4. I limiti e le procedure richieste dalla normativa vigente
4.1 L’acquisto di azioni proprie
4.1.4 La disciplina dei quorum
Uno degli aspetti che aiuta a comprendere in che termini le azioni proprie in portafoglio possano influire sulla volontà sociale è la loro computabilità ai fini delle norme che disciplinano le maggioranze assembleari.
La regola della computabilità o meno delle azioni proprie non può prescindere dalla circostanza che ad esse sia inibito il diritto di voto, atteso che la regola generale statuisce che: «Possono intervenire all’assemblea coloro ai quali spetta il diritto di voto» (art. 2370 co. 1 c.c.).
Le azioni prive del diritto di voto possono essere suddivise in due gruppi, a seconda del peso che l’assenza del diritto di voto riveste per esse: da un lato troviamo le azioni prive del diritto di voto ab origine e in modo assoluto (azioni senza diritto di voto, azioni a voto limitato o subordinato ex art. 2351 co. 2, azioni di godimento cui non sia attribuito il voto), dall’altro le azioni cui astrattamente spetterebbe il diritto di voto ma che risultano temporaneamente inabilitate a tal fine per vicende diverse680 (azioni del socio in mora, azioni rientranti in un patto parasociale non adeguatamente pubblicizzato); per le prime vige la regola generale di cui art. 2370 co. 1 c.c. ed esse sono escluse dal computo delle maggioranze; mentre per le seconde il comma terzo dell’art. 2368 c.c. ne impone il computo «ai fini della regolare costituzione dell’assemblea».
Vediamo ora in che termini il trattamento delle azioni proprie si distingue da quello spettante alle altre azioni prive di diritto di voto, ricordando fin d’ora che il mancato computo delle azioni proprie nelle maggioranze produce l’effetto di incrementare proporzionalmente il peso e il valore delle partecipazioni degli altri soci, consolidando le posizioni di potere di chi detiene una partecipazione di maggioranza relativa681.
La dottrina682 e la giurisprudenza683 anteriori al d.p.r. 30/1986, in assenza di un’esplicita previsione normativa, ritenevano che delle azioni proprie non si dovesse
680 C. UNGARI TRASATTI, op. cit., 171.
681 Riassume questo concetto E. SABATELLI, Acquisto di azioni proprie da parte della società
emittente, in La seconda direttiva CEE in materia societaria, a cura di L. Buttaro – A. Patroni Griffi,
Milano, Giuffrè, 1984, 279 ss.: «Se una certa percentuale di titoli viene sottratta alla circolazione ed acquisita dalla società, questo evento si riflette sulle partecipazioni dei soci residui che (…) subiscono sotto il profilo amministrativo un incremento di valore proporzionale alla percentuale dei titoli acquisiti».
682 A. GRAZIANI, Diritto delle società, Napoli, 1962, 300; G. FRE’, Società per azioni, in
tenere conto in alcun modo: la relazione al Codice Civile del 1942 affermava infatti che con l’art. 2357 c.c. il Legislatore si proponeva di evitare che gli amministratori potessero, mediante le azioni proprie, crearsi una maggioranza «comoda» a spese del patrimonio sociale; considerazione che quindi supportava la sospensione del diritto di voto684. Sulla scorta della considerazione che le azioni proprie non risultassero nominativamente intestate a singole persone (fisiche o giuridiche) e non potessero esercitare il diritto di voto, la giurisprudenza si era espressa in modo negativo circa la loro computabilità sia nei quorum costitutivi che deliberativi685. La dottrina supportava questa interpretazione motivandola con vari argomenti: secondo una prima interpretazione686 il capitale sociale era sostanzialmente rappresentato solo dalle azioni in circolazione e dunque solo di queste ultime risultava opportuno tenere conto ai fini del computo delle maggioranze; secondo altri687 la sospensione dei diritti, in primis del voto, prevista per le azioni proprie testimoniava la loro incapacità di influire sulla formazione della volontà sociale; secondo una diversa prospettiva688 l’eventuale computo delle azioni proprie avrebbe esposto alcune società alla paralisi assembleare.
Con l’introduzione dell’art. 2357-ter c.c. ad opera del d.p.r. 10 febbraio 1986, n. 30, il Legislatore si è invece espresso in senso opposto rispetto all’orientamento previgente, sancendo che: «Il diritto di voto è sospeso, ma le azioni proprie sono tuttavia computate nel capitale ai fini del calcolo delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni
LIZZA, op. cit., 50; A. DE GREGORIO, L’ acquisto delle azioni di una società anonima per conto della
stessa società e l'art. 144 cod. di commercio, in Studi di Diritto Commerciale in Onore di Cesare Vivante, I, Roma, 1931, 393; G. CARCANO, Riscatto di azioni e azioni riscattabili, in Banca, borsa e titoli di credito, 1983, II, 506 ss.
