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Il paradigma dei diritti umani, i bisogni individuali e la misurazione dello sviluppo

Premessa: le dimensioni del problema

3. Il paradigma dei diritti umani, i bisogni individuali e la misurazione dello sviluppo

L’impostazione appena descritta elimina, secondo Pogge, la necessità di condividere un criterio alla luce del quale valutare e confrontare la giustizia di modelli alternativi di un ordine istituzionale globale: sarà infatti sufficiente “sta- bilire qualche caratteristica che lo schema non deve avere se vuole evitare di es- sere ingiusto”.

Il riferimento scelto da Pogge è dunque quello dei diritti umani fondamentali (basic human rights), letti come “standard minimo riconosciuto a livello inter- nazionale nella nostra epoca”: “qualsiasi schema istituzionale è ingiusto quando prevedibilmente produce violazioni evitabili dei diritti umani”. Essi, dunque, non rappresentano per Pogge un grado sufficiente di giustizia sociale; al contra- rio, egli afferma che “un disegno istituzionale è ingiusto se non riesce a realiz- zare i diritti umani per quanto ragionevolmente possibile”. In realtà, è lo stesso autore a considerare sufficiente un’affermazione ancora più debole: “qualsiasi schema istituzionale è ingiusto se produce enormi violazioni prevedibilmente evitabili dei diritti umani” 33.

Prendendo le distanze da chi ritiene, rispetto alla condizione dei poveri glo- bali, che “solo il miglior trattamento possibile si qualifica come non-nocivo” 34,

Pogge arriva ad individuare una nozione di danno “molto più restrittiva”, de- scrivendola in sei aspetti fondamentali:

In primo luogo, stiamo danneggiando i poveri del mondo solo se la nostra con- dotta ostacola i loro più elementari interessi – lo standard di giustizia sociale che adotto è sensibile soltanto alla violazione di diritti umani. In secondo luogo, mi con- centro esclusivamente sulle violazioni di diritti umani che sono causalmente ricon-

ducibili alle istituzioni sociali. Terzo, conferisco la responsabilità morale di tale vio-

lazione di diritti umani solo a coloro che collaborano attivamente nella progettazio- ne o nell’imposizione delle istituzioni sociali pertinenti – e solo a questi ascrivo l’obbligo di riparare i danni e di fare la loro parte verso la riforma delle istituzioni sociali o verso la protezione delle vittime di queste ultime. Quarto, affermo che la nostra attiva collaborazione sta danneggiando i poveri del mondo soltanto se è pre-

vedibile che questo ordine darà luogo a violazioni sostanziali dei diritti umani. Quin-

33 I

D., Povertà mondiale e diritti umani, cit., p. 32. Sulla nozione di diritti umani in rela-

zione alla povertà, cfr. D. BILCHITZ, Poverty and Fundamental Rights. The justification and

Enforcement of Socio-Economic Rights, Oxford University Press, Oxford, 2007, con partico-

lare riferimento al cap. 6.

34 Pogge fa qui particolare riferimento a A. P

ATTEN, Should We Stop Thinking About

Poverty in Terms of Helping the Poor?, in “Ethics and International affairs”, 19, 2005, pp.

to, è per me necessario che tale deficit di diritti umani siano ragionevolmente evita- bili, nel senso che sia realizzabile un progetto alternativo di un ordine istituzionale che non produca simili deficit o altri mali di grandezza comparabile. Sesto, questa evitabilità deve essere conoscibile: dobbiamo poter essere sicuri che lo schema isti- tuzionale alternativo conferisca con maggior sicurezza ai partecipanti accesso a ciò che i diritti umani garantiscono 35.

Ferma convinzione di Pogge è che l’idea della “fioritura umana” sia centrale nell’analisi dei problemi dell’attuale sistema politico-istituzionale globale, così come “nelle riflessioni etiche e personali sulla nostra vita e la vita di coloro che ci circondano” 36. Costruire le istituzioni sociali e, dunque, il criterio di giustizia

secondo questa impostazione comporta, come rimarcato dallo stesso autore, una inevitabile “dose di paternalismo”, che, tuttavia, potrà risultare “più accettabile” onorando quattro condizioni:

1. Carattere “debole” della concezione della fioritura umana: “Il criterio universale di giustizia cercato dovrebbe funzionare con una concezione debole [thin] della fioritura umana, […] formulata […] nei termini di mezzi non speci- fici per arrivare alla, piuttosto che componenti della, fioritura umana”.

2. “Modestia” del criterio universale: al fine della corretta operatività del criterio universale, la giustizia non dovrà essere concepita come “il più alto gra- dino raggiungibile di una scala che sale senza fine”, bensì “una soglia concreta compatibile con diversi sistemi istituzionali, tenuti semplicemente a trattare le persone coinvolte in essi in una maniera minimamente decente e giusta”.

3. Non-esaustività del criterio universale: le varie società nazionali dovreb- bero essere “libere di imporre i propri criteri più esigenti di giustizia alle proprie istituzioni nazionali e anche di giudicare le istituzioni straniere o globali alla lu- ce di tali criteri più ambiziosi”.

