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Dignità umana e diritto: un rapporto problematico

Dignità umana e diritti fondamentali: una questione di riconoscimento

1. Dignità umana e diritto: un rapporto problematico

La relazione tra dignità e diritti umani oggi può sembrare ovvia, intuitiva, specialmente dal punto di vista morale. Bisogna tener presente, però, che presso i grandi filosofi giusnaturalisti questo rapporto è stato pressoché sconosciuto 1.

All’inizio, probabilmente, il rapporto è stato molto indiretto: attraverso l’elabo- razione del concetto di “dignità dell’uomo” gli umanisti hanno fondato la cate- goria moderna di uomo, imperniata sul libero arbitrio 2 e, a partire dalla nozione

1

Cfr. E. BLOCH, Diritto naturale e dignità umana (1961), Giappichelli, Torino, 2005; vedi anche M.A. CATTANEO, Giusnaturalismo e dignità umana, Esi, Napoli, 2006.

2 Vedi G.F.P

di uomo conseguentemente libero ed uguale, i giusnaturalisti hanno elaborato i diritti umani. Una relazione diretta tra dignità e diritti non è presente nemmeno nella Metafisica dei costumi di Kant, cioè nell’opera del filosofo, che ha defini- to la “dignità umana” nei termini che la riflessione filosofica attuale prende co- me base di partenza. In effetti, solo dopo la fine della II Guerra mondiale, que- sto rapporto è stato tematizzato.

Sul piano giuridico, la relazione della dignità umana con i diritti – e in partico- lare con quelli recepiti espressamente dalle costituzioni: i diritti fondamentali – è più complessa e problematica. Per vederla esplicitata bisogna leggere il Pream- bolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, che afferma: “il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, del- la giustizia e della pace del mondo”. E nell’art. 1 della stessa Dichiarazione si legge: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti”. Anco- ra più pregnante risulta l’art. 1, comma 1 del Grundgesetz (o Legge fondamen- tale: LF) tedesco del 1949: “La dignità dell’uomo è intangibile. Rispettarla e proteggerla è obbligo di ogni potere statale”.

Se si vuole cogliere il significato di questi ed altri testi giuridici di tenore analogo prodotti dopo il 1945 3, dobbiamo tenere presente che essi reagiscono

alla terribile esperienza dello sterminio di massa perpetrato dal regime nazista contro ebrei, zingari ed altre minoranze. In sintesi, di fronte alla barbarie che ha travolto il genere umano nel XX secolo, il riferimento alla dignità umana pre- sente in questi documenti è: “Mai più!” 4. Nelle costituzioni e negli ordinamenti

contemporanei, in cui la nozione di “dignità umana” è stata recepita come con- cetto giuridico, questo ammonimento aiuta a comprendere che il motivo del ri- chiamo alla dignità ha una spiegazione storica, che prescinde del tutto da un convincimento di natura ontologica, o morale. Attraverso la garanzia del suo rispetto e della sua protezione, lo Stato democratico – a fronte di una terribile esperienza – intendeva fornirsi di strumenti giuridici per combattere lo stermi- nio di massa, la persecuzione e la discriminazione delle minoranze, la tortura

CHIGNOLI, in P.C. BORI, Pluralità delle vie. Alle origini del Discorso sulla dignità umana di

Pico della Mirandola, Feltrinelli, Milano, 2000, pp. 100-153 (con testo latino a fronte), in

part. §§ 4-6. Qui poco importa che il fine ultimo di Pico fosse la conquista di una dignità – per così dire – di secondo grado, iniziatica e sapienziale, che porterà il vero filosofo al- l’“identità finale con Dio” (P.C. BORI, op. cit., p. 35): vedi §§ 8-23.

3 Vedi, ad es., il Preambolo dei Patti internazionali sui diritti civili e politici, e sui diritti

economici, sociali e culturali, entrambi del 1966, che al I cpv. recita: “Riconosciuto che que- sti diritti derivano dalla dignità inerente alla persona umana”; e l’art. VII dell’Atto finale della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE) di Helsinki del 1975.

