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Distanze e velocità

Tra i maggiori progressi realizzati nel XIX secolo sono ancora da citare la prima parallasse stellare misurata da Bessel, nel 1838, e l’applicazione dell’effetto Dop-pler agli spettri stellari per ricavare la velocità dei corpi celesti. Vale la pena di sof-fermarci un poco su queste due tecniche di misura, alle quali ci richiameremo spesso in seguito.

Friedrich Wilhelm Bessel (1784-1846), tedesco di Minden-Ravesberg, non aveva studi universitari alle spalle. La forte passione per l’astronomia e l’innata predisposizione per la matematica lo por-tarono giovanissimo, nel 1804, ad appli-carsi al calcolo dell’orbita della cometa di Halley, di cui seppe migliorare i parametri orbitali. Heinrich W. Olbers, uno degli astronomi più influenti del Paese, al quale Bessel aveva sottoposto i risultati per averne un parere, fu così impressionato da quel lavoro da invitare il giovane ad ab-bandonare il tranquillo impiego nella ma-rina commerciale e a diventare assistente astronomo presso l’Osservatorio Lilien-thal, vicino a Brema.

Qui Bessel si applicò all’analisi delle osservazioni dell’Astronomo Reale in-glese James Bradley, effettuate quasi un secolo prima, ma mai pubblicate, e ne estrasse un catalogo stellare che riscosse notevole interesse: gli astronomi restarono ammirati per la precisione delle posizioni stellari ricavate e per certe brillanti soluzioni matematiche adottate nella riduzione dei dati. Ciò gli valse la nomina a sovrintendente dell’erigendo Osservatorio di König-sberg, di cui in seguito ricoprì la carica di direttore, fino alla morte.

Fu proprio a Königsberg che Bessel realizzò la misura per la quale passò alla storia.

Voleva misurare la distanza di una stella ed era particolarmente interessato alla 61 Cygni, un sistema binario poco appariscente, a malapena visibile a occhio nudo sotto cieli tersi e bui, eppure estremamente interessante per due motivi.

Il primo è che si sposta sulla volta celeste molto velocemente (per gli standard astro-nomici): tra le stelle allora conosciute, la 61 Cygni era quella che esibiva il maggior moto proprio, circa 5"/anno, tanto da meritarsi l’appellativo di “Stella Volante” da parte di Giuseppe Piazzi, direttore dell’Osservatorio di Palermo. Un così rapido spo-stamento angolare doveva essere sintomo di una notevole vicinanza: se infatti due stelle si muovono alla stessa velocità lineare e l’una dista dal Sole il doppio dell’altra, trascorso un certo lasso di tempo noi vedremo che la più vicina si è spostata sulla volta celeste di un tratto che è il doppio di quello dell’altra. Gli spostamenti lineari sono i medesimi, ma traguardati da una diversa distanza appaiono angolarmente diversi. Una stella che ha un grande moto proprio è perciò probabile che sia anche vicina, altrimenti bisognerebbe pensare che si muove a una velocità irrealisticamente elevata. E, se è

Friedrich Wilhelm Bessel (1784-1846) per primo misurò la distanza di una stella con il me-todo della parallasse.

vicina, l’effetto di parallasse sarà più marcato, e più facilmente misurabile. Questo il motivo che rendeva appetibile la 61 Cygni agli occhi di Bessel. Il secondo motivo è che nello stesso campo telescopico compaiono altre stelline, molto più deboli e vero-similmente molto più lontane, che ben si prestano a fare da riferimento per una misura di parallasse differenziale, del tipo di quelle che Herschel si era illuso di poter eseguire sulle stelle doppie.

Bessel alla fine ebbe successo: misurò una parallasse corrispondente a una distanza di circa 3 pc (oggi sappiamo che il valore corretto è 3,5 pc, ovvero 11,4 anni luce). Di lì a poco, sarebbero state misurate le parallassi anche di Vega e di alfa Centauri, ed entro la fine del secolo già si disponeva di cataloghi con parecchie decine di stelle di distanza nota. Gli strumenti e le tecniche del tempo consentivano di rilevare angoli parallattici non più piccoli di qualche decimo di secondo d’arco, e ciò permetteva di rilevare la distanza di stelle fino a un centinaio di anni luce, ma non più in là.

Finalmente, dopo tre secoli di vani tentativi, si aveva dunque almeno un’idea di quali fossero le distanze con cui gli astronomi si dovevano confrontare. Erano distanze davvero grandi. Le stelle più prossime al Sole risultavano essere da dieci a cento volte più lontane di quanto Keplero e Newton avevano immaginato fosse l’estensione del-l’intero sistema stellare.

Abbiamo più sopra parlato di velocità stellari e allora chiariamo come possono es-sere misurate.

velocità tangenziale velocitàradiale velocità

spaziale stella

Terra

La velocità spaziale di una stella può essere scomposta in due componenti: la velocità tangenziale, sul piano del cielo, e la velocità radiale, nella direzione Terra-stella. Quest’ultima può essere mi-surata direttamente, in km/s, grazie all’effetto Doppler. La prima viene mimi-surata a partire dal moto proprio, che è lo spostamento angolare annuo della stella sul piano del cielo, se si conosce la di-stanza della stella.