683 App. Torino, 6 giugno 1949, in Giurisprudenza italiana, 1949, I, sez. 2, 584; Trib. Udine, 3
gennaio 1985, in Diritto fallimentare e delle società commerciali, 1985, II, 496; Trib. Milano, 17 aprile 1982, in Banca, borsa e titoli di credito, 1983, II, 506.
684 E. E. BONAVERA, Computo delle azioni proprie ai fini del calcolo delle maggioranze in
assemblea, in Le società, 2012, 1283.
685 Trib. Udine, 3 gennaio 1985, in Diritto fallimentare e delle società commerciali, 1985, II, 496: «Dette azioni, pur essendo state emesse e liberate, non sono assegnate nominativamente a singole persone fisiche o a persone giuridiche, ma figurano in capo alla “massa dei soci” e, conseguentemente, non essendo individuabile il soggetto attivo che deve esprimere il voto, non possono essere ammesse alla votazione».
686 A. DE GREGORIO, op. cit., 393.
687 G. FRE’, op. cit., 259; G. CARCANO, op. cit., 510. 688 G. FRE’, op. cit., 260.
dell'assemblea». Questa nuova considerazione delle azioni proprie rivela una maggiore attenzione per la tutela delle minoranze, che potevano in passato assistere ad una modifica del «peso organizzativo» delle partecipazioni attuata con l’investimento (in azioni proprie) di risorse comuni689 che permetteva il rafforzamento dei soci di maggioranza relativa690. Il cambiamento di prospettiva era stato però attenuato dall’introduzione di un limite quantitativo alle azioni proprie acquistate (che nel testo del d.p.r. 30/1986 non potevano superare il decimo del capitale sociale): in questo modo si evitava di giungere a situazioni di “stallo assembleare” dovute all’acquisto di una considerevole quota del capitale in azioni proprie691.
Il rischio di paralisi assembleare per le società che abusino dell’acquisto di azioni proprie si ripresenta però oggi, dopo che con d.lgs. 4 agosto 2008, n. 142 è stato eliminato ogni limite quantitativo per le società che non fanno ricorso al capitale di rischio (mentre il limite è stato incrementato al 20% del capitale per le società aperte): potrebbe dunque accadere ad una società chiusa, qualora essa venga in possesso di almeno il 50% delle azioni dotate di diritto di voto e non abbia autorizzato (contestualmente all’acquisto) gli amministratori a procedere all’alienazione delle
689 G. PARTESOTTI, Le operazioni sulle azioni, in Trattato delle società per azioni, diretto da G. E. Colombo – G. B. Portale, 2*, Torino, 1991, 440; N. DE LUCA, La società azionista e il mercato dei
propri titoli, Torino, 2012, 180 (nota n. 16).
690 Cass. civ., 16 ottobre 2013, n. 23541, (inedita): «L'estensione della base di calcolo dei quorum assembleari alle azioni proprie della società, introdotta, come si è detto, dal D.P.R. n. 30 del 1986, ha lo scopo di evitare vantaggi per gli amministratori e i soci di maggioranza relativa, dato che quanto minore è la base di calcolo della maggioranza, tanto più agevole è il controllo dell'assemblea»; G. MARGIOTTA – S. PUGLISI, Riflessioni in tema di azioni proprie, in Rivista del
notariato, 2009, III, 795; M BIONE, Sub. art. 2357-ter, in Società di capitali. Commentario, a cura
di G. Nicolini – A. Stagno d’Alcontres, Napoli, Jovene, 2004, 374 conferma che la regola del computo evita che «il potere di quanti detengono il controllo (…) per effetto della riduzione del numero di azioni occorrenti per la valida costituzione e per le deliberazioni delle assemblee e per l’assunzione delle relative delibere» risulti ampliato.
691 Il limite del 10% infatti «per la sua relativa modestia, non è tale da mettere in difficoltà il funzionamento dell’assemblea»: così F. CARBONETTI, op. cit., 139; N. DE LUCA, op. cit., 179; conferma l’accortezza del Legislatore anche la Cassazione in Cass. civ., 16 ottobre 2013, n. 23541 (inedita): «Lo scopo di evitare vantaggi per gli amministratori e i soci di maggioranza relativa (…) però, non viene perseguito ad ogni costo dal legislatore del 1986, essendo prevalente rispetto ad esso il fine di evitare situazioni di stallo, per l'impossibilità di formare una maggioranza, rispetto a decisioni da cui dipende la stessa sopravvivenza della società, quali l'approvazione del bilancio e la nomina delle cariche sociali, di competenza appunto dell'assemblea ordinaria».
medesime, di trovarsi «ipso facto in una situazione di stallo giuridico»692, non potendo l’assemblea assumere qualsivoglia decisione, inclusa la rivendita o l’assegnazione gratuita delle azioni; l’impossibilità di deliberare costituisce una causa di scioglimento della società ex art. 2484 c.c.693 costringendo gli amministratori a rivolgersi al Tribunale affinché provveda con decreto alla nomina dei liquidatori e alle relative modalità ex art. 2487 c.c.694.