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L’“ordine” globale causa povertà?

Premessa: le dimensioni del problema

1. L’“ordine” globale causa povertà?

Cruciale, rispetto a queste tematiche, è l’analisi del ruolo che la strutturazio- ne dell’ordine globale assume rispetto all’esistenza delle situazioni di povertà e di disuguaglianza precedentemente delineate.

volte a modificare tali pseudo-ordini” (p. 169). Sulla questione dell’ordine internazionale, e sul ruolo dell’Occidente, si veda, tra vari altri studi, G.GOZZI,P.MANZINI (a cura di), L’oc-

cidente e l’ordine internazionale, il Mulino, Bologna, 2008.

13 Thomas Winfried Menko Pogge (Amburgo, 1953) è professore di Filosofia e affari in-

ternazionali all’Università di Yale, e direttore del CSMN (Centre for the Study of Mind in

Nature) di Oslo. Già a partire dalla sua tesi di dottorato, intitolata “Kant, Rawls e la giustizia

globale”, supervisionata dallo stesso Rawls e discussa ad Harvard nel 1983, Pogge ha coniu- gato la conoscenza dei classici con lo studio delle problematiche più attuali, quali quelle del- la giustizia redistributiva globale. Tra le sue opere principali, oltre a Realizing Rawls (Cor- nell University Press, 1989) va certamente ricordato World Poverty and Human Rights: Co-

smopolitan Responsibilities and Reforms, pubblicato per la prima volta nel 2002 ed aggior-

nato con una seconda edizione nel 2008, pubblicata in Italia per i tipi di Laterza con il titolo

Povertà mondiale e diritti umani. Responsabilità e riforme cosmopolite (2010). Quest’opera,

considerata un istant classic nell’ambito del dibattito teorico sui problemi della giustizia globale, oltre a porsi alla base del suo recentissimo Politics as Usual. What Lies behind the

Pro-Poor Rhetoric (Polity Press, 2010), è stata anche il principale riferimento del volume Thomas Pogge and His Critics (Polity, 2010), una raccolta di sette saggi critici sulle tesi di

questo autore. Cfr. L. CARANTI, Prefazione a Povertà mondiale e diritti umani, cit., e A.M.

JAGGAR, Thomas Pogge and His Critics, Polity Press, New York, 2010, p. 1.

14 Cfr. A. S

PADARO, Dai diritti “individuali” ai doveri “globali”, cit., p. 169.

Nel presentare la sua peculiare costruzione teorica, Pogge si impegna, innan- zitutto, a contrastare la visione “panglossistica” di chi ritenga che l’attuale as- setto istituzionale sia quello migliore possibile, anche dal punto di vista della lotta alla povertà. Secondo l’autore, tale approccio può essere rapidamente mes- so in dubbio già dall’intuitiva e commonsensical contro-ipotesi che la struttura- zione dell’attuale ordine istituzionale globale possa riflettere i comuni interessi dei governi, delle società e dei cittadini dei paesi ricchi, più che l’interesse alla riduzione della povertà, soprattutto nella dimensione in cui tali interessi si ritro- vino, come peraltro spesso accade, in conflitto 16.

Pogge contesta la ricostruzione dell’attuale situazione di povertà estrema sulla base di soli fattori locali o nazionali. Si tratta di un approccio, per così di- re, “trasversale”, che l’autore attribuisce, oltre che a John Rawls, ad economisti

libertarian, ma anche ad Amartya Sen 17, per la sua attenzione agli assetti istitu-

zionali e welfaristici interni 18.

In realtà, pur distanziandosi da questa ricostruzione, Pogge ne accoglie parte dei contenuti. Una particolarità della sua costruzione teorica, infatti, risiede nel fatto che povertà e disuguaglianza vengono ricondotte ad una interazione tra le due dimensioni del malgoverno locale e della struttura dell’ordine economico e istituzionale globale: in particolare, le ipotesi di riforma di alcune regole globali (cfr. § 4) sono avanzate dall’autore nella prospettiva di una loro benefica inci- denza sulle istituzioni locali corrotte, che spesso non contrastano, o addirittura favoriscono, l’insorgere di situazioni di povertà e disuguaglianza estreme 19.

