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La Via Lattea di Kapteyn

Ora che le stelle cessavano di essere puntini luminosi fissi, incastonati sulla volta celeste, venendo ad acquisire ciascuna una propria specificità dinamica, ora che per un certo numero di esse, quelle più vicine al Sole, si poteva conoscere la distanza, e quindi la luminosità, cominciavano ad essere maturi i tempi per interrogarsi sulla struttura della realtà cosmica che ci circonda. Il panorama celeste statico e “schiac-ciato” che si era offerto agli occhi di Herschel ora cominciava ad assumere una pro-spettiva, il senso della profondità, e a brulicare di oggetti mobili, vivi, partecipi di forze e di equilibri che dovevano essere spiegati.

Proprio le distanze e le velocità radiali delle stelle furono l’oggetto di studio del-l’olandese Jacobus Cornelius Kapteyn (1851-1922), che, nominato docente d’astro-nomia e di meccanica teorica all’Università di Gröningen quando aveva solo 26 anni, nella prolusione al corso del suo primo anno accademico già dichiarava che lo scopo dell’intera sua futura carriera scientifica sarebbe stato “il problema siderale”, ossia lo studio della forma, della struttura e delle dimensioni della Via Lattea e del-l’Universo. Era come se sentisse di aver ricevuto il testimone da William Herschel:

infatti, vedremo come del grande osservatore inglese egli seppe rivitalizzare il pro-gramma dei “conteggi stellari”, arricchendolo dei dati che i più recenti progressi dell’astronomia gli mettevano a disposizione.

Mentre era intento a un lavoro di rilevazione di parallassi stellari presso l’Osser-vatorio di Leida, attorno al 1885, Kapteyn venne a conoscenza che David Gill, al Capo di Buona Speranza, stava prendendo foto a largo campo di diverse regioni del cielo e subito gli scrisse per incoraggiarlo a proseguire, offrendosi di misurare le la-stre per rilevare le posizioni delle stelle e compilare un nuovo preciso catalogo del cielo australe da affiancare al Bonner Durchmusterung (1859) di Bessel e Argelan-der, relativo al cielo boreale. Gill acconsentì e Kapteyn si gettò a capofitto nel lavoro, che venne concluso una quindicina d’anni dopo, con posizioni e magnitudini di ben 455mila stelle. Ma questo ancora non gli bastava per ciò che aveva in animo di fare.

Una carta del cielo bidimensionale, per quanto precisa e completa, non lo metteva nelle condizioni di comprendere la dinamica del sistema siderale, né la distribuzione delle stelle nelle tre dimensioni. Gli occorreva integrare questi dati con quelli nuovi, riguardanti le distanze e le velocità stellari. L’impegno profuso nella compilazione del Cape Photographic Durchmusterung era comunque servito per fargli acquisire dimestichezza con l’analisi statistica, e infatti Kapteyn viene considerato l’iniziatore della statistica astronomica, insieme con il collega-rivale tedesco Hugo von Seelin-ger.

Padroneggiando come nessun altro a quel tempo tecniche matematiche che egli stesso sviluppava, Kapteyn si era posto il problema di capire se le stelle si muoves-sero alla rinfusa, oppure se i loro moti rispettasmuoves-sero un certo ordine, e quale fosse il moto del Sole rispetto a quello medio delle stelle circostanti (anche questo un pro-blema già affrontato un secolo prima da Herschel). Giunse così alla conclusione che le stelle vicine, quelle di cui si conoscevano le velocità e le distanze, non si muove-vano a caso, ma seguimuove-vano due “correnti” su lati opposti rispetto al Sole e anche con versi opposti, come se l’intero sistema stellare ruotasse attorno al sistema di ri-ferimento locale; inoltre, i suoi “conteggi stellari”, che, rispetto a quelli di Herschel, ora potevano basarsi in qualche misura anche su distanze note, lo convincevano del fatto che la densità spaziale delle stelle tendeva a diminuire quanto più ci si allon-tanava dal Sole. Insomma, il Sole sembrava trovarsi al centro del sistema.

La conclusione era decisamente im-barazzante. Per oltre duemila anni, fino a Copernico, la storia dell’astronomia era stata frenata dal pregiudizio aristo-telico-tolemaico della centralità della Terra nel Sistema Solare e ora che final-mente ce ne si era liberati ecco ripro-porsi una nuova sorta di centralità, non meno impegnativa: la centralità del no-stro Sole rispetto all’intero Universo!

