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Diritti umani, universalismo e differenze culturali di L UCA B ACCELL

3. Ritorno di Vitoria?

L’affermazione – inaugurata da Sepúlveda – della superiorità culturale della civiltà “cristiana” occidentale e del suo dovere di sottomettere le popolazioni inferiori ha costituito a lungo una strategia di legittimazione del colonialismo. Ma la teoria della guerra giusta ha finito per essere abbandonata nel diritto in- ternazionale moderno, che ha riconosciuto agli Stati sovrani in quanto tali il di- ritto di fare guerra, per così dire attribuendo loro automaticamente la “giusta causa”: non a caso, Vitoria è considerato da molti interpreti come un autore pre- moderno. Contro questa impostazione, sono state elaborate teorie per contestare la legittimità della guerra di aggressione, che nel corso del Novecento hanno trovato espressione in documenti normativi: dal trattato di Versailles (1919) al Patto Kellogg-Briand (1928), alla Carta delle Nazioni Unite (1944). Ma alla fine del secolo, con la conclusione della guerra fredda, il quadro si è modificato. In un primo momento è sembrato che le Nazioni Unite potessero finalmente assu- mere una funzione di governo globale. Negli anni successivi, tuttavia, l’accento si è spostato sulla “guerra umanitaria”. In alcuni casi è sembrato che lo stesso Consiglio di sicurezza potesse autorizzare la violazione del principio di non in- gerenza nella domestic jusrisdiction di Stati sovrani in risposta a situazioni di emergenza umanitaria, di gravi violazioni dei diritti umani; in altri casi inter- venti non autorizzati dalle Nazioni Unite sono stati presentati come “guerra giu- sta”. Con la War on Terror e l’invasione dell’Iraq del 2003 si è arrivati a stabili- re un nesso diretto tra la difesa di una serie di principi concepiti come assoluti e universali e la legittimazione di interventi che, in conformità al diritto interna- zionale, costituirebbero vere e proprie guerre di aggressione.

Questa connessione tra teoria universalistica e guerra giusta emerge, con molta chiarezza, nel documento The National Security Strategy of the United

all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle. Viene adottata, in netto contrasto con le norme della Carta delle Nazioni Unite, la dottrina della legittima difesa preventiva e quella della “controproliferazione”; si afferma che contro i rogue

states la collaborazione degli alleati è benvenuta, ma se necessario gli Stati Uni-

ti faranno da soli: “our best defense is a good offence”. Non si deve pensare che tutto ciò significhi non parlare di diritti umani; i riferimenti sono numerosi e la loro universalità viene proclamata enfaticamente e con vigore. Essi sono “right and true for every person, in every society”.

Le grandi lotte del ventesimo secolo fra libertà e totalitarismo sono finite con la vittoria decisiva delle forze della libertà, e di un unico modello sostenibile per il successo nazionale: libertà, democrazia e libera impresa. Nel ventunesimo secolo, solo le nazioni che condividono l’impegno per la protezione dei diritti umani fon- damentali e per garantire la libertà politica ed economica saranno capaci di liberare le potenzialità dei loro popoli e di assicurare la loro futura prosperità. Dovunque la gente vuole poter parlare liberamente, scegliere chi la governa, praticare la religione come preferisce, educare i propri figli – maschi e femmine –, possedere proprietà e godere dei frutti del proprio lavoro.

Insomma: ci sono dei diritti universali ed assoluti, e di fronte alla loro viola- zione non ci sono limiti all’intervento militare. A questa impostazione hanno ovviamente lavorato gli intellettuali neoconservatori vicini al governo degli Sta- ti Uniti. Ma nella riesumazione della teoria della guerra giusta, collegata – come in Vitoria – all’idea dell’esistenza di un nucleo di diritti universali, hanno gioca- to un ruolo importante intellettuali dal pedigree progressista. Come Michael Walzer (fra l’altro dottore honoris causa dell’Università di Modena e Reggio Emilia), che già nel 1977 ha pubblicato il volume Just and Unjust Wars 18 dove

si enuncia una nuova teoria morale della guerra giusta (ostile al “mondo di car- ta” del diritto internazionale e delle istituzioni internazionali), come Michael Ignatieff e come il più autorevole filosofo politico liberal, John Rawls.

