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Dove finisce la parola inizia l’azione: l’idoneità della condotta a cagionare il pericolo di commissione di reati.

Già si è visto come l’istigazione, in quanto forma attivizzante della manifestazione del pensiero, si ponga a metà strada tra il consentito e l’illecito, segnando il momento di trasformazione della parola in azione. L’istigazione, quindi, può dirsi tale – e come tale può essere penalmente perseguita – solo laddove integri una forma espressiva causalmente idonea a determinare il

518 L. ALESIANI, I reati di opinione, cit., p. 254. Alla tesi della necessaria pluralità dei

destinatari aderisce anche V.MANZINI,Trattato di diritto penale italiano, cit., p. 625. In giurisprudenza, v. Cass. pen., sez. VI, 30 luglio 1998, in Ced Cass. rv. 211996, per cui la presenza di più persone si identifica con una loro “pluralità indeterminata”, che quindi non può essere integrata da solo due di esse.

519 C.FIORE,Libertà d’espressione politica e reati d’opinione, in Politica del diritto 1970,

p. 490.

520 L.ALESIANI, I reati di opinione, cit., p. 257; G.DE VERO,Istigazione a delinquere e a

disobbedire alle leggi, cit., p. 296; L.VIOLANTE, Istigazione a disobbedire alle leggi, cit., p. 1018.

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pericolo concreto di un’azione criminosa. Il problema, però, sta nell’individuare i casi in cui la parola possa dirsi effettivamente capace di trasmodare in azione: quando una condotta è idonea a porsi come antecedente di un reato? Come va accertata tale idoneità?

La dottrina e la giurisprudenza hanno tentato di rispondere a questi interrogativi, ma l’hanno fatto con risultati il più delle volte deludenti. In particolare, si è visto che la prova del pericolo (e quindi dell’idoneità della condotta), pur non essendo mai certa, deve comunque rientrare nell’ambito delle spiegazioni scientifiche. Sennonché, l’oggetto di analisi dell’istigazione non è un singolo fenomeno naturalistico, ma l’intera realtà socio-politica. Di conseguenza, l’accertamento del pericolo non potrà essere apprezzato sul terreno delle scienze esatte, ma sul piano delle discipline sociali, la cui individuazione risulta particolarmente complessa; esse, infatti, sono il prodotto, storicamente condizionato, della spontanea creatività umana, e dipendono da una serie infinita di variabili, quali l’etica, la morale, il costume (521). A questo problema se ne aggiunge un altro, ossia quello di individuare

l’esatto momento in cui condurre il giudizio sulla pericolosità della condotta. Secondo alcuni Autori (522), considerata la peculiare funzione politico-criminale

delle fattispecie di pericolo, consistente nell’anticipare la tutela del bene giuridico, bisognerebbe preferire il momento che comporta la prognosi più

sfavorevole, indicante la più alta possibilità di verificazione dell’evento lesivo,

che in quanto tale potrebbe collocarsi anche a grande distanza temporale dal momento in cui l’evento lesivo si verificherà o non potrà più verificarsi.

Altra dottrina (523), invece, è del parere che una simile scelta interpretativa si

ponga in contrasto con il carattere di massima concretezza che dovrebbe possedere il giudizio di pericolosità. Il momento da considerare, quindi, non dovrebbe essere quello che autorizza la prognosi più sfavorevole, ma quello che autorizza la prognosi più completa, ossia il momento cronologicamente più

vicino all’epilogo. Solo in questo modo, infatti, si riuscirebbe a restringere

l’area dei fatti penalmente rilevanti, limitandola ai soli casi effettivamente pericolosi, in cui si sia giunti particolarmente vicini alla lesione.

521 V., sul punto, l’analisi di L.ALESIANI, I reati di opinione, cit., p. 216 e ss.

522 F.ANGIONI, Il pericolo concreto come elemento della fattispecie penale, cit., p. 205. 523 M.PARODI GIUSINO,I reati di pericolo tra dogmatica e politica criminale, Milano 1990,

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Anche quest’ultima teoria si espone, tuttavia, ad alcune osservazioni critiche. Innanzitutto, non è corretto ritenere che il requisito di massima concretezza contrasti con il criterio teleologico che predilige il momento della prognosi più sfavorevole, giacché il primo si riferisce alla base del giudizio, mentre il secondo riguarda il momento del giudizio stesso: si tratta di due criteri tra loro complementari, che operano in due contesti strutturali diversi e tra i quali non può sorgere alcun conflitto. In secondo luogo, si è avuto modo di constatare che la prossimità della lesione, e quindi l’attualità del pericolo, pur essendo requisito esplicito di alcune fattispecie scriminanti, è invece completamente ignorato nelle fattispecie incriminatrici. Menzionando il pericolo senza specificazioni di ordine temporale, pertanto, la legge intende chiaramente «negare qualsiasi rilevanza alle dimensioni più o meno grandi della distanza tra situazione pericolosa ed eventuale risultato lesivo» (524).

Ciò detto, però, si fa strada un altro quesito: fino a che punto può estendersi il distacco temporale tra situazione pericolosa ed eventuale risultato lesivo? La dottrina (525), nel formulare un’accezione di istigazione che ben si prestasse ad

un corretto bilanciamento con il diritto garantito dall’art. 21 Cost., ha da sempre evidenziato il dato della necessaria contiguità temporale tra condotta istigatoria e commissione del reato istigato che, in una prospettiva de iure

condendo, sarebbe consigliabile inserire nel testo normativo ricorrendo

all’aggettivo “attuale” o “immediato” riferito al pericolo (526).