4 Vedi la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, Preambolo, 2. “Considerato”. A

partire da questo ammonimento si comprende il senso della formula impegnativa, concer- nente l’“intangibilità” della dignità umana presente nell’art. 1, comma 1, LF.

dei detenuti, la riduzione in schiavitù. Si trattava di situazioni oggettive, di mas- sicce offese alla libertà e all’eguaglianza delle persone, sulle quali si poteva pre- sumere l’esistenza di un consenso unanime.

Al di là di questo retaggio storico, però, è chiaro che quella di “dignità uma- na” è una nozione sovraccarica di senso morale. Nel suo libro dedicato a Diritti

e dignità umana, Umberto Vincenti distingue cinque significati di dignità: 1)

come virtù da imparare; 2) come merito acquisito; 3) come ufficio o carica; 4) come qualità intrinseca; 5) come titolo per il possesso dei diritti 5. Di questi solo

il terzo significato non rappresenta in alcun modo una nozione etica e configura il senso del termine “dignità” meno rilevante rispetto al dibattito filosofico e giuridico attuale. Inoltre, i primi due significati non collegano la dignità ai dirit- ti, piuttosto sono riconducibili ad un’elitaria etica del dovere, il quale deve esse- re adempiuto affinché il soggetto interessato (l’eroe, il saggio, il virtuoso) possa ottenere il riconoscimento dello status dignitario. Al contrario, oggi quando si parla di “dignità umana” si fa riferimento ad una nozione egalitaria, che concer- ne tutti gli esseri umani allo stesso modo, per cui vengono in considerazione le concezioni ontologiche – o, in termini più provocatori, “specistiche” – della di- gnità, che la configurano come dotazione. Questa visione della dignità accomu- na il quarto e quinto significato del termine e su di essa convergono due potenti tradizioni di pensiero: quella cattolica (l’uomo è fornito di dignità in quanto creatura di Dio) e quella kantiana (l’uomo è fornito di dignità in quanto essere morale appartenente al regno dei fini): per cui, tutti gli esseri umani sarebbero intrinsecamente forniti di dignità, o in quanto creature di Dio, oppure in quanto portatori di una comune umanità.

Su questa base ontologica, poggia la concezione della dignità umana presen- te nella Legge Fondamentale tedesca, il più importante documento costituziona- le in materia di applicazione giurisdizionale del concetto in questione. Secondo la dottrina costituzionale tedesca predominante, il comma 1 dell’art. 1 LF (“La dignità dell’uomo è intangibile”) rappresenta non un diritto fondamentale di cui il soggetto è titolare, ma una norma oggettiva, la cui validità è assoluta, indefet-

tibile. Per questo motivo, la norma non è né modificabile (ex art. 79, comma 3,

LF) e neppure soggetta ad essere bilanciata (ex art. 19, comma 1, LF) con gli altri diritti fondamentali, poiché essi stessi deriverebbero dalla dignità (art. 1,

5 U. V

INCENTI, Diritti e dignità umana, Laterza, Roma-Bari, 2009, cap. I, pp. 7-40. Per

altre ricostruzioni storiche e semantiche del concetto vedi P. BECCHI, Dignità umana, in

Filosofia del diritto. Concetti fondamentali, a cura di U. POMARICI, Giappichelli, Torino, 2007, pp. 153-181; K. BAYERTZ, Die Idee der Menschenwürde: Probleme und Paradoxien, in “Archiv für Rechts- und Sozialphilosophie”, 81, 1995, pp. 465-481, 465-473; e, sinteti- camente, F. VIOLA, Dignità umana, in “Enciclopedia filosofica”, vol. III, Bompiani, Milano,

comma 2, LF) 6. In questo modo, l’art. 1 LF stabilirebbe nella dignità umana il

“valore supremo e il principio obiettivo del diritto costituzionale positivo, che erige l’ordinamento costituzionale in quanto suo fondamento di validità giuri- dica” 7. In poche parole, per la dottrina prevalente, quella dell’art. 1 LF sembra

essere una “norma irrinunciabile” e Niklas Luhmann si è chiesto – a ragione –, se nella nostra società complessa e differenziata possa ancora esisterne una 8.

