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Le forme della cittadinanza sessista

L’uguaglianza, i diritti umani e le donne di O RSETTA G IOLO ∗

3. Le forme della cittadinanza sessista

“L’aporia della cittadinanza delle donne è sempre lì, insuperata” 18: così scri- ve Claudia Mancina.

Numerosissimi sono oramai gli studi che pongono in tensione tra loro, evi- denziando la relazione problematica che li regge, la cittadinanza e il genere, op- pure la cittadinanza e il sesso 19.

In particolare, con riferimento ai diversi periodi storici e contesti culturali e giuridici, si sottolineano le difficoltà che le donne incontrano nel momento in cui vogliono agire i diritti e attivare tutte le dimensioni della cittadinanza (socia- le, politica, economica).

Queste difficoltà sono di varia matrice e si collocano, generalmente, su due piani distinti, connessi tra loro.

Su di un piano si pone la questione della titolarità dei diritti, intesa in senso

normativo, con riferimento cioè al fatto che esistano o meno norme che attribui-

scono i diritti senza dar luogo a discriminazioni su base sessuale. Simili pro- blematiche vengono oggi per lo più affrontate con riguardo al contesto italiano e ai paesi occidentali in una prospettiva storica, mentre rimangono questioni cen- trali e attuali in altre aree geografiche in cui vigono legislazioni fortemente lesi- ve dei diritti fondamentali delle donne 20. In questo caso, solitamente, si tendono

ad indagare le ragioni di carattere filosofico, culturale e religioso, politico e ideologico che sorreggono e legittimano le discriminazioni che permangono a danno delle donne.

Su di un altro piano si colloca la questione della titolarità effettiva di quei di- ritti di cittadinanza di cui le donne godono, ma solo formalmente. Gli studi che adottano un’ottica di genere nell’analisi sociale e politica mirano ad individuare, in quest’altro caso, le ragioni (di carattere economico, politico, culturale) che fondano quelle prassi e quelle norme che ancora non permettono alle donne di vivere in piena libertà e autonomia (pubblicamente e privatamente), di parteci- pare alla vita politica, di accedere a determinate carriere, professioni e così via. La cittadinanza viene così intesa come uno spazio pubblico ancora riservato in

18 C. MANCINA, Oltre il femminismo. Le donne nella società pluralista, il Mulino, Bolo-

gna, 2002, p. 45.

19 Da ultimo, si può vedere A.DEL RE,V.LONGO,L.PERINI (a cura di), I confini della cit-

tadinanza: genere, partecipazione politica e vita quotidiana, Franco Angeli, Milano, 2010.

20 Basti ricordare l’enorme produzione scientifica che in questi anni si è concentrata sulla

condizione delle donne nei paesi arabi e musulmani. Si vedano in proposito le numerose bi- bliografie ragionate raccolte nella rubrica Islam plurale. Diritto, politica e società della rivi- sta “Jura Gentium. Rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale” (www.juragentium.unifi.it).

   

misura maggiore agli uomini e le espressioni che al riguardo si adottano per dar conto di questa esclusione tutta al femminile sono diverse: “cittadinanza nega- ta”, “cittadinanza sessuata” e così via.

La sessuazione della cittadinanza, dunque, viene indagata soprattutto nella sua dimensione sostanziale, a partire dalle prassi e dalle norme che la consolida- no. La dimensione formale della cittadinanza invece, quella prettamente giuridi- ca, probabilmente appare come meno interessante poiché figura come oggetto di indagine superato (cittadine sono oramai da tempo anche le donne, infatti, alme- no sul piano formale). Tuttavia ritengo che valga la pena, ancora, offrire atten- zione alla dimensione prettamente formale della cittadinanza perché essa esprime al meglio la natura sessuata (al maschile) di questo istituto, natura sessuata che, a mio avviso, costituisce la ragione principale della crisi e delle tensioni che colpi- scono da tempo questo “totem” della filosofia giuridica e politica 21.

Ancora una volta, lo stimolo per ragionare sulla sessuazione dei meccanismi di accesso alla cittadinanza è offerto dalla condizione delle donne migranti, le quali contribuiscono a svelare i meccanismi che bloccano l’accesso delle donne,

ab origine, alla cittadinanza stessa.

