• Non ci sono risultati.

Il femminicidio e il monopolio maschile dell’uso della forza

L’uguaglianza, i diritti umani e le donne di O RSETTA G IOLO ∗

4. Il femminicidio e il monopolio maschile dell’uso della forza

Tra le tante questioni che dominano il dibattito pubblico in materia di diritti delle donne, ritornano con frequenza, suscitando reazioni spesso contrastanti, due nodi drammatici e irrisolti che riguardano la vita e il corpo delle donne: il femminicidio e l’aborto.

Per “femminicidio”, o “ginocidio”, si intendono quelle diverse forme di vio- lenza usate dagli uomini sulle donne talmente brutali da condurre alla morte 26.

Si tratta di neologismi che nella letteratura sia giuridica sia sociologica vengono oramai utilizzati per indicare un fenomeno che presenta dimensioni esorbitanti, che provoca nel mondo ogni anno decine di migliaia di omicidi e che finalmente è divenuto oggetto della normativa internazionale.

Per “aborto”, come è noto, si intende invece l’interruzione (volontaria) di gra- vidanza, attorno alla quale si muove l’eterno dibattito sulla sua configurazione giuridica e etica, che vede opporsi consuetudinariamente, almeno in Italia, le dottrine della chiesa cattolica e le correnti laiche e femministe.

Si tratta, a ben vedere, di due “drammi” che interessano evidentemente le donne e in particolare il corpo delle donne, ma in prospettive molto diverse.

Il femminicidio vede le donne, e i loro corpi, vittime dell’uso della violenza da parte di soggetti che, nella stragrande maggioranza dei casi, non solo cono- scono le proprie vittime ma ne sono pure partners, mariti, padri, fratelli, parenti. Il femminicidio, infatti, comprende al suo interno l’intera tipologia delle forme di violenza omicida sulle donne, che vanno dallo stupro che sfocia nell’omici- dio al c.d. “delitto d’onore”, cioè il delitto compiuto per rimediare all’offesa ap- portata dalla donna all’onorabilità della famiglia. Si tratta, generalmente, di fatti e atti che nei secoli hanno goduto di svariate forme di legittimazione, ora di tipo religioso, ora di tipo morale e politico. Il delitto d’onore, come è noto, da secoli è diffuso in tutte le culture di stampo patriarcale e nonostante in alcuni Stati og- gi sia considerato un reato, esso rimane una pratica diffusa a livello mondiale, trasversalmente ai diversi contesti culturali e religiosi.

26 Cfr., al riguardo, il fascicolo monografico n. 2/2008 della rivista “Studi sulla questione

criminale”, dedicato a Ginocidio. La violenza contro le donne; B. SPINELLI, Femminicidio.

Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, cit.; D. DANNA, Ginoci-

dio. La violenza contro le donne nell’era globale, Elèuthera, Milano, 2007. Si veda anche,

per una ricostruzione storica, M. CAVINA, Nozze di sangue. Storia della violenza coniugale,

   

L’aborto, invece, vede coinvolte le donne e i loro corpi ma in una prospettiva radicalmente opposta: in questo caso le donne non sono “vittime”, nel senso tradizionale del termine, di un’offesa, piuttosto si trovano ad agire nella com- plessa rete di sentimenti e di responsabilità che le vede protagoniste. Semmai, alcuni ingenuamente sosterrebbero, le donne sono in questo caso coloro le quali possono produrre un’offesa ai danni di un altro possibile (futuro) soggetto.

Cosa lega tra loro femminicidio e aborto? A mio parere, il legame è ricono- scibile nelle qualificazioni che le teorie più conservatrici e tradizionaliste attri- buiscono a questi due diversi fenomeni e che rimandano alla questione della ti- tolarità dell’uso legittimo della violenza.

Un’unica matrice maschilista e violenta costituisce, a mio avviso, il fonda- mento di due norme (giuridiche e culturali) che qui di seguito tenterò brevemen- te di indagare: 1) il femminicidio inteso come una forma di “pena di morte di genere”; 2) la condanna dell’aborto intesa come pratica che mantiene il mono- polio maschile dell’uso della violenza.

