Le stelle emettono profluvi di luce; il mezzo tra le galassie degli ammassi è fonte di raggi X; le galassie in cui nuove stelle stanno nascendo a tassi elevati, general-mente avvolte da nubi di polveri, emettono quantità imponenti di radiazione infra-rossa; altre sono forti sorgenti di onde radio. Lo spazio è percorso in lungo e in largo da onde elettromagnetiche in tutte le bande spettrali. E allora non potremmo pensare che la CBR sia semplicemente la “coda” alle basse frequenze della com-ponente radiativa dell’Universo, senza attribuirne necessariamente l’origine alla fase calda del Big Bang?
Sono due i motivi che ci fanno escludere questa possibilità. Il primo è che il flusso radiativo che si misura nelle diverse bande spettrali non segue una coerente distribuzione spettrale di corpo nero (per la radiazione che vaga nell’Universo non c’è né il tempo né il modo per “termalizzarsi”, per mettersi in equilibrio termico con l’ambiente cosmico) e allora risulterebbe difficile giustificare il fatto che solo la sua coda abbia a comportarsi come tale.
Il secondo è ancora più persuasivo. Ammettiamo che la CBR non sia stata emessa nella fase calda del Big Bang e che invece sia figlia delle stelle. Il motore energetico delle stelle è di natura nucleare: poiché le osservazioni ci dicono quanti nuclei (es-senzialmente di elio) sono stati sintetizzati dall’inizio dei tempi, mentre la fisica ci dice quanta energia viene liberata in ciascuna reazione di sintesi, non è difficile for-nire una stima dell’emissione energetica totale rilasciata da tutte le stelle nel corso
Cos’è un corpo nero
Tutti i corpi investiti dalla luce ne assorbono una certa frazione, ma ne riflettono la gran parte: è per questo che si rendono visibili. Però, un corpo caldo è sorgente esso stesso di radiazione a tutte le lunghezze d’onda: solo un corpo che si trovi allo zero assoluto (T = 0 K = – 273 °C) non emette radiazione termica. Se l’og-getto non è troppo caldo, come il corpo umano (circa 37 °C) o l’acqua in ebolli-zione (circa 100 °C), il grosso dell’emissione si ha nell’infrarosso o nelle onde radio; se invece è molto caldo, come una stella, l’emissione si verifica soprattutto nella banda visuale.
Per misurare l’entità dell’emissione di un corpo caldo alle varie lunghezze d’onda, occorre effettuare le misure su un corpo che sia fonte esclusivamente di radiazione termica e che non rifletta in alcun modo la luce di altre sorgenti. Che sia cioè un assorbitore perfetto. Questo è il motivo per cui lo si definisce corpo nero: è infatti noto che il nero assorbe tutta la radiazione che lo investe, al con-trario del bianco, che la riflette (e infatti bianchi, o comunque chiari, per non ac-caldarci, sono gli abiti che indossiamo nella stagione estiva). Un corpo nero ideale non esiste in natura; tuttavia, si possono costruire dispositivi (non stiamo a dire come) che ne simulano il comportamento.
La rappresentazione grafica dell’emissione di un tale corpo in funzione della lunghezza d’onda è detta spettro di corpo nero ed è una curva a campana asim-metrica, che presenta un picco alla lunghezza d’onda ove si registra la massima
dell’intera storia dell’Universo. E poiché il risultato corrisponde solo a una frazione della densità energetica della CBR, l’ipotesi di partenza è da scartare. La radiazione cosmica di fondo, pur essendo costituita da onde di bassa frequenza, con fotoni che hanno ciascuno la decimillesima parte dell’energia di un fotone ottico, rappre-senta il contributo di gran lunga maggioritario alla componente radiativa dell’Uni-verso: in ogni centimetro cubo di spazio sono sempre presenti mediamente diverse centinaia di fotoni della CBR.