Per Walzer è giusta la guerra in risposta ad un’aggressione. Ma aggressione non è solo l’attacco effettivo in corso, ma anche la concreta minaccia di aggres- sione. Walzer, insomma, legittima sul piano morale la “legittima difesa preven- tiva”. E i principi di riferimento della sua teoria etica della guerra giusta sono i diritti umani, acriticamente assunti come fondati universalmente. Tuttavia, nel caso della supreme emergency questi principi sono derogati:

18 Cfr. M. W

ALZER, Just and Unjust Wars, Basic Books, New York, 1977 (trad. it. Guer-

Quando i nostri valori più profondi sono radicalmente a rischio, i vincoli perdono la loro presa e si impone di nuovo una certa forma di utilitarismo. Io lo chiamo l’uti- litarismo dei casi estremi, e lo contrappongo alla normalità dei diritti. […] l’“emer- genza suprema” definisce questi rari momenti in cui il valore negativo che asse- gniamo – che non possiamo evitare di assegnare – al disastro che incombe su di noi svaluta la morale stessa e ci lascia liberi di fare tutto ciò che è militarmente necessa- rio per evitare quel disastro, fintantoché quello che facciamo noi non ne produca uno ancora peggiore 19.

Di fronte all’emergenza suprema cambia completamente il fondamento del- l’argomentazione morale; da un’etica deontologica si passa a un’etica conse- quenzialistica, dall’universalismo si passa al comunitarismo, dall’“assolutismo della teoria dei diritti, secondo la quale non si possono mai attaccare intenzio- nalmente degli esseri umani innocenti” alla “radicale flessibilità dell’utilitari- smo, secondo la quale l’innocenza è soltanto uno dei valori, il cui peso deve es- sere valutato rispetto ad altri” 20.

John Rawls teorizza un “diritto dei popoli” 21 che viene definito attraverso una

procedura articolata in tre stadi: in un primo momento, i popoli liberal- democratici ne stabiliscono i principi con il metodo del “velo di ignoranza”; poi vengono incluse le “società gerarchiche decenti”, che tollerano al loro interno il dissenso e rispettano i diritti umani; infine il terzo stadio, quello degli “Stati fuo- rilegge” che rifiutano di riconoscere il diritto dei popoli e verso i quali si applica la teoria walzeriana della guerra giusta. Per Rawls esiste una classe di diritti, quali il diritto alla vita, alla libertà di coscienza, alla proprietà, che non possono essere disconosciuti con la motivazione che sono caratteristici della tradizione liberale occidentale; la loro negazione è tipica degli Stati fuorilegge, rende legit- time le ingerenze ed è giusta causa di guerra. La tutela dei diritti umani diventa dunque il criterio discriminante per stabilire se un popolo o regime politico è “decente”. Uno Stato che viola tali diritti si pone, automaticamente, al di fuori del diritto dei popoli e non va tollerato dai popoli e dagli ordinamenti che, vice- versa, tutelano e proteggono tali diritti. La guerra agli Stati fuorilegge, allo scopo di salvaguardare i diritti umani, è quindi giusta e doverosa.

Con l’amministrazione Bush gli Stati Uniti hanno tentato di esportare ed im- porre unilateralmente la propria egemonia politica, militare, economica e cultu- rale, al di sopra del diritto internazionale, difensore di diritti umani in funzione

19 M. W

ALZER, Arguing about War, Yale University Press, New Haven-London, 2004

(trad. it. Sulla Guerra, Laterza, Roma-Bari, 2004, p. 41).

20 Ivi, p. 36. 21 Cfr. J. R

AWLS, The Law of Peoples with “The Idea of Public Reason Revisited”, Har-

vard College, Cambridge (Mass.), 1999 (trad. it. Il diritto dei popoli, Comunità, Torino, 2001).

dei propri interessi, assumendo quel ruolo che la teoria di Vitoria attribuiva al “principe giusto”. Nell’idea che vi siano valori assoluti – in primo luogo i diritti universali – in base ai quali gli Stati liberaldemocratici possono condurre guerre giuste in assenza di autorità superiori, le teorie “premoderne” di Vitoria sem- brano godere una clamorosa nuova attualità. Che non sembra destinata ad esau- rirsi, almeno a leggere il discorso tenuto da Barack Obama in occasione del conferimento del Premio Nobel per la pace (2009). Le discontinuità con la poli- tica e l’ideologia di Bush sono evidenti e sarebbe irresponsabile non riconoscer- le, ma l’idea della guerra giusta rimane in primo piano.

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