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Non solo stelle

Una ventina d’anni dopo, nei primi anni del nuovo secolo, Herschel era ben conscio di quanto rozze fossero state le ipotesi alla base del suo lavoro. Del fatto che le stelle non avessero tutte la stessa luminosità intrinseca si è già detto: il suo catalogo di sistemi binari lo testimoniava esemplarmente. Quanto all’omogenea distribuzione spaziale, erano le

Il contorno del sistema stellare in cui viviamo secondo Herschel, ricostruito con il metodo dei “conteggi stellari”. La mappa fu pubblicata nel 1785.

osservazioni degli ammassi stellari a smentirla.

Ci sono regioni celesti occupate da raggruppamenti di stelle di alta (ammassi aperti) o altissima (ammassi globulari) densità: Herschel ne aveva scoperti a centinaia. La sua vecchia ipotesi (maggiore densità, maggiore profondità) lo avrebbe costretto a immagi-nare che in quelle regioni il sistema stellare presentasse lunghe e sottili sporgenze, come le spine di un riccio, il che gli sembrava poco verosimile. Ormai si era fatta strada in lui la convinzione che il suo lavoro pionieristico doveva essere riguardato come l’apripista, ma niente di più, con tutti i limiti e le approssimazioni tipiche delle ricerche volte ad in-dicare a chi verrà quali sono le nuove strade da battere.

Qualche anno prima che William Herschel avviasse il suo programma di scandaglio sistematico del cielo, in Francia Charles Messier aveva pubblicato un catalogo di un cen-tinaio di “oggetti nebulosi”, intendendo con questo termine tutte le sorgenti celesti che non si presentano puntiformi come le stelle, ma con un diametro angolare apprezzabile, con aspetto diffuso, scarsamente luminoso, come sfocato. Messier non aveva studi scien-tifici alle spalle. Era entrato come addetto di segreteria nel piccolo e poco influente Os-servatorio privato diretto dall’astronomo Joseph-Nicolas Delisle e lì, poco per volta, aveva sviluppato la passione per le osservazioni telescopiche di comete. In particolare, egli fu il primo in Francia ad osservare la cometa di Halley nel suo ritorno previsto per il 1758-59 e per questo ebbe molti onori. La sua fama crebbe negli anni successivi, a seguito della scoperta di 21 comete e dell’osservazione sistematica di altre 23.

Nell’agosto 1758, mentre seguiva l’evoluzione di una grande cometa (la De la Nux) che stava attraversando la costellazione del Toro, nei pressi della stella zeta Tauri scorse un oggetto nebuloso abbastanza simile alla cometa nell’aspetto, ma che cometa non era perché se ne stava assolutamente immobile, sempre nella stessa posizione. Era la Nebu-losa Granchio, un celebre resto di supernova noto anche con la sigla M1, essendo il primo degli oggetti del Catalogo che Charles Messier quella sera stessa decise di com-pilare: lo scopo era di offrire ai colleghi uno strumento di consultazione che evitasse di prendere cantonate, avendo sperimentato lui stesso quanto fosse facile confondere con una cometa un oggetto diffuso di natura non meglio precisata, appartenente non al Si-stema Solare, ma al siSi-stema siderale.

A M1 seguì M2, un ammasso globulare, e poi ammassi aperti, come M6, nebulose, come M8, nebulose planetarie, come M27, galassie, come M31: nel Catalogo di Messier, che gli astrofili dei giorni nostri ben conoscono e utilizzano, sono registrati tutti gli oggetti non stellari, diffusi e relativamente brillanti, che si rendono visibili o a occhio nudo, op-pure attraverso piccoli strumenti. Nella prima edizione del 1774 la lista si fermava a M45 (le Pleiadi). L’ultima edizione (1781) contava 103 sorgenti diffuse e altre 7 furono aggiunte dopo la morte dell’autore, per un totale di 110. William e Caroline Herschel pensarono bene di proseguire a modo loro, con puntigliosa sistematicità, la schedatura delle sorgenti celesti non stellari.