4. Preminenza del criterio universale sui criteri nazionali: “Le considera- zioni supplementari introdotte da […] criteri di giustizia [nazionali] più ambi- ziosi non devono, tuttavia, compromettere l’universalità del criterio modesto e pertanto non devono poter prevalere su quest’ultimo in situazioni di concorren- za o conflitto (ad esempio, su risorse scarse)” 37.

Pogge ritiene che, per costruire un criterio di giustizia internazionalmente accettabile, sia necessario operare alcune “distinzioni morali”, in particolare prestando “attenzione al modo in cui un ordine istituzionale produce una qualità della vita più elevata rispetto a un altro”. Si tratta, secondo l’autore, di un aspet-

35 Ibidem, pp. 32-33. 36 Ibidem, p. 45. 37 Ibidem, pp. 51-52.

to molto trascurato dalle moderne teorie contrattualiste, e in primo luogo da quella di John Rawls, nella quale i partecipanti razionali potenziali “sono chia- mati a giudicare gli assetti istituzionali considerando solo la qualità della vita che possono aspettarsi al loro interno”: “per essere moralmente plausibile un criterio di giustizia deve tener conto degli specifici causali che pongono in rela- zione le istituzioni sociali alla fioritura umana”. Per evitare “le incerte implica- zioni di queste teorie” sarà necessario “distinguere i diversi modi in cui le isti- tuzioni sociali influenzano la vita degli individui e incorporare questa distinzio- ne nei nostri criteri di giustizia, anche nel criterio fondamentale universale” 38.

Pogge giunge così alla conclusione che “un criterio interno di giustizia di ba- se, complesso e internazionalmente accettabile, potrebbe essere meglio formula- to con il linguaggio dei diritti umani”, purché concepiti come “rivendicazioni verso istituzioni sociali coercitive e […] nei confronti di coloro che sostengono tali istituzioni” 39. In questo senso, dunque, un diritto umano richiederebbe una

codificazione giuridica “solo nella misura in cui fosse empiricamente vero – come può essere per alcuni diritti civili e politici – che un accesso sicuro al suo oggetto presuppone l’inclusione di un corrispondente diritto legale nella legge o nella Costituzione”. Tale definizione, secondo Pogge, permetterebbe di respin- gere il “sospetto, diffuso tra i communitarians e nelle culture comunitarie (ad esempio nel Sud-est asiatico) che i diritti umani promuovano l’individualismo o addirittura l’egoismo, e conducano le persone a vedere se stesse come oc- cidentali” 40. Requisito fondamentale per ogni regime istituzionale coercitivo

sarà allora che esso permetta “a ogni essere umano l’accesso sicuro a quote mi- nimamente adeguate di libertà fondamentali e di partecipazione, di prodotti ali- mentari, bevande, vestiario, alloggio, istruzione e assistenza sanitaria”. Per l’au- tore raggiungere l’accettazione globale e la realizzazione di questo requisito “è il compito morale preminente della nostra epoca” 41.

A proposito del “pacchetto” di beni ai quali ogni uomo dovrebbe poter acce- dere, Pogge fa esplicitamente riferimento ai “beni sociali primari” di Rawls e alle “risorse” di Ronald Dworkin, aggiungendo la “libertà dal dolore” come

38 Ibidem, pp. 57-59.

39 Ibidem, p. 61. Cfr. anche R. K

REIDE, Politica globale e diritti umani. Potenza e impo-

tenza di uno strumento politico, Trauben, Torino, 2010, pp. 39 ss. Per un utile raffronto tra la

teoria istituzionale dei diritti umani di Pogge con la prospettiva habermasiana, in particolare per quanto riguarda i diritti umani sociali ed economici, cfr. E. GREBLO, Habermas, Pogge e

il diritto ai (mezzi di) sussistenza, in “Jura Gentium”, 2011, VIII, n. 1, pp. 23-45, reperibile

su http:// www.juragentium.unifi.it/topics/rights/it/greblo.htm.

40 T. POGGE, Povertà mondiale e diritti umani, cit., pp. 62-63. Si veda, su questo punto, il

contributo di Francescomaria Tedesco in questo stesso volume.

componente ulteriore, seguendo Thomas Scanlon 42, e citando, come “importan-

te alternativa” a queste prospettive la “teoria delle capacità” di Sen 43. Delinea

poi con maggiore precisione quattro caratteristiche fondamentali del “pacchet- to”, considerando che ciò che è ricercato è “un modesto criterio di giustizia di base, uno che segni solo una soglia concreta”: a) esso dovrà contenere soltanto i beni veramente essenziali, per sviluppare una concezione di vita dignitosa; b) la domanda per i beni di base elencati dovrebbe essere limitata sia quantitativamente che qualitativamente ad una quota minimamente adeguata; c) le persone hanno certamente bisogno di accedere ai beni di base, piuttosto che avere questi stessi beni; d) i beni di base dovrebbero anche essere limitati probabilisticamente 44.