16 Cfr. T. P

OGGE (a cura di), Freedom from Poverty as a Human Right: Who owes what

to the very Poor?, Oxford University Press, Oxford, 2007, pp. 33 ss., e T. POGGE, Politics as

usual, cit., pp. 34 ss.

17 Cfr. A. S

EN, Globalizzazione ed etica, cit., p. 21: “Forse la cosa più importante su cui

focalizzare l’attenzione è il ruolo importante delle istituzioni diverse dal mercato nel deter- minare la natura e l’estensione delle disuguaglianze. Anzi, le istituzioni politiche, sociali, giuridiche o di altro tipo possono essere decisive nel promuovere un buon uso persino degli strumenti di mercato, nell’estenderne la portata e nel facilitare il loro uso equo”.

18 T. POGGE, Freedom from Poverty as a Human Right, cit., pp. 30-33. Cfr. anche ID.,

Universalismo morale e giustizia economica globale, in “Filosofia e questioni pubbliche”, 1,

2004, pp. 53-84. “Al momento, il dibattito esplicativo è fortemente focalizzato su spiegazio- ni nazionaliste, incentrato su quali spiegazioni e quali politiche economiche nazionali pro- muovono oppure ostacolano lo sradicamento della povertà domestica. Alcuni sono a favore di mercati liberi con un minimo di tasse e regole statali (il modello delle Tigri asiatiche), al- tri per un maggiore investimento statale nell’educazione, nella sanità pubblica e nelle infra- strutture (il modello Kerala). Questo dibattito è certamente importante. Ma sarebbe anche abbastanza importante esaminare quali istituzioni economiche globali promuovono oppure ostacolano lo sradicamento della povertà nel mondo” (p. 84).

19 Cfr. T. P

OGGE, Povertà mondiale e diritti umani, cit., pp. 135-137: “Povertà e disu-

guaglianze eccessive all’interno dei paesi […] sono riconducibili in larga misura a fattori sistemici e sono quindi causalmente e moralmente imputabili alle élites influenti politica-

L’ordine istituzionale globale, secondo Pogge, può essere dunque ricollegato al permanere di povertà e disuguaglianze globali essenzialmente in due modi. In taluni casi esso può incidere sulla vita di singoli individui, contribuendo a for- mare l’ordine istituzionale nazionale entro il quale essi vivono: un esempio, in questo senso, è ravvisato nei privilegi internazionali sulle risorse naturali e sui prestiti, riconosciuti anche a governanti illegittimi ed antidemocratici, che spes- so finiscono per finanziare l’oppressione di interi paesi (cfr. § 4). In altri casi, invece, l’effetto delle norme dell’ordine istituzionale globale può incidere in modo più diretto sui singoli: esemplare in questo senso risulta il sistema dise- gnato dai trattati WTO, che permettono ai paesi più ricchi di proteggere i propri mercati da importazioni di diversi tipi di beni a basso costo (ad esempio, pro- dotti agricoli e tessili) attraverso tariffe e dazi doganali, o con abbondanti sussi- di ai produttori nazionali. Pogge ritiene che, in assenza di questi strumenti, i paesi più poveri potrebbero guadagnare annualmente circa 100 miliardi di dolla- ri, una somma confrontabile all’importo dell’ODA 20. Un ulteriore esempio di

questa seconda modalità di incidenza dell’ordine globale è individuato da Pogge nei contenuti degli accordi TRIPS, i cui membri sono tenuti a garantire, attra- verso le proprie leggi nazionali, brevetti ventennali su diversi tipi di invenzione, tra cui anche i farmaci. In questo modo, gli accordi TRIPS hanno pesantemente limitato le possibilità di accesso, da parte dei poveri, a versioni generiche ed economiche di farmaci avanzati 21.

