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convergenze, complementarietà e deroghe di I SABEL T RUJILLO

4. Differenze e convergenze

Vediamo, però, di confrontare puntualmente questi due fenomeni, per notare prima soprattutto le differenze, ma anche le interconnessioni e convergenze. Ci si può servire dei tre criteri classici per la comparazione di sistemi giuridici: l’ambito di applicazione temporale, l’ambito di applicazione in senso oggettivo (i destinatari degli obblighi), l’ambito di applicazione soggettiva (il soggetto protetto) 20.

Quanto all’ambito temporale di applicazione, si suole dire che il diritto in- ternazionale umanitario è il diritto in tempo di guerra, mentre i diritti umani so- no un diritto in tempo di pace. Questa differenza è mitigata però dalla convin- zione che i diritti umani debbano pure essere tutelati in tempo di guerra. In que- sto senso, questi due sistemi possono essere ritenuti complementari perché pos- sono essere applicati insieme 21.

Resta però il fatto che sia convinzione comune la legittimità della limitazio- ne o addirittura della sospensione dei diritti umani durante il tempo di guerra, come emerge dall’art. 4 del Patto sui Diritti Civili e Politici o dall’art. 15 della Convenzione di Roma, due degli strumenti più importanti per la tutela dei diritti umani. Non è un segreto che gli strumenti di protezione dei diritti umani am- mettono che lo stato di guerra sia condizione per giustificare una deroga alle obbligazioni derivanti dai trattati che li consacrano. Il diritto internazionale umanitario sarebbe invece, da questo punto di vista, cioè dal punto di vista delle restrizioni in considerazione delle condizioni di applicazione, meno “controver- so”, perché non ammette deroghe. Il punto è che i requisiti del diritto umanita- rio, con la distinzione tra civili e militari, la necessità e la proporzionalità rap- presentano la soglia minima che gli stati non possono superare nelle situazioni che giustificano le deroghe ai diritti umani. Non si può derogare alle deroghe 22.

La natura derogatoria del diritto umanitario deve essere sfumata con la con- siderazione che non tutti i diritti umani possono essere derogati: il divieto di tor-

20 Per un’analisi dettagliata cfr. G. V

ENTURINI, Diritto umanitario e diritti dell’uomo: rispetti-

vi ambiti di intervento e punti di confluenza, in AA.VV., Assistenza umanitaria e diritto interna- zionale umanitario, cit., pp. 57-74.

21 Si tratta di un esito della Conferenza internazionale sui diritti umani di Teheran, del 1968.

L’applicazione in parallelo di questi due sistemi di diritto è attestata da alcuni casi significativi, come per esempio l’advisory opinion della Corte internazionale di giustizia Legal Consequences

of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory, del 4 luglio 2004, dove si

verifica che la corte argomenti a partire dai due sistemi.

22 Sulla proposta che la relazione tra diritti umani e diritto umanitario assuma la forma del

rapporto tra legge generale e legge speciale, si vedano le argomentazioni e la giurisprudenza citati

in A. ORAKHELASHVILI, The Interaction between Human Rights and Humanitarian Law: Frag-

tura resterebbe valido in ogni tempo 23, anche se non è così, per esempio, per il

diritto ad un giusto processo. A questo proposito viene in aiuto una considera- zione sul linguaggio dei diritti. Si può sostenere, infatti, che vi sia una differen- za tra quelle formulazioni dei diritti che appaiono dotate di una forza conclusiva o perentoria (“nessun individuo può essere sottoposto a tortura”) e le più gene- riche formulazioni a carattere direttivo, come il diritto alla vita, alla libertà o al- la sicurezza, che si intendono da esercitare entro certi limiti (l’ordine pubbli- co 24, per esempio) 25. Le formulazioni perentorie attesterebbero il carattere asso-

luto di certi diritti, intendendo per diritto assoluto appunto quello non suscettibi- le di deroghe 26. In quest’ultimo caso, l’unico modo per giustificare la tortura

resta quello di mettere in discussione cosa si intenda per tortura. Questa consta- tazione poggia sulla convinzione che, certamente, dal punto di vista epistemo- logico, è più facile individuare quello che non si deve fare piuttosto che quello che si deve fare 27. A questo si aggiunge il vantaggio della delimitazione del

tempo entro cui un diritto è valido: non sempre ma in tempo di guerra. Il punto è che il tempo di guerra è già in sé un periodo in cui i diritti degli esseri umani sono in grave pericolo. È soddisfacente per l’obiettivo della rilevanza della per- sona umana nel diritto internazionale che questa tutela si sostanzi nella sola pro- tezione dai mali estremi della guerra o che tale protezione si dia nel solo tempo di guerra? Da questo punto di vista è fin troppo facile rilevare una antinomia tra protezione della persona e guerra: se si vuole proteggere le persone, non biso- gna in nessun modo e in nessun caso fare la guerra. Qui si scorge uno dei carat- teri problematici del diritto internazionale umanitario, nell’orizzonte di un dirit- to internazionale contraddittorio e incoerente o, per lo meno, frammentato nelle sue diverse componenti. Non si ha il coraggio di (o l’interesse a) bandire la guerra dal diritto internazionale e allora tentiamo di mitigarla, ma è chiaro che

23 Orakhelashvili, nell’articolo citato in precedenza alla nota 9, mostra come il divieto di tor-

tura che si trova nei trattati sui diritti umani sia stato una guida per l’interpretazione del diritto umanitario internazionale, così confermandosi la complementarietà dei due sistemi: pp. 174-175.