3.1. La trasmissione ancora sessuata della cittadinanza

È noto che solo recentemente le donne hanno acquisito per legge la capacità di trasmettere ai figli la propria cittadinanza, mentre, in passato, questa possibi- lità era riservata esclusivamente agli uomini 22. Tuttavia, nonostante le riforme intercorse nel frattempo, i criteri di trasmissione e di concessione della cittadi- nanza mantengono forti connotazioni di stampo sessista.

Difatti, quale elemento determinante e qualificante l’attribuzione dello status

civitatis rileva, in via principale, la nascita: lo jus soli connette la cittadinanza al luogo della nascita, mentre lo jus sanguinis la connette allo status di chi fa na- scere il soggetto. Entrambi i criteri sono dunque legati ad un atto sessuale-

riproduttivo. Altri due criteri sono di norma utilizzati, ma per mutare uno status

civitatis già esistente: lo ius connubi e la residenza. Questi ultimi due criteri

dunque sono sussidiari e non attribuiscono la cittadinanza originariamente. Nel caso del matrimonio, la concessione della cittadinanza dipende dall’istituzione di un vincolo matrimoniale legittimo, che pure rimanda alla sfera sessuale-

21 Cfr., tra gli altri, G. BONACCHI,A.GROPPI (a cura di), Il dilemma della cittadinanza.

Diritti e doveri delle donne, Laterza, Roma-Bari, 1993; D. ZOLO (a cura di), La cittadinanza.

Appartenenza, identità, diritti, Laterza, Roma-Bari, 1994; O.GIOLO,M.PIFFERI (a cura di),

Diritto contro. Meccanismi giuridici di esclusione dello straniero, Giappichelli, Torino,

2009.

22 La cittadinanza italiana è trasmessa “per via materna” solo dal 1975, in seguito ad una

riproduttiva ed è quindi avvicinabile ai criteri dello jus soli e dello jus sangui-

nis. La residenza rileva invece come durata della permanenza di un soggetto in

un dato luogo ed è l’unico criterio, attualmente, che si allontana dalle caratteri- stiche sessuate degli altri tre: difatti, è il criterio residuale per eccellenza, quello meno “sicuro” (la concessione da parte della autorità amministrative non è per nulla scontata) e quello più complicato (le regole cambiano spesso e i requisiti per la domanda sono molti).

La trasmissione della cittadinanza, che Giovanna Zincone non esita a defini- re familistica 23, è ancora fortemente improntata, dunque, a logiche sessuate o,

meglio, sessiste. Un dato significativo a riguardo è offerto dalle statistiche ela- borate dal Ministero dell’Interno relativamente alle domande di acquisto della cittadinanza presentate di anno in anno 24. Dall’analisi delle tavole riepilogative

emerge chiaramente il fatto che l’assetto attuale dei modi d’acquisto della citta- dinanza orienta le domande in termini di genere: per le donne prevale il ricorso allo jus connubi, mentre per gli uomini prevale il ricorso alla residenza. Anche in questo modo, dunque, i ruoli tradizionali (donne-mogli e uomini-lavoratori) vengono, indirettamente, consolidati.

Modificando queste chiavi di accesso allo status civitatis sarebbe possibile, con ogni probabilità, scardinare una volta per tutte questa predisposizione “co- stitutiva” alla discriminazione che la cittadinanza si ritrova ad avere.

In questa direzione sta probabilmente lavorando l’istituto della cittadinanza europea, la quale, pur essendo ancorata alle cittadinanze nazionali e tuttora su- bordinata alle modalità di accesso alle cittadinanza statali, va progressivamente offrendo uno spazio nuovo, incredibilmente mobile (nuovi cittadini e nuove cit- tadine fanno ingresso, di continuo, in questo spazio) e principalmente fondato sui diritti (piuttosto che sulle appartenenze). È proprio la cittadinanza europea, per nulla amata dai governi nazionali, a sfuggire alle logiche sessiste sopra indi- viduate, perché contribuisce, ad esempio, a “sganciare” i soggetti dai territori, rompendo l’asse (arcaico) che lega l’individuo al territorio e al sangue (della tribù, della comunità, dello Stato).

