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Responsabilità e necessità di riflessione delle società più ricche

Premessa: le dimensioni del problema

2. Responsabilità e necessità di riflessione delle società più ricche

Strettamente correlata all’analisi dei rapporti tra ordine istituzionale e pover- tà globale è la questione della responsabilità individuale dei membri delle socie- tà più ricche e, dunque, maggiormente beneficiate dalla situazione attuale.

Uno degli obiettivi fondamentali della ricerca di Pogge è, infatti, quello di sollecitare, nel dibattito pubblico come in quello accademico, “una seria rifles- sione morale” a proposito della persistenza di una condizione di povertà estre- ma e di posizioni di partenza gravemente inadeguate e inferiori per la metà del- l’umanità, “nonostante l’enorme progresso economico e tecnologico” e lo stri- dente contrasto con “le norme morali e i valori illuminati della nostra civiltà oc- cidentale, oggi così fortemente dominante” 25. Pogge ritiene infatti che mantene-

re invariato l’attuale ordine economico-istituzionale globale e le politiche na- zionali che lo modellano e lo perpetuano, “senza attuare misure di compensa- zione nella direzione di una riforma istituzionale o di una protezione delle sue vittime” comporti, da parte dei membri delle società dei ricchi stati occidentali, la condivisione di una responsabilità negativa per i danni ingiusti che tale ordi- ne e tali politiche prevedibilmente producono. La misura del coinvolgimento dei singoli abitanti degli stati occidentali rispetto alle cifre della disuguaglianza globale trova per Pogge un parallelo nel comportamento di molti simpatizzanti nazisti: “Nemmeno loro avevano mai scelto di sostenere la guerra e il genoci- dio, ma avevano semplicemente continuato a fare il loro lavoro, a eseguire gli ordini, magari a partecipare ai raduni. Tuttavia, facendo in questo modo hanno contribuito ai massacri” 26. In realtà, per Pogge, il vero significato di questo pa-

rallelismo risiede nella mancanza di riflessione: “Una povertà così grave ed estesa da causare 18 milioni di decessi l’anno richiede una riflessione morale da parte di tutti noi. Richiede che ciascuno di noi si collochi moralmente in rela- zione a essa e scelga il proprio modo di agire, o non agire, di fronte a essa”.

Accanto alla grave mancanza di una riflessione pubblica sul tema in tutti i paesi occidentali, Pogge denuncia quella, non certo più lieve, di un approfondi- mento accademico: “Il fatto che l’industria accademica della giustizia abbia più o meno ignorato questo fenomeno è un fallimento sconcertante”, che l’autore riferisce per lo più alle impostazioni analitiche “nazionaliste” sopra citate (v. § 1), tendenzialmente inclini a sottovalutare “il dovere negativo di non danneg-

25 Ibidem, pp. 6-7, 251.

26 Cfr. A. SEN, Globalizzazione ed etica, cit., pp. 15 e 16: “come può la maggior parte di

noi riuscire a vivere senza alcun problema, ignorando completamente le disuguaglianze che caratterizzano il nostro mondo?”. “La passività globale è, allora, alimentata non solo dalla cecità morale, dall’apatia e dall’egocentrismo, ma anche da una unione conservatrice di pro- spettive radicalmente opposte”.

giare gli altri indebitamente” e il “contesto economico e geopolitico in cui le economie nazionali e i governi dei paesi più poveri sono situati” 27.

La presenza di una pluralità di cause rispetto alla situazione di povertà estre- ma in cui versano miliardi di persone rende sicuramente difficile individuare re- sponsabilità precise. In quest’ottica, però, il “luogo comune” in base al quale vi- viamo in una società globalizzata, in cui gli effetti della condotta di un individuo si possono riverberare in ogni parte del mondo, non è risolutivo. Pogge, rifiutan- do la carica auto-assolutoria di tale assunto, lo precisa affermando che è molto probabile che un abitante dei paesi più ricchi abbia preso parte a normali transa- zioni economiche che, inserite in ampie (ed incontrollabili) catene causali, hanno portato a morti per cause collegate alla povertà, o salvato vite. Una riflessione

disturbing e, come ammette lo stesso autore, priva di soluzioni, data l’impossi-

bilità di plasmare la propria condotta nel campo economico in modo da evitare di causare morti per cause connesse alla povertà in un paese povero 28.

Pogge cerca di superare questa empasse individuando una violazione dei di- ritti umani nel solo caso in cui qualcuno privi altri individui dell’oggetto dei lo- ro diritti, o renda insicuro l’accesso agli stessi. Chi invece semplicemente falli- sca nel proteggere un accesso sicuro all’oggetto dei diritti umani, non ne è, per ciò stesso, violatore. Si tratta di una posizione certamente controversa: è lo stes- so Pogge a citare, tra gli autori che invece ritengono che i diritti umani impon- gano più stringenti e diretti doveri di protezione e di aiuto, Henry Shue e David Luban 29. Ma l’obiettivo di Pogge è quello di raggiungere conclusioni ampia-

mente condivisibili su quando la povertà estrema rappresenti sicuramente un’ipo- tesi di violazione dei diritti umani. Per farlo, egli si focalizza sui doveri negativi correlati ai diritti umani, ed in particolare sul dovere negativo di non recare

danni agli altri indebitamente, optando dunque per una visione restrittiva del

fenomeno 30.