24 La disamina semantica dell’ordine pubblico è davvero complessa e sfuggente. Esso appare

come limite all’esercizio dei diritti anche costituzionalmente garantiti, ma è allo stesso tempo,

ambiguamente, collegato a tali diritti. Di recente, cfr. S. AMATO, L’ordine pubblico, manoscritto,

di prossima pubblicazione in Diritto e politica. Le nuove dimensioni del potere, Atti del XXVII Congresso della Società Italiana di Filosofia del Diritto.

25 Cfr. l’interessante disamina di questo punto in J. F

INNIS, Legge naturale e diritti naturali

(1992), a cura di F. Viola, Giappichelli, Torino, 1996, p. 228 ss.

26 Cfr. F. VIOLA, L’universalità dei diritti umani: un’analisi concettuale, in F. BOTTURI,F.TO-

TARO (a cura di), Universalismo ed etica pubblica, Vita & Pensiero, Milano, 2006, pp. 155-187.

27 È Platone a segnalare per primo la priorità gnoseologica dell’ingiustizia sulla giustizia.

Questo approccio è stato sviluppato più di recente da J.N. SHKLAR, The Faces of Injustice, Yale

questo implica abbassare il livello di tutela della persona, se non addirittura at- tentare contro gli individui. Il punto è che la tutela della persona in tempo di guerra è una difesa da minacce o da mali radicali.

Un ulteriore problema del diritto internazionale umanitario è quello determi- nato da quelle situazioni di crisi che non si definiscono propriamente come guerre: i tumulti, le detenzioni arbitrarie, ma che minacciano egualmente la so- pravvivenza delle persone. Infine, comunque sia, anche in presenza di un divie- to di ricorrere alla guerra, il diritto umanitario resterebbe utile nelle situazioni di emergenza, quali quelle causate da calamità naturali.

Quanto all’ambito oggettivo di applicazione, ai destinatari degli obblighi previsti, sembrerebbe potersi dire che gli obblighi relativi ai diritti umani rica- dono sempre sugli stati, mentre quelli del diritto internazionale umanitario rica- dono su qualsiasi autorità che possa intervenire a favore delle vittime 28. Ma è

davvero così per i diritti umani? Certamente dal punto di vista del diritto inter- nazionale questo appare corretto. Eppure è possibile riscontrare elementi che non si inquadrano perfettamente in questa lettura riduttiva. Si pensi al fatto che il mondo delle relazioni internazionali è popolato da una molteplicità di soggetti e che tutti questi sembrano chiamati a realizzare la protezione dei diritti umani. Tale esigenza di rispetto della persona pervade il diritto degli operatori com- merciali (la cosiddetta lex mercatoria), delle organizzazioni internazionali, delle organizzazioni non governative. Per lo meno, tutte queste realtà sono suscettibi- li di violare i diritti umani 29.

Forse la principale differenza tra questi due sistemi è da rintracciare nell’idea che i diritti umani trovano nella regionalizzazione uno strumento importante di realizzazione, mentre il diritto internazionale umanitario ha una vocazione spic- catamente universale, al punto che sarebbe impensabile la differenziazioni delle sue garanzie in relazione ai contesti 30. Qui però ancora una volta bisogna pun-

tualizzare. La regionalizzazione dei diritti umani non ha il senso di consentire la restrizione delle tutele in certi contesti, ma piuttosto quello di potenziare tale protezione, con la ricerca di strumenti specifici per contesti specifici. Non è un caso che nel diritto dei diritti umani l’applicazione degli strumenti regionali non escluda quella degli strumenti internazionali, ma si renda compatibile con essi.

Quanto all’ambito soggettivo di applicazione, al soggetto protetto, in senso stretto i diritti umani proteggono le persone contro gli stati, mentre il diritto in-

28 Artt. 4 e 96 del Primo Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1949, del

1977.

29 Cfr., da ultimo, F. M

ARRELLA, Regolazione internazionale e responsabilità globale delle

imprese transnazionali, in “Diritti umani e diritto internazionale”, 3, 2009, pp. 229-258.

30 G. V

ENTURINI, Diritto umanitario e diritti dell’uomo: rispettivi ambiti di intervento e punti

ternazionale umanitario protegge le vittime contro il proprio stato, o contro lo stato “cattore” (nel caso dei prigionieri), oppure contro lo stato occupante. Ini- zialmente, il diritto internazionale umanitario proteggeva i cittadini di uno stato belligerante contro la violenza dello stato avversario. Dal 1977, con il Primo Protocollo aggiuntivo, la protezione riguarda indistintamente stranieri, cittadini, rifugiati e apolidi.