Kapteyn aveva presentato il suo lavoro nel 1904 al meeting internazionale di St.

Louis (Missouri, USA), a cui partecipa-rono i maggiori astpartecipa-ronomi del tempo.

Egli stesso, ancora anni dopo, manifestò perplessità rispetto a quei risultati, ri-marcando tuttavia come non fossero certo frutto di pregiudizi ideologici, ma discendessero dall’analisi di incontro-vertibili dati empirici: “Dobbiamo

am-mettere che il nostro Sistema Solare si trova al centro dell’Universo, o perlomeno nei pressi di un centro locale. [...] Vent’anni fa avrei accolto con scetticismo le conclusioni delle mie ricerche, ora non più. Seelinger, Schwarzschild, Eddington ed io abbiamo trovato che il numero di stelle per unità di volume è maggiore nei pressi del Sole. Spesso mi sono sentito a disagio e turbato da questo risultato, anche perché nei calcoli non è stato considerato l’effetto della diffusione della luce nello spazio. Tuttavia, sembra che tale effetto sia troppo piccolo per vanificare la variazione di densità che si misura. Quasi sicuramente, questa variazione è reale”.

Oggi sappiamo che non è così ed è curioso che l’astronomo olandese non abbia saputo correggere le sue conclusioni pur avendo colto nel segno nell’individuare la causa dell’errore.

Le polveri disseminate nello spazio, soprattutto nel piano galattico, assorbono efficacemente la luce delle stelle, oppure la diffondono, ossia la deflettono in tutte le direzioni, impedendole di pervenire fino a noi, e a farne le spese maggiormente sono le radiazioni della parte blu dello spettro, di modo che le stelle non solo ci appaiono più deboli di quanto siano in realtà (e perciò ci sembrano più lontane), ma anche di colorazione impoverita d’azzurro, più rossastra. L’errore di Kapteyn sta nel fatto che valutò l’effetto della diffusione soprattutto lungo direzioni diverse da quelle giacenti sul piano galattico: e lì, effettivamente, l’effetto è minimo, quasi trascurabile, poiché la luce stellare attraversa spazi ridotti (il disco è sottile) e re-lativamente sgombri da polveri. Invece, se guardiamo nelle direzioni giacenti sul piano della Galassia, il nostro sguardo incontra un numero così elevato di grani di polveri che più in là di una certa distanza non riesce ad andare. Anche noi, in una giornata di nebbia fitta, potremmo avere l’impressione di stare al centro della nostra città: case e palazzi, infatti ci circondano su tutti i lati fino a una certa di-stanza, la stessa in tutte le direzioni – così si crea l’illusione di stare al centro –, mentre più in là non si vede nulla se non un muro di nebbia. Non vedere nulla, però, non significa che non esista nulla.

Jacobus Cornelius Kapteyn (1851-1922).

Anche le due “correnti stellari” contrapposte trovano una spiegazione alla luce di quanto oggi conosciamo. La Galassia non ruota su se stessa come un corpo ri-gido. Le stelle sono animate da velocità diverse a seconda della distanza dal centro, di modo che, se consideriamo le stelle più vicine al Sole, disposte su orbite poco più interne e poco esterne alla nostra, dal nostro punto d’osservazione rileveremo per esse velocità di segno opposto. Da un lato ci sopravvanzano, dall’altro ce le lasciamo alle spalle. Poiché le nubi di polveri non ci lasciano vedere molto altro attorno a noi, l’impressione che ricaviamo è quella d’essere al centro di due cor-renti stellari che ci avvolgono, animate da un moto coerente imperniato sul Sole.

Nel 1904, e ancora per molti anni, i tempi non erano maturi perché la “nebbia”

delle polveri si dileguasse. Quello di Kapteyn è un errore nel quale, come ve-dremo, incorreranno anche altri astronomi.

La nube oscura B68, al centro dell’immagine, nasconde alla vista le stelle retrostanti, assorbendone e diffondendone la luce. Di questo effetto d’estinzione, che ingannò Kapteyn e altri astronomi del suo tempo, sono responsabili le particelle di polveri presenti nella nube; in modo analogo agiscono le polveri diffuse in abbondanza nel piano galattico. (NNT, ESO)