nell’ultima

pronuncia, in particolare, più che il contenuto argomentativo colpisce la «sommarietà delle enunciazioni», da cui emerge una sorta di «indifferenza,

alle leggi di ordine pubblico ed obiezione fiscale alle spese militari; L. VIOLANTE, Istigazione a disobbedire alle leggi, cit., p. 1004; G.FIANDACA –E.MUSCO,Diritto penale. Parte speciale, cit., p. 470, i quali – correttamente – sottolineano la necessità di effettiva esposizione a pericolo del bene protetto.

456 C.FIORE, I reati di opinione, cit., p. 135.

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(…) sufficienza per l’oggetto da decidere» (458). Il Giudice delle leggi, infatti,

si limita a ripercorrere le precedenti decisioni in tema di apologia (459),

precisando di aver già «affermato che apologia punibile non è quella che si estrinseca in una semplice manifestazione di pensiero, (…) ma è solo quell’apologia che per le modalità con le quali viene compiuta rivesta carattere di effettiva pericolosità per l'esistenza di beni costituzionalmente protetti»; ricorda inoltre di aver già «puntualizzato la distinzione tra atti la cui apologia costituisce reato e dottrina la cui propaganda deve essere garantita». Ciò premesso, la Corte riprende anche la propria precedente decisione sull'istigazione di militari all'infedeltà o al tradimento (460),

ribadendo che l’art. 266 c.p. «offende e minaccia un bene cui la Costituzione riconosce un supremo valore e accorda una tutela privilegiata, in conformità di tutte le costituzioni moderne, da qualsiasi ideologia siano ispirate e da qualunque regime politico-sociale siano espresse». L’art. 266 c.p., quindi, non sarebbe affatto indeterminato, trovando esso applicazione «solo quando l'istigazione sia diretta a commettere gli atti concreti specificatamente elencati, i quali costituiscono, per valutazione legislativa immune da irragionevolezza, pericolo per il bene costituzionalmente protetto» (461).

Secondo alcuni Autori, da queste affermazioni emergerebbe un’innegabile «confusione di concetti, quasi parole in libertà tratte da un glossario di diritto penale costituzionale»; la decisione – proseguono – «assimila e confonde il problema della lesività con quello, ben diverso, del bene giuridico» (462), la cui evanescenza, peraltro, è messa a nudo dalla stessa

458 L. STORTONI, L’incostituzionalità dei reati di opinione: una questione liquidata?, in

Foro it. 1979, p. 898

459 Il riferimento è alle già citate sentenze n. 87 del 1966, n. 65 del 1970 e n. 108 del

1974.

460 C. cost, 14 febbraio 1973, n. 16, cit. 461 C. cost., 23 maggio 1978, n. 71, cit.

462 L. STORTONI, L’incostituzionalità dei reati di opinione, cit., p. 899. In particolare,

nella sent. n. 16 del 1973 la Corte costituzionale sostiene che l’art. 266 c.p. sia posto a tutela del dovere di difesa della Patria. Non è, invece, dello stesso avviso G.LOMBARDI, Lo Stato può difendersi, ma…non deve esagerare, in Giur. cost. 1973, p. 91, secondo il quale «l’istigazione punita dall’art. 266 c.p. non è volta contro il dovere di difesa della patria, ma si dirige specificamente contro l’obbligo militare, (…) che è sì uno dei modi mediante il quale si realizza il dovere di difesa, ma non si identifica con esso e, soprattutto, il dovere di difesa non opera in tempo di pace, ma soltanto in presenza di uno stato di guerra, come prova il collegamento con l’art. 11 Cost.».

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indagine sui reati di istigazione e apologia. Quanto al contrasto tra la norma di cui si eccepisce l’incostituzionalità e l’art. 21 Cost., la sentenza provvede a liquidare prontamente anche questo argomento, collocandosi sulla scia di quella giurisprudenza (463) che, rinvenendo in qualsiasi bene

giuridico un possibile limite alla libertà di manifestazione del pensiero, non fa che svuotare di ogni significato il precetto costituzionale, tramutandolo in un dato pressoché insignificante. In definitiva, questa decisione «segn[a] il tramonto (…) di ogni discorso costituzionale sul diritto penale volto a garantire la libertà ideologica dei cittadini» (464). Si tratta di un’affermazione

indubbiamente forte, sulla cui veridicità ci sentiamo di dissentire almeno in parte: la fattispecie in esame, infatti, non si esaurisce nella mera manifestazione di un pensiero o di un ideale, ma è pur sempre una forma di istigazione che, in quanto tale, presuppone quel principio d’azione capace di mettere a repentaglio altri beni costituzionalmente rilevanti.

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