Il significato principale della dignità intesa nel senso ontologico di una carat- teristica essenziale dell’uomo, si esprimerebbe nel kantiano divieto di usare l’essere umano unicamente come un mezzo per il perseguimento di un fine, senza considerarlo anche come un fine in sé 9. Per quanto mossa dal nobile in-

tento dell’emancipazione illuministica dell’uomo, questa concezione può con- durre ad un esito paradossale: il paternalismo.

6

Infatti, l’art. 1, comma 2, LF recita: “Il popolo tedesco professa quindi i diritti umani inviolabili e inalienabili”. Il senso dell’art. 1 LF tedesca è, pertanto, che lo Stato ha il compi- to di rispettare e proteggere quella dignità intangibile che inerisce all’uomo e giustifica la sua titolarità dei diritti. Nella relazione La dignità umana nel Grundgesetz e nella Costitu-

zione italiana, presentata al convegno su La dignità dell’uomo: testo e contesto (Modena,

Facoltà di Giurisprudenza, 14 ottobre 2010), a proposito del rapporto di derivazione dei di- ritti fondamentali dalla dignità, Paolo Becchi ha sostenuto: “Fu questo il risultato a cui ap- prodò il dibattito costituente, che era partito in realtà dall’idea opposta – e cioè che la dignità si fondasse sui diritti umani – e solo nel corso della discussione si giunse a poco a poco fra il settembre del 1948 e il febbraio 1949 a rovesciare il rapporto tra i due concetti, sino alla redazione finale secondo la quale il riconoscimento dei diritti umani è una conseguenza del- l’intangibilità della dignità umana”. Come abbiamo visto alla nota 3, questa concezione è condivisa a livello internazionale, per esempio dalla 2. proposizione del Preambolo dei Patti internazionali sui diritti.

7 Sul carattere affatto problematico di questa concezione sul piano sistematico, dogmati-

co-costituzionale, e per il suo depotenziamento in senso simbolico attraverso la formula per cui la dignità rappresenta “il diritto ad avere diritti”, vedi Ch. ENDERS, Die Menschenwürde

als Recht auf Rechte – die mißverstandene Botschaft des Bonner Grundgesetzes, in Men- schenwürde als Rechtsbegriff, a cura di K. SEELMANN (ARSP Beiheft, 101), Steiner, Stutt- gart, 2004, pp. 49-61, pp. 51-59. La formula sembra sia stata coniata da H. ARENDT, Le ori-

gini del totalitarismo (1948), Einaudi, Torino, 2004, pp. 410 e 412-413, dove critica “le in-

certezze dei diritti umani”.

8 N. L

UHMANN, Gibt es in unserer Gesellschaft noch unverzichtbare Normen?, Heidel-

berg, Müller, 1993: la risposta, naturalmente, è stata negativa. Una parte consistente del di- battito sulla tortura dei terroristi nel corso di un attentato (ipotesi nota come caso del ticking

bomb) ha fatto riferimento a questo scritto: vedi, ad es.: W. BRUGGER, intervento in W. BRUGGER,D.GRIMM,B.SCHLINK, “Darf der Staat foltern?” – Eine Podiumsdiskussion (28 giugno 2001), http://www.humboldt-forum-recht.de/deutsch/4-2002/index.html; F. BELVISI,

Lo scandalo del tragico: il caso del ticking bomb, in “Ragion pratica”, 29 dicembre 2007,

pp. 399-411. In nuce, le riflessioni sulla dignità, che qui si presentano, fungevano da presup- posto inespresso dell’argomentazione sviluppata in quel lavoro.

