Sul piano puramente dialettico ed espositivo, a giudizio dei presenti Curtis ebbe la meglio. In ogni caso, i due uscirono entrambi a testa alta dal confronto, come ave-vano sperato e come era giusto che fosse. Sul piano strettamente scientifico, invece, è difficile dire chi la spuntò. Forse, più che dare i voti ai due contendenti, è utile trarre qualche insegnamento considerando le trappole in cui essi caddero, dettate da pregiudizi, oppure da osservazioni carenti.
Un errore comune ai due fu il non aver considerato il ruolo determinante giocato dall’assorbimento interstellare delle polveri del disco. Curtis intuì qualcosa, ma solo in modo confuso. Egli pensava che la polvere avvolgesse come un anello il disco delle spirali, ma non che fosse diffusa anche all’interno del disco. Per questo adottò il modello di Galassia di Kapteyn, piccola e con il Sole al centro, senza ca-pire che i conteggi stellari a un certo punto si esauriscono – anche abbastanza presto – proprio in virtù dell’estinzione della luce da parte dei grani di polvere, che non consentono di spingere lo sguardo troppo lontano.
Quanto a Shapley, non è che trascurò l’assorbimento interstellare: lo escluse proprio, e categoricamente, sulla base di considerazioni che, sbagliando, riteneva inoppugnabili. Infatti, gli ammassi globulari gli apparivano tanto più deboli quanto più erano di piccolo diametro, il che è ciò che ci si deve attendere se la classe di oggetti è omogenea e se il flusso luminoso viene attenuato unicamente dalla di-stanza. Non sussisterebbe questa coerenza di comportamento se l’estinzione del mezzo interstellare fosse importante: ammesso infatti che ci sia materia assorbente interposta tra noi e due ammassi, che supporremo uguali per dimensioni e distanza, ma posti in direzioni ove l’assorbimento delle polveri è significativamente diverso, uno dei due ci apparirebbe molto più debole dell’altro – la sua immagine risulte-rebbe attenuata come se lo osservassimo al di là di un velo semi-trasparente –, ma non necessariamente anche più piccolo. A posteriori, possiamo dire che il ragiona-mento di Shapley era valido in linea teorica, e che i dati da cui partiva erano cor-retti, ma solo perché gli ammassi globulari che egli prendeva in considerazione compaiono in regioni celesti di alta latitudine galattica, dove l’estinzione interstel-lare effettivamente è minima, quasi nulla; sbagliava invece nel trarne la conclusione che l’assorbimento non fosse rilevante nell’intera Galassia.
Escludendo l’estinzione della luce da parte delle polveri, Shapley cadde nel tra-nello che la distribuzione delle spirali gli aveva teso. Gli ammassi globulari non compaiono nella zone of avoidance perché la polvere del disco crea una coltre im-penetrabile che ci impedisce di scorgerli. Con ogni probabilità, ve ne sono anche alle basse latitudini galattiche, ma non li vediamo. Shapley non lo sospettava, però di una cosa era assolutamente certo: che gli ammassi globulari facessero parte della Galassia, avendo tutti orbite concentriche e fulcrate in quel punto del Sagittario che evidentemente rappresenta il centro dinamico del nostro sistema stellare. Le
nebulose spirali avevano la stessa peculiare distribuzione dei globulari sulla volta celeste: le vediamo ovunque in cielo, ma non lungo il piano galattico, a basse lati-tudini. Dunque, era naturale pensare che anch’esse fossero oggetti appartenenti alla Via Lattea, e non sistemi stellari indipendenti ed esterni ad essa.