4.1. Una pena di morte “di genere” e la condanna dell’aborto

Può il femminicidio essere definito come una “pena di morte di genere”? Come è noto, la pena di morte è ancora prevista in molti paesi e rappresenta il diritto che lo Stato si arroga di togliere la vita ai propri cittadini 27. In questi casi la pena di morte è “legale”, prevista e disciplinata, dunque formalizzata. Ma, con tutta probabilità, è possibile sostenere che vi siano altri tipi di pena di morte che fuoriescono dall’attuale configurazione giuridica, perché non neces- sariamente formalizzati, nonostante si pratichino con regolarità e in maniera dif- fusa e siano sorretti da una forte legittimazione di carattere morale o religiosa.

Il femminicidio, l’atto di uccidere una donna perché colpevole di azioni o comportamenti che si ritengono non conformi alla morale dominante, è un isti- tuto previsto dalle diverse religioni e culture quale sanzione – l’estrema sanzio- ne – per punire chi si discosta dalle condotte del gruppo, chi tradisce la fiducia, le regole, le tradizioni, chi viola od oltraggia l’autorità (religiosa, politica, fami- liare). Il femminicidio, dunque, in quanto pena, costituisce un istituto che ha una legittimazione culturale storicamente rilevantissima e molto risalente. Non solo: esso testimonia il fatto che l’uccisione delle donne differisce da sempre da quella degli uomini, tanto per rilevanza quanto per modalità dell’esecuzione.

È noto che il titolare del potere di decretare l’applicazione della pena è sem- pre stato il detentore dell’autorità: contrassegno dell’autorità è il potere di vita o

27 Cfr. P. COSTA (a cura di), Il diritto di uccidere. L’enigma della pena di morte, Feltri-

nelli, Milano, 2009. Si veda anche A. PORCIELLO, Pena di morte, inM.LA TORRE,M.LA- LATTA COSTERBOSA,A.SCERBO (a cura di), Questioni di vita o morte. Etica pratica, bioetica

di morte 28. Anche le religioni, del resto, hanno contribuito a fondare la giustizia

punitiva, la pena capitale, invocando la necessità di ripristinare l’ordine univer- sale, l’armonia turbata. In quest’ottica, il femminicidio non rappresenta altro che una declinazione del tradizionale potere di vita o di morte che chi è soggetto

dominante – corpo dominante – di fatto può (e si sente legittimato a) esercitare.

Oggi il femminicidio sopravvive, come pena di morte applicata alle donne, poiché è sostenuto esattamente dallo stesso bagaglio di norme giuridiche, morali e culturali che sostiene la legittimità della pena di morte in generale. Intendo so- stenere che con ogni probabilità si giungerà a scardinare la base culturale che so- stiene in qualche modo la commissione di femminicidi solamente nel momento in cui si riusciranno a demolire le basi culturali – poiché sono le medesime – che sostengono il ricorso alla pena di morte (legalizzata e razionalizzata), in base alle quali la violenza è lo strumento per l’affermazione del potere e dell’autorità, del- l’ordine giusto 29. Sono questi stessi ancoraggi culturali che permettono di defini-

re la regolare connotazione sessuale, razziale, sociale dei boia e, di converso, del- le loro vittime (i primi di norma maschi dominanti, le seconde di norma donne o maschi dominati, poiché membri di gruppi socialmente svantaggiati).

Si potrebbe obiettare che episodi di femminicidio vi sono anche nei paesi in cui non vige più la pena di morte. Ma è facile ribattere che anche nei paesi “abolizionisti” il senso comune si è solo “parzialmente” corretto, tanto è vero che spesso, a ridosso soprattutto di fatti drammatici, si invoca il ripristino della pena capitale.

La lotta alla pena di morte e la lotta alla violenza femminicida sono pertanto connesse: poiché entrambe rimandano ad una visione gerarchica, classista, raz- zista, sessista e dunque violenta, della società.

Se, quindi, il monopolio dell’uso della violenza omicida rimane, ancora, in mani maschili, si spiega l’avversione che in genere gli ambienti politicamente più conservatori e tradizionalisti manifestano nei confronti del dramma dell’aborto. È noto che le stesse femministe faticano a riconoscere nella possibilità per le donne di interrompere la gravidanza un diritto vero e proprio: troppe sono le implicazio-

28 Per tutti Michel Foucault: “L’effetto del potere sovrano sulla vita non si esercita che a

partire dal momento in cui il sovrano può uccidere. E ciò, in ultima istanza, significa che è il diritto di uccidere a detenere effettivamente in sé l’essenza stessa del diritto di vita e di mor- te: il sovrano esercita il suo diritto sulla vita esattamente nel momento in cui può uccidere” (M. FOUCAULT, Bisogna difendere la società, Feltrinelli, Milano, 2009, p. 207).