9 Vedi I. K

ANT, La metafisica dei costumi (1798), Laterza, Roma-Bari, 1989, pt. II: Prin-

cìpi metafisici della dottrina delle virtù, I, pt. I, lb. I, cap. II, § 11, p. 294.

Infatti, la dottrina dominante intende – in senso affatto kantiano – il signifi- cato della concreta tutela della dignità garantita dall’art. 1, comma 1, LF come divieto di strumentalizzare l’essere umano, di considerarlo come un mezzo, o un oggetto utilizzabile per fini a lui estranei (c.d. “formula dell’oggetto”). Inoltre, ne La metafisica dei costumi, Kant proietta il dovere di rispettare l’umanità che c’è in ogni uomo sull’individuo stesso, in capo al quale sorge, pertanto, un do- vere verso se stesso: quello di rispettare la propria umanità 10. In conformità alla

concezione kantiana, quindi, viene attribuita – riflessivamente – una valenza

oggettiva alla “formula dell’oggetto”. Ed ecco il paradosso: l’essere umano tute-

lato nella sua dignità non sarebbe “degno” di stabilire da sé il significato della propria dignità. Il portatore della dignità sarebbe un essere umano còlto in uno stato di minorità pre-illuministica 11.

Il precipitato di una simile concezione si ritrova nella famosa sentenza tede- sca sul c.d. “peep-show” del 1981 12, o in quella francese sul “lancio del nano”

del 1995 13, la cui comune ratio è che i giudici hanno la facoltà di decidere che

cosa sia degno di quell’essere umano, la cui dignità viene tutelata. Tale decisio- ne viene presa contro il principio di autodeterminazione individuale, contro il diritto del soggetto di stabilire lo svolgimento “della sua personalità” (artt. 2 e 3,

10 Vedi I. K

ANT, La metafisica dei costumi cit., pt. II: Princìpi metafisici della dottrina

delle virtù, I, pt. I, Introduzione, §§ 1-3, pp. 271-273, e lb. I, cap. II, § 11, pp. 294-295.

11 Vedi I. K

ANT, Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo? (1784), in Che cos’è

l’illuminismo?, a cura di N. MERKER, Editori Riuniti, Roma, 1987, pp. 48-55, che si chiude

con la considerazione per cui il governo “trova che è nel proprio vantaggio trattare l’uomo … in modo conforme alla di lui dignità”.

12 Si trattava di spogliarelli che potevano essere osservati solo da apposite cabine, attra-

verso uno spioncino. Gli spettacoli sono stati ritenuti lesivi della dignità delle spogliarelliste, nonostante il fatto che esse fossero consenzienti.

13 Si trattava di un gioco che consisteva nel lanciare il più distante possibile dei nani con-

senzienti, retribuiti, in un ambiente protetto, che garantiva la loro incolumità. Sulle due sen- tenze vedi G. RESTA, La disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti della dignità (Note a

margine della Carta dei diritti), al sito http://uniba-it.academia.edu/GiorgioResta/Papers/ 273860/La_Disponibilita_Dei_Diritti_Fondamentali_Ei_Limiti_Della_Dignita_Note_a_Ma rgine_Della_Carta_Dei_Diritti_, pp. 1-33, pp. 15-29. Vedi anche H. DREIER, Bedeutung

und systematische Stellung der Menschenwürde im deutschen Grundgesetz, in Menschen- würde als Rechtsbegriff, cit., pp. 33-48, pp. 41-43, il quale sostiene, che in questi e in analo-

ghi casi si sia in presenza di una indebita espansione del ricorso alla dignità umana utilizzata come succedaneo, in mancanza di veri argomenti giustificativi. Altri parlano di “knock down argument” e di “conversation stopper, setting an issue and tolerating no further discussion” (così J. SIMON, Human Dignity as a Regulative Instrument for Human Genome Research [2000], cit. in G. RESTA, La disponibilità dei diritti fondamentali, cit., pp. 12-13 e 27). Que- ste affermazioni rinviano a quanto sosteneva N. LUHMANN, Gibt es in unserer Gesellshaft,

cit. p. 19, a proposito dei valori, cioè, che essi rappresentano dei punti di arresto della rifles- sione.

comma 2, Cost.), in forza della nozione di “indisponibilità” della dignità da par- te della persona interessata, poiché la dignità viene considerata come “valore oggettivo”. Il tutto avviene sulla base di una valutazione morale soggettiva del giudice, possibilmente rivestita del manto del “comune senso del pudore”, di quello del “buon costume”, o dell’“ordine pubblico” 14.