A Messier premeva di escludere la natura cometaria di questi oggetti. Ad Herschel di comprendere quale fosse la loro vera natura. Messier prendeva nota della loro presenza solo quando, per puro caso, si imbatteva in qualcuno di essi. Herschel si era votato a un programma di scandaglio completo della volta celeste, per registrare tutti quelli che i suoi telescopi gli rivelavano. A partire dal 1782 e per vent’anni, fino al 1802, con la fidata sorella compilò un catalogo uscito in varie edizioni che alla fine contava circa

2500 sorgenti non stellari; il figlio di William, John, lo ereditò, lo ampliò e infine, attorno al 1880, John Dreyer lo completò: ora il catalogo è noto come New General Catalogue (in sigla, NGC) e contiene quasi 8000 oggetti. Per esempio, M1 è anche NGC 1952;

M13 è anche NGC 6205; M42, la Grande Nebulosa d’Orione, è anche NGC 1976.

Nebulae

Messier chiamava genericamente nebulae, alla latina, questi strani batuffoli luminosi.

Herschel, dopo averne scoperti un migliaio, si rese ben conto che un solo termine non poteva descrivere la straripante ricchezza di oggetti, così diversi per forma, colore, di-mensioni, brillantezza, che il telescopio gli mostrava.

L’ipotesi originariamente assunta dell’omogenea distribuzione spaziale delle stelle venne smentita dalle osservazioni degli ammassi stellari che Herschel andava scoprendo a centinaia. Almeno in quelle regioni, la densità di stelle era ben maggiore della media. Nella foto, l’ammasso aperto NGC 6791, nella co-stellazione del Cigno. (DSS, STScI/AURA, Palomar/Caltech, UKSTU/AAO)

Tanto per incominciare, sono davvero nebulose, oppure semplicemente appaiono tali?

Sono cioè costituite da un “fluido luminoso di natura sconosciuta”, per usare le sue pa-role, oppure sono agglomerati di stelle così densamente ammassate e così lontane che la nostra vista non riesce a distinguerle singolarmente?

Per Messier erano tutte ugualmente nebulae sia M45, le Pleiadi, che M42, la Grande Nebulosa d’Orione, o M13, l’ammasso globulare in Ercole, o M27, la Nebulosa Anello.

Può essere che tali possano apparire a chi ha una vista poco acuta, o a chi usi telescopi di bassa qualità e di scarso potere risolutivo, ma Herschel vedeva bene le differenze pro-fonde tra i quattro oggetti. Le Pleiadi sono un ammasso stellare sparso, di quelli che oggi chiamiamo ammassi aperti, che già a occhio nudo mostra una mezza dozzina di com-ponenti e ne rivela decine al telescopio. La Nebulosa d’Orione ha invece un’apparenza

“lattiginosa” per la gran parte della sua estensione, e sembrerebbe perciò una vera ne-bulosa, anche se qua e là si distinguono alcune stelle. L’ammasso in Ercole, descritto da Messier in modo categorico come “una nebulosa che sicuramente non contiene stelle”, è invece proprio un agglomerato stellare del tipo che oggi chiamiamo ammasso globu-lare, al cui centro gli astri si addensano così strettamente da conferirgli un aspetto omo-geneo e diffuso. Infine, la Nebulosa Anello, nella costellazione della Lira, è diversa dagli altri per il fatto di mostrare una nebulosità anulare, con un “buco” scuro nella parte cen-trale, occupato solo da una debole stellina (Herschel non la vide, ma altri sì). È una ne-bulosa planetaria, che Herschel interpretò come una stella nascente: al contrario, oggi sappiamo che si tratta di una stella alla fine dei suoi giorni.

In un primo tempo, Herschel provò a classificare le nebulae in varie classi e categorie.