Quello appena illustrato è il punto di forza del diritto internazionale umanita- rio: la semplificazione che risulta dalla individuazione della sua finalità nella protezione della “vittima”. Per vittima si intende qualcosa di molto specifico, almeno nella situazione di guerra: colui che non è combattente. Questa preci- sione nella definizione del soggetto da tutelare sembra essere il maggiore van- taggio del diritto internazionale umanitario sui diritti umani, che invece si pro- pongono di tutelare il bambino, la donna, l’anziano, l’imputato in un processo e così via. La protezione della persona-vittima è “più facile” dal punto di vista epistemologico, cioè da quello della identificazione del soggetto da proteggere. Al contrario, per i diritti umani, sembra difficile capire bene chi è il soggetto da proteggere.

Questa difficoltà deriva – io credo – da un certo modo di concepire i diritti alla luce dei diritti di libertà negativa, come intesi dal liberalismo o dal libertari- smo: essi sarebbero un modello per i diritti umani. La prima generazione dei di- ritti, infatti, risponde ad una immagine del soggetto dei diritti come un indivi- duo possessivo e proprietario, che vuole essere tutelato nella sua libertà da inter- ferenze, al punto che i diritti vengono definiti “scudi” 31. Non si può dire però lo

stesso per le altre generazioni dei diritti: la seconda, la terza, la quarta, che ri- chiedono interventi positivi. Eppure, non è un caso che si ritenga che gli indivi- dui cui si riconoscono i diritti umani sono, tautologicamente, individui “biso- gnosi” di tutela 32: nei confronti della povertà, della miseria, della prepotenza dei

detentori del progresso scientifico e tecnologico, degli inquinatori e dei manipo- latori, così come il diritto umanitario può essere inteso come il diritto alla tutela dalla prepotenza dei signori della guerra. Se ciò è vero, l’argomentazione può prendere due strade, quella diretta a negare che i diritti di libertà corrispondano a quella idea sopra indicata 33 e quella che legge la libertà come “capacitazio-

ne”, alla maniera di Amartya Sen, seguendo la logica della “indivisibilità” dei

31 Com’è noto, l’idea dei diritti come “scudo” è di H.L.A. H

ART, Essays on Bentham. Studies

in Jurisprudence and Political Theory, Clarendon Press, Oxford, 1982.

32 V. H

ELD, Rights, in A.M. Jaggar, I.M. Young (eds.), A Companion to Feminist Philosophy,

Blackwell, Oxford, 1998, pp. 500-503.

33 Come ritengono per esempio S.H

OLMES,C.R.SUNSTEIN, Il costo dei diritti. Perché la liber-

diritti, cosa che complica notevolmente quell’idea esclusivamente negativa del- la libertà 34.

In ogni caso, che i soggetti dei diritti debbano essere protetti non risponde tanto all’immagine dello scudo per un individuo forte in se stesso, ma piuttosto corrisponde alla consapevolezza della vulnerabilità. Non è questa ovviamente una novità del nostro tempo, né dell’idea dell’essere umano nel nostro tempo 35.

Nel nostro tempo si possono, però, notare alcune sfumature specifiche relative alla estensione ed alla percezione della vulnerabilità degli esseri umani. Ma se accettiamo questo, in fondo, si può sostenere che il diritto internazionale umani- tario non è che una parte dei diritti umani: quella in cui la vulnerabilità è deter- minata dalla guerra. Il problema è che la vulnerabilità causata dalla guerra non è l’unica che affligge l’essere umano, anche se è una delle più gravi.

In conclusione, gli obblighi relativi ai diritti umani, che si propongono di proteggere la persona nelle sue molteplici dimensioni, appaiono più difficili da realizzare, ma non per questo sono meno importanti. Il diritto internazionale umanitario dal punto di vista giuridico, delle sue regole, della precisione nel in- dividuare i suoi destinatari, risulta all’apparenza meno problematico. Ma, qualo- ra la sua base di partenza è la guerra possibile, il riconoscimento del diritto umanitario conferma una sorta di schizofrenia del diritto internazionale: il dirit- to internazionale umanitario per la tutela delle vittime è necessario perché lo stesso diritto internazionale permette la guerra, pur contenendo al suo interno norme specifiche per la tutela dei diritti umani, incompatibili con lo stato di guerra. L’ideale – anche dal punto di vista giuridico – sarebbe quello di dotarsi di strumenti capaci di risolvere le controversie in modo pacifico.

34 A.K. SEN, La diseguaglianza. Un riesame critico (1992), trad. it. di A. Balestrino, il Muli-

no, Bologna, 1994.

35 Il tema della vulnerabilità è stato trattato in modo approfondito e suggestivo a proposito di

una particolare età della storia dell’Occidente da M.C. NUSSBAUM, La fragilità del bene. Fortuna

ed etica nella tragedia e nella filosofia greca (1986), trad. it. e intr. di Gf. Zanetti, il Mulino, Bo-

Dignità umana e diritti fondamentali:

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