27 Cfr. T. P

OGGE, Povertà mondiale e diritti umani, cit., pp. 157-176.

28 I

D., Freedom from Poverty as a Human Right, cit., pp. 16-18.

29 Pogge fa qui riferimento a H. SHUE, Basic Rights: Subsistence, Affluence, and U.S.

Foreign Policy, Princeton University Press, Princeton, 1996, e a D. LUBAN, Just War and

Human Rights, in C.R.BEITZ,M.COHEN,T.SCANLON,A.J.SIMMONS (a cura di), Interna-

tional Ethics, Princeton University Press, Princeton, 1985. Di quest’ultimo, in particolare,

riporta il passaggio “A human right, then, will be a right whose beneficiaries are all humans and whose obligors are all humans in a position to effect the right” (p. 209). Cfr. T. POGGE,

Freedom from poverty as a Human Right, cit., p. 19. Per una disamina del pensiero di Henry

Shue da parte dello stesso Pogge, cfr. T. POGGE, Shue on Rights and Duties, in C.R. BEITZ,

R.E.GOODIN, Global Basic Rights, Oxford University Press, Oxford, 2009, pp. 113-130.

30 Riferimenti utili rispetto al cruciale tema dei “doveri globali” si trovano in: I. T

RUJIL- LO, Paradigmi della giustizia internazionale. Argomenti pro e contro il dovere di aiuto ai

popoli svantaggiati, in “Ragion Pratica”, n. 22, 2004, pp. 179-221; EAD., Giustizia globale.

Al momento, il dibattito morale è fortemente focalizzato sulla questione della misura in cui le società e le persone ricche abbiano l’obbligo di aiutare chi sta peg- gio di loro. Alcuni negano tale obbligo, altri lo ritengono particolarmente stringente. Entrambe le soluzioni danno per scontato che il nostro eventuale obbligo morale nei confronti dei poveri si configura come assistenza. Questo è ovviamente vero. Ma il dibattito ignora che siamo anche e ancor più significativamente legati a loro in quali- tà di sostenitori e beneficiari di un ordine istituzionale che contribuisce in modo so- stanziale alla loro estrema povertà 31.

In questa prospettiva, diviene fondamentale, al fine di valutare la condotta dei paesi più ricchi, il periodo di tempo considerato: prendendo a riferimento il recente passato, i paesi ricchi potrebbero essere visti “soltanto” come potenziali soccorritori che non hanno agito in maniera sufficientemente incisiva rispetto all’obiettivo di alleviare la povertà assoluta. Considerando invece un periodo di tempo più lungo, appare più facile, secondo Pogge, notare come i paesi ricchi abbiano avuto un ruolo significativo nel mantenimento del livello di povertà, persuadendo le élite politiche dei paesi poveri ad accettare una globalizzazione “sbilanciata”. Allargare la visuale ad un periodo di tempo ancora più lungo po- trebbe portare all’inclusione di fenomeni quali il colonialismo, la schiavitù, il genocidio, i quali, pur concettualmente rifiutati dalle generazioni attuali, hanno portato frutti di cui ancora i paesi più ricchi godono 32.

Pogge specifica dunque i contenuti del dovere negativo di non recare danni agli altri indebitamente offrendone una lettura come dovere di non partecipare

all’imposizione di istituzioni sociali a causa delle quali viene evitabilmente a mancare un accesso sicuro agli oggetti dei diritti umani. Per Pogge, insomma,

ogni ordine istituzionale, che prevedibilmente produca un eccesso ragionevol- mente evitabile di povertà estrema e di mortalità per cause legate alla povertà, manifesta una violazione dei diritti umani da parte di chi partecipi alla sua im- posizione. Ciò ha importanti implicazioni sia rispetto all’ordine istituzionale globale, sia per lo schema istituzionale nazionale di gran parte dei paesi in cui la povertà estrema persiste.

dividuali” ai doveri “globali”, cit., pp. 99 ss. Particolarmente significativa è l’osservazione

di Trujillo in Paradigmi della giustizia internazionale: “Pensando ai bisogni […] [dei popoli svantaggiati], i gap tra diritti di sussistenza e doveri correlativi può trovare una soluzione a livello internazionale ad opera di una teoria dei doveri” (p. 204). Cfr. anche J. GRIFFIN, On

Human Rights, Oxford University Press, Oxford, 2008, pp. 96 ss., e S. CANEY, Global Pov-

erty and Human Rights: The Case for Positive Duties, in T. POGGE, Freedom from Poverty

as a Human Right, cit., pp. 275-302.

31 T. P

OGGE, Universalismo morale e giustizia economica globale, cit., p. 84.

3. Il paradigma dei diritti umani, i bisogni individuali e la misurazione

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