Questa vera e propria contraddizione performativa (“ti garantisco una dignità che non ti è lecito definire”), trae la sua origine dal travisamento del significato storico della disposizione dell’art. 1, comma 1, LF, che era quello di essere, non una norma oggettiva, ma un monito posto a “preambolo” della prima parte della Costituzione tedesca dedicata ai diritti fondamentali. E sono proprio questi ul- timi a “garantire in modo ampio e conclusivo il rispetto della dignità umana” 15.

Inoltre, una nozione ontologica della dignità umana, intesa come oggettiva

dotazione della specie umana, appronta per il diritto più problemi e paradossi di

quanti non ne risolva. In primo luogo, la disposizione dell’art. 1, comma 1, LF sull’“intangibilità” della dignità rappresenta un’asserzione che – a seconda dei casi – promette troppo o troppo poco. Alcune volte promette troppo poco. Se ci focalizziamo, con Kant, sul fatto che gli uomini si devono reciproco rispetto in virtù della loro comune umanità, allora ci possiamo accorgere, di volta in volta – soprattutto all’interno del sistema giuridico – che c’è qualcosa che non viene “preso sul serio”: gli esseri umani o la loro dignità.

Alcuni autori concordano sul fatto che il significato più profondo della tutela della dignità umana consista dell’impedire che l’essere umano venga umiliato 16.

In effetti, si può concordare con questa interpretazione, poiché l’umiliazione è una categoria così ampia, che al suo interno può rientrare ciò che comunemente viene ritenuto essere un’offesa alla dignità umana: lo sterminio, la discrimina- zione, la tortura e i maltrattamenti, eccetera. L’umiliazione è il sentimento che

14 Di recente, contro questa concezione relativa all’“autodegradazione” del soggetto in-

teressato, per cui lo Stato può costringerlo a tenere un comportamento dignitoso, vedi M. HERDEGEN, commento all’“Art. 1, Abs. 1, GG”, in Th. MAUNZ,G.DÜRIG, et al. (Hrsg.),

Grundgesetz. Kommentar, München, Beck, 2003, Rn. 29, pp. 18-19; Th. GUTMANN, Struktur

und Funktion der Menschenwürde als Rechtsbegriff, in “Preprints of the Centre for Advan-

ced Study in Bioethics”, Münster, 7/2010, pp. 4-8, dove sostiene che il principio della digni- tà designa “il fondamento del riconoscimento reciproco tra gli esseri umani in quanto titolari di diritti” (Rechtspersonen), mentre la norma dell’intangibilità della dignità serve a delineare l’ambito in cui i diritti e l’autonomia degli individui vengono tutelati in modo assoluto.

15 Così Ch. ENDERS, Die Menschenwürde als Recht auf Rechte, cit., p. 60. 16 Tra gli altri: A. M

ARGALIT, La società decente (1996), Guerini e associati, Milano,

1998, in part. pp. 73-94; J. RAZ, I valori fra attaccamento e rispetto (2001), Diabasis, Reg- gio Emilia, 2003, pp. 145-150; K. SEELMANN, La tutela della dignità umana: garanzia di

status, divieto di strumentalizzazione, oppure divieto di umiliare?, relazione al convegno su La dignità dell’uomo: testo e contesto, cit.; R. SENNETT, Rispetto. La dignità umana in un

sorge nella vittima di questi e di altri atti di degradazione, disprezzo e mancato riconoscimento. Se, però, in ultima analisi, l’offesa della dignità si concretizza nell’umiliazione, allora, innanzi tutto, ci rendiamo conto che molto spesso non ci sono conseguenze – quanto meno giuridiche – per la singola lesione della dignità altrui e neppure per il conseguente fallimento di un progetto che, se rea- lizzato, avrebbe dovuto condurre alla fioritura di una vita 17. Altre volte l’asser-

zione sull’intangibilità promette troppo: se venisse preso sul serio l’essere uma- no, o la sua dignità, o entrambi, infinite sarebbero le pretese da tutelare e le con- seguenti rivendicazioni di diritti 18.