Poi però cedette a una visione unitaria per la quale, andando dalle Pleiadi alla Nebulosa d’Orione, vi sarebbe una vasta gamma di morfologie che sfumano con gradualità l’una nell’altra, tanto che “ogni gradino intermedio vi è rappresentato”. E qual era la comune natura di tutti questi oggetti? Erano tutti aggregazioni di stelle. Stelle singolarmente ben visibili negli ammassi più sparsi e più vicini al Sole, ma che si confondono in un’indi-stinta nebulosità negli ammassi più compatti e lontani. Così Herschel la pensò fin verso la fine degli anni Ottanta del suo secolo, probabilmente influenzato dall’idea di Kant che le nebulae che gli astronomi stavano scoprendo erano altrettante galassie, simili per natura e dimensioni alla Via Lattea, ma esterne a essa e poste a grandissime distanze.

Era la famosa teoria degli “universi-isole”. Del resto, se la Nebulosa d’Orione non è ri-solvibile in stelle per via della grande lontananza, eppure si presenta in cielo con un’esten-sione angolare paragonabile a quella di dieci Lune Piene, deve avere dimensioni lineari davvero smisurate, che potrebbero ben confrontarsi con quelle della nostra Galassia.

Poi, però, Herschel cominciò a ripensare criticamente alla sua convinzione, e pare che a insinuare il dubbio fu l’aspetto delle nebulose che egli stesso aveva battezzato “pla-netarie” nei suoi primi cataloghi, per indicare che si trattava di sorgenti piccole, tonde e diffuse, dall’aspetto non troppo diverso da quello di un pianeta osservato con il telescopio non perfettamente a fuoco. Descrivendo la planetaria NGC 1514, nella costellazione del Toro, che aveva scoperto nel 1790, scriveva tra le altre cose: “Fenomeno assai singolare!

Una stella di magnitudine 8 con un’atmosfera debolmente luminosa di forma circolare [...] Non v’è dubbio che vi sia una connessione tra le due [...]”, visto che la stella se ne sta esattamente al centro del cerchio. “L’atmosfera è così tenue e di uniforme luminosità in tutta la sua estensione, che non si può pensare sia costituita da moltitudini di stelle.”

Conclusione perfettamente logica: se c’è un legame fisico tra la stella centrale e l’atmo-sfera attorno, vuol dire che la distanza è la stessa, e se la stella centrale è risolvibile dal telescopio, perché non dovrebbero esserlo le altre eventuali costituenti l’atmosfera estesa?

Così, si fece strada in lui una nuova convinzione: che ci fossero nebulae risolte in stelle, nebulae di stelle che però non sono risolte perché molto lontane e nebulae fatte di quel non meglio precisato e misterioso “fluido luminoso”.

Curiosamente, restò dell’idea che le nebulae non risolte fossero altrettanti universi-isole, di taglia comparabile con quella della Via Lattea ed esterni ad essa, pur se la loro distribuzione sulla volta celeste avrebbe potuto fargli sorgere qualche dubbio. Si era in-fatti accorto che quegli oggetti sono presenti soprattutto nelle regioni di cielo lontane dal piano della Via Lattea. Il dubbio, legittimo, doveva essere il seguente: se sono oggetti esterni alla Via Lattea, e indipendenti da essa, perché mai assecondano una distribuzione la cui legge è dettata dalla posizione in cielo della Via Lattea? Allora in qualche modo dipendono da essa. Non è un controsenso?

In effetti, oggi sappiamo che le nebulae di stelle non risolte, le galassie, non vengono scorte dentro la zone of avoidance (la “zona d’assenza”, o “zona d’ombra galattica”), come gli inglesi chiamano la regione dentro e immediatamente attorno alla fascia della Via Lattea, per il fatto che le polveri e il gas del nostro piano galattico assorbono com-pletamente la loro luce, allo stesso modo in cui, in una giornata di brutto tempo, la luce del Sole non ce la fa a penetrare una spessa distesa di nuvole scure. Come vedremo, le polveri trarranno in inganno anche astronomi ben posteriori a Herschel e ben più dotati di mezzi strumentali.