29 “[…] la lunga presenza della pena di morte in tutto l’arco della modernità non appare

allora come un’inspiegabile anomalia, ma si rivela come la punta di un iceberg, come l’espressione più visibile e sfacciata non tanto, o non soltanto, di una strategia raccomandata da un ristretto gruppo di ‘specialisti della repressione’, quanto di un immaginario collettivo profondamente radicato e ampiamente diffuso” [P. COSTA, Introduzione, in ID. (a cura di), Il

   

ni emotive, etiche, affettive, esistenziali per “ridurre” questa scelta all’esercizio di un diritto 30. Eppure, le posizioni più liberali e progressiste da sempre riconoscono

che alle donne va lasciata la libertà di scegliere se portare a termine o meno la gravidanza. Al contrario, fondando le proprie tesi su ragioni morali e soprattutto religiose, gli ambienti conservatori denunciano l’atto di violenza che nell’aborto si celerebbe, arrivando a definire l’aborto stesso un omicidio. Dunque: se l’omi- cidio è provocato da un essere umano di genere maschile è più tollerabile e giusti- ficabile (moralmente, culturalmente, religiosamente) dell’omicidio (assumendo come accettabile questa definizione) provocato da una donna?

Statisticamente, sono molto più numerosi gli omicidi provocati dagli uomini, a cominciare, (appunto) dai femminicidi: perché mai vi è un’attenzione così for- te (addirittura violenta a sua volta, se si pensa ai frequenti attentati che ad esem- pio in America colpiscono medici, cliniche e donne che praticano l’aborto) solo per l’unico caso di “omicidio” che può essere prodotto da una donna? A questo riguardo, richiamando le tesi radicali di Carla Lonzi, potremmo affermare che

[l]’uomo ha lasciato sola la donna di fronte a una legge che le impedisce di abor- tire: sola, denigrata, indegna della collettività. Domani finirà per lasciarla sola di fronte a una legge che non le impedirà di abortire: sola, gratificata, degna della col- lettività31.

Sotto questo profilo, la legislazione sull’aborto (che ne sancisca la legalizza- zione o meno) appartiene ad uno sguardo maschile sulla sessualità e sulla ripro- duzione, liberatoria per gli uomini (esentati dalle responsabilità, dall’autocon- trollo) e colpevolizzante (in ogni caso) per le donne. L’autorizzazione legale dell’aborto suona, in quest’ottica, come la concessione – temporanea, delimita- ta, sorvegliata – di un frammento di quel monopolio della violenza di cui prima ho detto, mentre la messa in discussione della sua legalità figura come una riaf- fermazione di quello stesso monopolio.

La liberalizzazione dell’aborto è diventata, attraverso millenni, la condizione mediante la quale il patriarcato prevede di sanare le sue contraddizioni mantenendo inalterati i termini del suo dominio32.

30 Scrive Claudia Mancina: “L’esperienza delle donne non ci dice una cosa diversa.

L’aborto è generalmente vissuto come un atto negativo e molto spesso come un atto autodi- struttivo. Generalmente le donne considerano l’interrompere una gravidanza, anche se ne- cessario, uno scacco e una sconfitta. Che sia un atto compiuto alla leggera, è solo una maldi- cenza, frutto di fantasie maschili distorte o di pura e semplice propaganda” (C. MANCINA,

Oltre il femminismo. Le donne nella società pluralista, cit., p. 100).

31 C. LONZI, Sputiamo su Hegel e altri scritti, et al. edizioni, Milano, 2010, p. 55. 32 C. L

Per queste ragioni l’aborto rimane, sul piano morale, culturale e politico (ol- treché religioso) una questione irrisolvibile: esso esprime al meglio l’impossibi- lità di inserire coerentemente il principio della libertà sessuale e dell’autodeter- minazione delle donne in un contesto che permane intessuto di logiche maschi- liste.

5. Il diritto alla salute (degli uomini) e le nuove prospettive della me-

Outline

Documenti correlati