In secondo luogo, in ragione dell’impossibilità di bilanciare la dignità del singolo essere umano – che è intangibile – sia rispetto a quella di terzi coinvolti, sia rispetto ai diritti in gioco in una determinata causa, si profilano casi intrigan- ti di natura sia teorica (come, ad es., il caso del “ticking bomb”, che pone la questione della tortura di un terrorista nell’imminenza di un attentato), sia prati- ca (come, ad es., le minacce, espresse da un funzionario di polizia, di torturare un rapitore nel tentativo di scoprire il nascondiglio della vittima, com’è avvenu- to nel caso Daschner, 2002) 19. L’ordinamento giuridico tedesco e la giurispru-

denza della Corte costituzionale federale non sono in grado di distinguere tra la dignità delle vittime innocenti e quella dei criminali. A mio parere, invece, da un punto di vista strettamente giuridico, non v’è dubbio che la dignità e la vita di persone innocenti, abbiano più valore della dignità di una persona colpevole. Sul piano normativo, il principio per cui la dignità umana è incommensurabile, è comprensibile solo come mera petizione di principio.

Infine, vi è una difficoltà di sistema intrinseca all’ordinamento giuridico: è innegabile che – se la dignità fosse presa sul serio – esisterebbe un’antitesi insa- nabile tra “rispetto e protezione” della dignità e sistema del diritto penale. A

17 Collega fioritura della vita e dignità umana, per il tramite del soddisfacimento dei bi-

sogni, M.C. NUSSBAUM, Giustizia sociale e dignità umana. Da individui a persone, il Muli- no, Bologna, 2002, in part., pp. 36-37, e cap. II.

18

È questo il caso quando la giurisdizione, molto ingenuamente, prova a prendere sul se- rio l’aspetto soggettivo dell’intangibilità della dignità umana, cosa questa criticata da H. DREIER, Bedeutung und systematische Stellung, cit., pp. 40-41 e 43, come “trivializzazione”

e riduzione della dignità “a spiccioli”: i casi in questione sono, ad es., bagatelle, come quelli sulla errata grafia del nome, sul vestire un costume sul luogo del lavoro, sul rivolgersi con il “tu” agli studenti, sulla punizione di un soldato che faceva scuola guida, consistente nel puli- re cartelli stradali già netti; oppure casi appena più rilevanti come quello su una scioccante pubblicità della Benetton, o sull’apostrofare come “Ossis” gli abitanti delle regioni orientali della Germania. Eppure, nonostante il pericolo di banalizzare la dignità umana, almeno in un certo senso il suo aspetto soggettivo dovrebbe essere preso sul serio.

19 Sul caso teorico, mi permetto di rinviare a F. B

ELVISI, Lo scandalo del tragico, cit.; sul

caso pratico vedi R.D. HERZBERG, Folter und Menschenwürde, in “Juristenzeitung”, 7/2005,

rigore, qualsiasi punizione anche solo restrittiva della libertà – e non solo le “pene o [i] trattamenti inumani e degradanti” 20 – umilia la persona e ne lede la

dignità, ma ciò avviene in modo eclatante con l’ergastolo e la pena di morte, che non rispondono neppure ai fini rieducativi cui dovrebbero tendere le pene (vedi, ad es., art. 27, comma 2, Cost.) 21. Questo contrasto intriga i giuristi pena-

listi, che – forse con un certo imbarazzo – sono costretti a trovare una soluzione

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