Tuttavia, nonostante i tanti sforzi interpretativi, non è ancora chiaro in cosa debba consistere tale rapporto di stretta contiguità temporale tra situazione pericolosa ed eventuale risultato lesivo. Né si può dire con certezza in cosa si sostanzi quel pericolo attuale o immediato il cui accertamento risulta indispensabile ai fini della sussistenza del fenomeno istigativo (527).

524 F. ANGIONI, Il pericolo concreto come elemento della fattispecie penale, cit., p. 206,

nota 265.

525 In questi termini si esprime soprattutto A. GAJOTTI, Istigazione e determinazione

nella teoria del reato, Genova 1948, p. 74 e s.

526 Un simile suggerimento proviene da L.ALESIANI, I reati di opinione, cit., p. 223. 527 A queste stesse conclusioni – che di fatto si sostanziano in interrogativi privi di

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4.1. L’influenza della dottrina americana del clear and present danger. Qualche riflessione in chiave comparatistica.

Posto che la dottrina italiana non ha fornito una risposta univoca ai suddetti interrogativi, e considerato che la giurisprudenza della Cassazione si è dimostrata altrettanto ondivaga sul punto, una buona alternativa sarebbe quella di affrontare la questione in un’ottica comparatistica.

La problematica oggetto di indagine è stata analizzata soprattutto dalla giurisprudenza nordamericana, la cui esperienza potrebbe offrire qualche spunto significativo ai fini della nostra indagine. In particolare, i giudici americani hanno elaborato un’interessante teoria, fondata sul clear and

present danger, per cui la libertà d’espressione può subire limitazioni solo

laddove essa si collochi in rapporto di immediatezza con l’atto o il fatto anticostituzionale di volta in volta considerato (present danger). La necessità di un rapporto quanto mai stretto tra manifestazione del pensiero e illecito costituisce il nucleo essenziale di questa concezione, che distingue tra

incitement e advocacy: il primo concetto, corrispondente grosso modo a quello

di istigazione, consisterebbe in una manifestazione del pensiero posta in essere al fine di provocare, a breve termine, un pericolo effettivo per il pacifico espletamento delle funzioni spettanti ai diversi organi costituzionali; la seconda accezione, invece, più vicina ai reati di apologia e propaganda, farebbe riferimento ad una manifestazione del pensiero volta a sfociare in un pericolo

futuro e imprecisato (528). Solo le manifestazioni del primo tipo possono essere

penalmente perseguite, in quanto suscettibili di tradursi in una minaccia

immediata per la sicurezza delle istituzioni. Quanto alle seconde, invece, esse

rientrano a pieno titolo nella garanzia predisposta dal Primo Emendamento. Tuttavia, si è anche visto che l’aggettivo immediato riferito al pericolo di realizzazione del reato istigato rischia di restringere davvero troppo l’area del penalmente rilevante. È dunque l’ultima versione della clear and present

doctrine, elaborata dalla Suprema Corte in riferimento al celeberrimo caso

Brandenburg v. Ohio (529), a fornire la chiave di volta, la miglior soluzione al

problema dei rapporti tra libertà di manifestazione del pensiero e altri valori

528 L’affinità tra incitement ed istigazione da un lato, e tra advocacy e apologia-

propaganda dall’altro è messa in rilievo da A. REPOSO, La disciplina dell’opposizione anticostituzionale negli Stati Uniti d’America, Padova 1977, p. 102.

529 Brandenburg v. Ohio, 395 U.S. 444 (1969), consultabile sul sito

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ritenuti essenziali per il nostro ordinamento. Nel pronunciarsi sull’incostituzionalità delle attività riconducibili alla setta segreta di ispirazione razzista denominata Ku Klux Klan, i giudici americani istituivano quello che viene anche definito “incitement to imminent lawless action test”, per cui l’incitement, vale a dire l’istigazione, può dirsi punibile «solo quando è diretta a produrre un’imminente azione criminale e sia al tempo stesso probabile che tale azione venga prodotta» (530). Non vengono quindi individuate

categorie di espressioni punibili a priori, ma si obbliga il giudice, di volta in volta, a provare che l’agente abbia intenzionalmente creato un pericolo imminente per l’interesse tutelato. Ed è proprio l’aggettivo imminente a rivelarsi quello più corretto tra i tanti esaminati sino ad ora: questo termine, infatti, è quello che individua con maggior precisione quel rapporto di contiguità temporale che deve essere accertato fra l’espressione della parola e l’eventuale risultato lesivo, vale a dire l’azione criminosa (lawless action); nel contempo, esso offre una più pregnante protezione della libertà d’espressione, evitando però quell’eccessiva restrizione dell’ambito di punibilità che avrebbe potuto sorgere dal richiamo al termine immediato.

La soluzione tracciata dalla giurisprudenza statunitense sembra addivenire ad un buon compromesso tra l’esigenza di garantire la massima libertà d’espressione e la necessità di proteggere altri beni meritevoli di tutela. Pertanto, siamo dell’avviso che proprio da essa si dovrebbe partire (531) sia in

una prospettiva de iure condito, così da interpretare le suddette disposizioni alla luce del dettato costituzionale, sia in una prospettiva de iure condendo, richiedendo espressamente che l’istigazione venga punita solo laddove appaia idonea a provocare il pericolo imminente di commissione dei reati istigati.

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