È una conclusione che pare logica, e tuttavia Shapley un dubbio avrebbe dovuto averlo, considerando le anomale velocità, prevalentemente in allontanamento, che in quegli anni cominciavano a essere misurate per le nebulose spirali da parte di Vesto M. Slipher, astronomo dell’Osservatorio Lowell di Flagstaff, in Arizona (ora sappiamo che erano la manifestazione dell’espansione dell’Universo: Hubble l’avrebbe scoperto qualche anno dopo). Erano velocità troppo elevate, di un ordine di grandezza superiore a quelle di tutte le altre classi di oggetti galattici, come stelle, nubi gassose, ammassi: né Curtis, né Shapley sapevano proporre spiegazioni. Il primo se la cavava arrendendosi alle osservazioni: evidentemente, la dinamica dell’Universo ammetteva anche quei moti così veloci; Shapley invece si avventurò in un’ipotesi implausibile, e cioè che le masse gassose delle spirali venissero
so-Il disco di M104, la famosa galassia “Sombrero”, è contornato da una banda di polveri opache.
Curtis pensava che tutte le spirali fossero delimitate da un anello come questo e non considerò il fatto che le polveri potessero essere disseminate anche all’interno del disco. (ESO)
spinte via dalla pressione della radiazione emessa da tutte le stelle della Galassia.
Ecco perché si allontanavano.
Shapley insistette anche su un altro punto: nelle spirali si misurava una distri-buzione della luce, andando dal nucleo verso i bracci, e una distridistri-buzione dei colori che parevano diverse da quelle del nostro sistema stellare (vero, ma solo perché, anche in questo caso, le polveri ci nascondono la realtà delle cose); e dunque, se sono così strutturalmente diverse, non c’era motivo per ritenerle galassie alla stre-gua della nostra. Erano solo nebulosità interne alla Via Lattea, illuminate da qualche stella vicina. Curtis non seppe rispondere all’obiezione, ma controbatté che gli spet-tri delle spirali erano decisamente di natura stellare, non nebulare, essendo virtual-mente indistinguibili da quelli di un qualunque ammasso stellare. Shapley non era d’accordo su questo punto e si sforzò di dimostrare, fotografie alla mano, che, al-meno nel caso della spirale M51, nella costellazione dei Cani da Caccia, le osser-vazioni non erano compatibili con l’idea di una sua composizione stellare.
Estendendo la conclusione a tutte le spirali, l’idea degli universi-isole crollava come un castello di carte.
Su questo punto Shapley sbagliava. Su altri era Curtis in errore. I due contendenti presero entrambi sonore cantonate per carenza o inadeguatezza delle osservazioni.
Ma ci furono anche errori dettati da pregiudizi o da superficialità. Il più marchiano lo fece Shapley, che confidò ciecamente nelle misure dell’amico astronomo olan-dese Adriaan van Maanen, un giovane allievo di Kapteyn emigrato negli Stati Uniti, che a Monte Wilson, con il riflettore di 152 cm, prendeva lastre di un certo gruppo di spirali, sempre le stesse, a distanza di molti anni, nella speranza di rilevare qual-che accenno di variazione nella loro forma. Van Maanen pubblicò alcuni lavori in cui sosteneva di aver messo in evidenza un generale moto di rotazione su se stessa di M101 e di altre spirali. Per M101, van Maanen aveva stimato un periodo di ro-tazione di soli 85mila anni. Shapley accolse la notizia come un dono del cielo: con quella velocità angolare, se le spirali fossero davvero sistemi extragalattici di grosse proporzioni, la materia dei loro bracci esterni ruoterebbe a una velocità maggiore di quella della luce, il che è fisicamente impossibile; e dunque sono necessariamente oggetti piccoli e vicini!
Sfortunatamente per lui, quella che pareva una prova decisiva si rivelò un boo-merang doloroso. Si scoprì in seguito che van Maanen si era ingannato. A ben pen-sarci, Shapley avrebbe dovuto dubitare di misure che richiedevano risoluzioni angolari proibitive per i telescopi del tempo e infatti nella sua autobiografia ammise di essere stato ingenuo e superficiale in quell’occasione: “Ma Adriaan era un amico;
potevo non accordargli fiducia?”