Mediante la sua argomentazione, Pogge giunge ad isolare una domanda fon- damentale in materia di giustizia economica: “Quali vincoli morali esistono sul tipo di ordine economico globale che possiamo imporre a chi non ha con noi al- cun legame di solidarietà, fermi restando i forti vincoli che si hanno con un pic- colo gruppo, come la nazione?”. Una prima risposta è fornita enucleando alcuni fattori di cui un giudizio morale su di un ordine economico deve necessariamen- te tener conto: “la vastità della povertà assoluta, ossia quanto grave e diffusa es- sa sia; la vastità della disuguaglianza, che è una misura approssimata di quanto la povertà sia eliminabile e del costo effettivo della sua eliminazione; la tenden-

mente ed economicamente, che sostengono i relativi regimi economici nazionali” (p. 135). “Questo non esclude, tuttavia, che l’ordine economico globale non svolga anche un ruolo causale, influendo sul modo in cui la cultura di ogni paese povero si evolve e influenzando il modo in cui la storia, la cultura e l’ambiente naturale di un paese povero incidono sullo svi- luppo dell’ordine istituzionale domestico, sulla sua élite dominante, della sua crescita eco- nomica e della sua distribuzione del reddito. In questi modi, i fattori istituzionali globali pos- sono contribuire sostanzialmente alla persistenza della povertà grave in particolari paesi e nel mondo in generale” (p. 137).

20 Acronimo per Official Development Assistance, pari, nel 2008, a 119,8 miliardi di dolla-

ri. Fonte: OECD, Development Aid. Cfr. T. POGGE, Politics as usual, cit., pp. 20-21; 50-52.

za di questi due fattori, ossia in che modo povertà e disuguaglianza tendano ad aumentare nel tempo” 22.

Prendendo in considerazione questi tre fattori, Pogge fa notare come non esi- stano società nazionali solcate da disuguaglianze di entità paragonabili a quelle riscontrabili a livello globale. Questa situazione fattuale risulta coerente con le impostazioni teoriche che immaginano standard di giustizia diversi a livello na- zionale e internazionale, come accade, ad esempio, nel pensiero di John Rawls. Sono tre i livelli ai quali, secondo Pogge, Rawls utilizza un doppio standard. In primo luogo, “anche se riguardo ai regimi economici nazionali il principio di differenza fa parte della più alta aspirazione alla giustizia di Rawls”, egli, rispet- to all’ordine economico globale, “rinnega questa aspirazione e respinge anche il principio di differenza come inaccettabile”. In secondo luogo, Rawls propone “un criterio minimo di giustizia economica liberale più debole a livello naziona- le, ma sostiene che l’ordine globale possa conciliarsi meglio con le concezioni liberali della giustizia senza soddisfare questo criterio”. In terzo luogo, “sugge- risce un criterio di decenza economica a livello nazionale ancora più debole, ma anche giusto, senza soddisfare questo criterio”. Insomma Rawls, conclude Pog- ge, non riuscendo a offrire motivazioni plausibili per questo doppio standard, “si pone in contrasto con l’universalismo morale” 23, perché non riesce a dimo-

strare che la diversità di principi morali non costituisca “una discriminazione arbitraria in favore delle società ricche e contro quelle povere a livello mondia- le”. Pogge propone, dunque, di mettere alla prova tale assunto attribuendo l’onere della prova “a coloro che sono favorevoli a un doppio standard. […] Dobbiamo fornire ai poveri globali una spiegazione del perché riteniamo di ave- re il diritto di imporre su di loro un ordine economico mondiale che viola quei vincoli morali minimi che noi stessi facciamo valere per qualsiasi ordine eco- nomico nazionale” 24.

22 T. POGGE, Povertà mondiale e diritti umani, cit., pp. 117-119. 23

Pogge ritiene che una concezione morale, come concezione di giustizia sociale, possa dirsi universalistica solo se: a) essa imponga “a tutte le persone lo stesso sistema di principi morali fondamentali”; b) questi principi assegnino “gli stessi benefici morali fondamentali (diritti, libertà, poteri, immunità) e gli stessi oneri (doveri e responsabilità) a tutti”; c) questi benefici e oneri morali fondamentali siano “formulati in termini generali, in modo da non privilegiare o svantaggiare arbitrariamente determinate persone o gruppi di persone” (cfr. T. POGGE, Povertà mondiale e diritti umani, cit., p. 114).

24 Ibidem, pp. 132-134. Cfr. anche I

D., Un approccio universalistico in tema di giustizia

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