I migranti sono individuati dagli studi filosofici e sociologici come soggetti “nuovi” della filosofia politica e giuridica 25: soggetti che muovendosi attraverso

23 G. Z

INCONE, Familismo legale. Come (non) diventare italiani, Laterza, Roma-Bari,

2006.

24 http://www1.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/temi/cittadinanza/sottotema008.

html.

25 Cfr. E. RIGO, Europa di confine. Trasformazioni della cittadinanza nell’Unione allar-

gata, Meltemi, Roma, 2007; S. BENHABIB, The Rights of the Others: Aliens, Residents, Citi-

zens, Cambridge University Press, Cambridge, 2004, trad. it., I diritti degli altri. Stranieri, residenti, cittadini, Raffaello Cortina, Milano, 2007; EAD., Another Cosmopolitanism, Ox-

   

i confini, valicando i confini, creano nuove relazioni di appartenenza ai contesti, rivendicano diritti “sganciati” dai territori e, esercitando questi diritti, si radica- no nei territori stessi. Le donne migranti, allo stesso modo, sono soggetti “dop- piamente nuovi”, perché non si riconoscono nell’asse arcaico individuo-sangue- territorio e perché, per vivere libere, proprio quell’asse devono riuscire a spez- zare.

Le donne migranti rappresentano allora le donne nuove, i soggetti nuovi per eccellenza, poiché sommano capacità ed esigenze di rottura radicali. Solo nella misura in cui noi sapremo cogliere e assecondare questo processo di trasfor- mazione sapremo trasformare la cittadinanza da ricettacolo di discriminazioni (di genere, di classe, di nazionalità, di razza, e così via) nel “luogo” dell’ugua- glianza.

3.2. L’esclusione dall’esercizio dei diritti politici e l’eccezione “familiare” A conferma della centralità, nella gestione della cittadinanza, della sfera ses- suale-riproduttiva va pure la normativa italiana in materia di diritti politici. Co- me è noto, chi ottiene la cittadinanza sposandosi con cittadino italiano alle suc- cessive elezioni politiche potrà votare. Il paradosso si rende evidente quando chi ottiene la cittadinanza italiana sposandosi con un cittadino italiano risiede non in Italia ma all’estero. In questi casi, chi acquista la cittadinanza non vive in Ita- lia, non paga le tasse italiane e conosce solo per via indiretta usi, costumi, tradi- zioni e contesti (sociali e politici). Il neo-cittadino o la neo-cittadina giurano di rispettare la Costituzione italiana come unico atto pubblico di adesione ad un sistema (giuridico, politico, e così via) che conoscono solo vagamente. Sarà suf- ficiente questo atto per giustificare l’esercizio di un diritto fondamentale che in- cide sull’assetto politico e istituzionale di un intero paese? Perché, al contrario, i migranti che vivono e lavorano in Italia da almeno 10 anni, o addirittura vi sono nati, ancora non possono nemmeno accedere alle elezioni municipali?

La spiegazione, l’unica oggettiva spiegazione di un simile trattamento diffe- renziato risiede nell’affidabilità che il legame “legittimo” coniugale attribuisce alle persone coinvolte dal vincolo “di sangue” che immediatamente si istituisce con la celebrazione dell’atto di matrimonio. L’ordinamento, pertanto, ritiene an- cora oggi più affidabile il legame parentale legittimo (anche, se, come nel caso appena citato, non vi è né residenza, né contribuzione fiscale, né interessi eco- nomici o lavorativi) piuttosto che l’investimento che il migrante compie sul ter- ritorio in cui sceglie (per le più disparate ragioni) di vivere, lavorandoci, com- prando beni, pagando le tasse, mandandovi i figli a scuola, e così via.

ford University Press, Oxford, 2006, trad. it., Cittadini globali. Cosmopolitismo e democra-

Dunque, il legame di sangue legittimo è ritenuto garanzia sufficiente dell’af- fidabilità del neo-cittadino, confermando ancora una volta la matrice familistica e, al fondo, razzista del meccanismo di trasmissione della cittadinanza.

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