Le stelle, come tutti gli oggetti del mondo che ci circonda, si muovono in uno spazio tridimensionale e quindi la velocità, così come la posizione, viene descritta da tre com-ponenti: due di queste si adagiano sul piano del cielo e insieme contribuiscono a quella che si chiama componente tangenziale della velocità; la terza componente è diretta lungo la congiungente Terra-stella ed è detta velocità radiale. Non c’è modo di conoscere per via diretta il valore della componente tangenziale, espresso in km/s; invece, si può mi-surare lo spostamento angolare annuo della stella sulla volta celeste, che è detto moto proprio, anche se non si tratta di un esercizio del tutto agevole, soprattutto se la stella è lontana. I valori tipici da misurare sono infatti dell’ordine di qualche secondo d’arco al-l’anno per le stelle più vicine e dunque, prima che venisse introdotta la fotografia, oc-correvano ottimi strumenti, una buona dose di pazienza e misure di posizione precise, ripetute per molti anni. Dopotutto, anche la velocissima 61 Cygni di Bessel impiega quasi quattro secoli a percorrere in cielo un tratto lungo quanto il diametro della Luna Piena. Il moto proprio viene misurato in secondi d’arco all’anno: per convertirlo nella componente tangenziale, espressa in km/s, bisogna conoscere la distanza a cui la stella si trova.

Se la misura del moto proprio richiedeva impegno e costanza, quella della velocità radiale era invece diventata possibile grazie alla spettroscopia e al fenomeno fisico noto come effetto Doppler, scoperto a metà del secolo da Christian Doppler e, indipendente-mente, da Hyppolite Fizeau. Si tratta di quel fenomeno che riguarda le onde sonore e che fa sì che il fischio di un treno che si sta avvicinando alla stazione ci sembri più acuto di quando il treno, dopo esserci passato davanti, si allontana veloce. L’onda sonora viene infatti avvertita con una frequenza diversa se la sorgente del suono si avvicina oppure si allontana dall’osservatore. Fizeau scoprì che lo stesso fenomeno interessa pure le onde elettromagnetiche, come è la luce; si basa proprio sull’effetto Doppler-Fizeau il telelaser che la Polizia Stradale utilizza per rilevare la velocità di un’auto che si avvicina o si al-lontana dalla pattuglia, generalmente appostata in fondo a un rettifilo.

Se una stella emette luce di lunghezza d’onda λ0(per esempio, λ0= 656,3 nm, che è una riga spettrale caratteristica dell’idrogeno) e se quella riga viene ricevuta dall’osser-vatore terrestre a una lunghezza d’onda maggiore (per esempio, λ = 656,7 nm), si può essere certi che la stella si sta allontanando da noi; in tal caso, nel gergo degli astronomi si dice che la riga è “spostata verso il rosso” (in inglese, si parla di redshift): ciò perché il rosso è il colore delle radiazioni di maggiore lunghezza d’onda nello spettro visibile.

Se invece la stella si avvicinasse, la lunghezza d’onda ricevuta sarebbe minore di quella all’emissione (per esempio, λ = 655,9 nm), e allora avremmo uno spostamento verso il blu (blueshift). Ma non solo: la differenza (λ – λ0) tra le lunghezze d’onda alla ricezione e all’emissione fornisce il preciso valore della componente radiale della velocità (vr) a cui si muove la stella, espresso in km/s, secondo la formula:

vr= c · (λ – λ0) / λ0= c · z

dove c è la velocità della luce (300mila km/s) e con z abbiamo indicato la variazione relativa della lunghezza d’onda: z = (λ – λ0) / λ0. Nel nostro esempio:

vr= 300.000 · (656,7 – 656,3) / 656,3 = 183 km/s oppure, nel caso della stella in avvicinamento:

vr= 300.000 · (655,9 – 656,3) / 656,3 = –183 km/s

(2.1)

Come si vede, il modulo della velocità è lo stesso; cambia solo il segno, a indicare il verso del moto: negativo in avvicinamento, positivo in allontanamento. In questo caso, il parametro z vale z = 0,000609 e, se le velocità non sono troppo elevate, rap-presenta la frazione della velocità della luce a cui la sorgente si muove. Qui la velocità della stella è modesta, solo circa 6 decimillesimi di quella della luce. Si possono però incontrare velocità parecchio più elevate, generalmente in situazioni estreme come quelle offerte da esplosioni stellari, da moti orbitali di stelle attorno a buchi neri o da getti gassosi emessi da sorgenti particolarmente energetiche: in tali circostanze, se i moti sono relativistici, ossia se le velocità sono comparabili con quella della luce, la relazione (2.1) dev’essere sostituita da un’altra un poco più complessa, che trala-sciamo di menzionare.

Un’ultima avvertenza. Più sopra si è dato per scontato che l’osservatore fosse fermo e che fosse la stella a muoversi: in linea di principio, potrebbe anche capitare il contrario, con la stella ferma e l’osservatore in moto, oppure una combinazione delle due situazioni. In altre parole, la formula (2.1) calcola la velocità relativa tra sorgente e osservatore. Quando l’astronomo vuole ricavare la velocità effettiva di una stella, deve fare il conto al netto di tutte le velocità a cui egli stesso è soggetto (il moto orbitale della Terra attorno al Sole, quello del Sole attorno al centro della Ga-lassia ecc.). E, in ogni caso, rimarchiamolo ancora, ciò che si misura non è la velocità spaziale di una stella, ma solo la sua componente radiale, in direzione della Terra, in allontanamento o in avvicinamento. Per avere la velocità spaziale, occorre combinare con il teorema di Pitagora la componente radiale e la componente tangenziale (desu-mibile dal moto proprio).

La sorgente (S) di un treno d’onde sulla superficie di un liquido si sta muovendo a velocità v verso destra. A un osservatore che sta a destra della sorgente le creste giungeranno distanziate di una lunghezza D) che è minore della lunghezza d’onda all’emissione; per un osservatore a sinistra la lunghezza d’onda sarà invece maggiore (λS). È l’effetto Doppler.