Strettamente correlata a questi temi è la questione della misurazione del gra- do di sviluppo registrato nelle diverse aree del mondo, e dunque dei bisogni dei poveri mondiali 45. Dal 1990 l’UNDP presenta annualmente un Human Develo- pement Report, all’interno dei quali sono presentati alcuni indici aggregati come

42 Pogge fa qui riferimento a diverse opere. Per quanto riguarda Rawls, T. P

OGGE, A

Theory of Justice, Harvard University Press, Cambridge, 1971 [trad. it., Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano, 1982, 20049]; ID., Social Unity and Primary Goods, in A.K.

SEN,B. WILLIAMS, Utilitarianism and Beyond, Cambridge University Press, Cambridge,

1982 [trad. it., Utilitarismo ed oltre, il Saggiatore, Milano, 1984-2002]. Per quanto riguarda Dworkin, T. POGGE, What is Equality? Part II: Equality of Resources, in “Philosophy and

Public Affairs”, 10, 1981, pp. 283-345 [trad. it. parziale, Virtù sovrana. Teoria dell’ugua-

glianza, Feltrinelli, Milano, 2002, cap. 2]. Per quanto riguarda Scanlon, T. POGGE, Preferen-

ce and Urgency, in “Journal of Philosophy”, 72, 1975, pp. 655-669. Cfr. T. POGGE, Povertà

mondiale e diritti umani, cit., p. 313.

43 Per un’analisi del concetto di “capacità” elaborato da Sen, della sua concezione dei di-

ritti e dell’interazione tra questi nella sua opera, si veda P. VIZARD, Poverty and Human

Rights. Sen’s ‘Capability Perspective’ Explored, Oxford University Press, Oxford, 2006. Nel

contesto della letteratura italiana si vedano: F. BIONDO, Benessere, giustizia e diritti umani

nel pensiero di Amartya Sen, Giappichelli, Torino, 2003; S.F. MAGNI, Etica delle capacità.

La filosofia pratica di Sen e Nussbaum, il Mulino, Bologna, 2006; P. LIGUTTI, I diritti come

fini. La riflessione di Amartya Sen tra consequenzialismo e teorie deontologiche, in “Filoso-

fia politica”, 2004, 3, pp. 461-480.

44 T. P

OGGE, Povertà mondiale e diritti umani, cit., pp. 53-54.

45 Cfr. A. FURIA, “Human discourses”: diritti, bisogni, sviluppo, sicurezza, cit., pp. 53 ss.

e, in particolare, pp. 56-57: “una maggiore attenzione agli ambiti e agli strumenti necessari per un’efficace promozione dello sviluppo umano consentirebbe inoltre, anche per mezzo della peculiare prospettiva teorica offerta dall’approccio delle capacità, di richiamare l’attenzione di coloro i quali parlano e ‘agiscono’ il linguaggio dei diritti umani sulla necessità di riconoscere l’importanza delle condizioni materiali che consentono, al di là della titolarità formale, l’effet- tiva fruizione dei diritti da parte degli individui. Nello stesso senso, un tale dialogo consenti- rebbe di riportare l’attenzione su quella specifica tipologia dei diritti che, in virtù dell’applica- zione della logica del doppio standard, sono stati storicamente demandati a un’applicazione progressiva e condizionata alla disponibilità degli Stati, ovvero sull’insieme dei diritti socio- economici, chiaramente sanciti già nell’art. 25 della Dichiarazione universale”.

l’Indice di Sviluppo Umano (ISU, o HDI), con una variante sensibile alle disu- guaglianze di genere (GDI), e l’Indice della Povertà Mondiale (IPU, o HPI). Elaborati con il contributo di Sen 46, questi indici sono rivolti essenzialmente

alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica rispetto, appunto, ai temi dello svi- luppo e della povertà globale, fornendo informazioni ulteriori rispetto al PIL. Pogge muove diversi rilievi ai primi due indici (HDI e GDI), illustrando come loro principale difetto il fatto che, essendo pensati per esprimere uno standard raggiunto da singoli paesi, finiscono per alimentare l’immagine di una situazio- ne di sottosviluppo dovuta alla responsabilità degli stessi paesi poveri. Si tratta di strumenti a suo avviso meno efficaci del sistema di misura individuale della povertà utilizzato dalla Banca Mondiale, che, esprimendo invece una quantifi- cazione del numero di poveri a livello globale, rimarca come la questione fon- damentale in materia sia l’impoverimento di singoli esseri umani, e che la re- sponsabilità di evitare questo stato di cose sia condivisa da tutto il mondo 47. Al

fine di superare questi limiti, Pogge propone due idee-base per l’elaborazione di nuovi strumenti di “misurazione” dello sviluppo umano, della povertà e dell’u- guaglianza di genere. La prima è quella di lavorare ad una misurazione olistica della deprivazione individuale, che tenga conto della situazione dei singoli, per poi ricavarne un’aggregazione a livello nazionale. La seconda idea è che una misurazione olistica della deprivazione individuale fondata su di una solida concezione dei bisogni o delle capacità potrà essere utilizzata per diversi eserci- zi di aggregazione.

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