Nei paragrafi precedenti abbiamo spesso parlato di un “Universo caldo”. In che senso l’Universo può essere caldo, oppure freddo? Cos’è e come si può misurare la sua temperatura? Nel Cosmo esistono stelle calde, come Rigel, e fredde, come Betelgeuse; esistono pianeti torridi, vicini alla loro stella, e gelidi, perché ne sono lontani. Le nubi di gas e polveri che si osservano nei bracci delle galassie spirali hanno generalmente temperature di poche decine di gradi sopra lo zero assoluto, mentre nei dischi di accrescimento che circondano certe stelle collassate si toccano i milioni di gradi. Quando parliamo di “temperatura dell’Universo” evidentemente non ci riferiamo a quella, estremamente variegata, delle diverse classi d’oggetti che esso contiene, ma alla temperatura attribuibile alla radiazione di fondo. Attual-mente, la CBR ha una distribuzione spettrale di un corpo nero a circa 3 K e noi di-ciamo che la temperatura attuale dell’Universo è di circa 3 K. Naturalmente, non è sempre stato così: la temperatura dell’Universo è variata nel tempo.
Anche la radiazione di fondo, come ogni altra radiazione, va soggetta al redshift cosmologico: i suoi fotoni vanno aumentando nel tempo la loro lunghezza d’onda,
emissione e andamenti digradanti sui due lati con forme e pendenze diverse. La figura della campana non dipende dal materiale di cui è fatto il corpo nero, o dalle sue caratteristiche geometriche (cubo, sfera, grande, piccolo…), ma solo dalla sua temperatura. In particolare, il picco dell’emissione si colloca a una lun-ghezza d’onda (λmax) che dipende dalla temperatura (T) secondo la legge di Wien:
λmax= 0,0029 / T.
La lunghezza d’onda è qui espressa in metri e la temperatura in kelvin. Per esempio, un corpo a 5780 K (pari a 5510
°C, la temperatura fotosferica del Sole), emette il massimo di luce a circa 500 nm, nel visuale. L’acqua bollente a circa 7800 nm, nell’infrarosso lontano.
Quando si dice, con espressione ger-gale, che la radiazione cosmica di fondo (CBR) “ha una temperatura” di 3 K si deve intendere che la forma dello spettro registrato dalle misure è la stessa di quello emesso da un corpo nero alla tem-peratura di 3 °C sopra lo zero assoluto.
1400
Spettri di corpo nero per tre corpi con tempe-ratura rispettivamente di 5000, 6500 e 8000 K. Il picco si sposta sempre più a lunghezze d’onda minori quanto più cresce la tempera-tura della sorgente emittente. La banda visuale va grosso modo da 400 a 800 nm. Il quarto spettro si riferisce a un corpo con temperatura di 5780 K, quella del Sole.
(7.1)
in perfetta sintonia con l’espansione dello spazio in cui si propagano, conservando tuttavia nella loro distribuzione la forma a campana asimmetrica che è tipica di uno spettro di corpo nero.
Supponiamo di osservare una galassia al redshift z = 4. Qual era la temperatura dell’Universo all’epoca cosmica in cui la galassia ci inviava la sua luce? Poiché allora il fattore di scala era 5 volte minore (1 + z = 5), anche tutte le lunghezze d’onda lo erano. A quei tempi, un astronomo di quella lontana galassia avrebbe mi-surato il picco della sua CBR a una lunghezza d’onda 5 volte minore di quella che misuriamo attualmente, corrispondente a una temperatura di corpo nero 5 volte maggiore di quella attuale, ossia di circa 15 K (cfr. la 7.1 del box d’approfondi-mento di pag. 137). Dunque, la temperatura T della CBR alle diverse epoche co-smiche varia con il redshift z, e con il fattore di scala R, come:
T = T0(1 + z) = T0· R0/R
ove R0e T0sono i valori attuali dei due parametri. Quando l’Universo era 50 o 100 volte più piccolo di adesso, la sua temperatura era altrettante volte maggiore.
I fotoni della CBR, che hanno grandi lunghezze d’onda (e quindi un’energia bassissima), possono tranquillamente attraversare una nube gassosa senza essere assorbiti dai suoi atomi: la materia dell’Universo locale è sostanzialmente traspa-rente alla radiazione cosmica di fondo, che può così diffondersi nell’Universo quasi del tutto indisturbata. E qui, in apparenza, ci imbattiamo in un intrigante paradosso.
Sappiamo che una distribuzione spettrale tipica di un corpo nero si viene a stabilire quando si realizza una situazione d’equilibrio termico tra un corpo caldo e la ra-diazione che esso emette, a seguito di un gran numero di urti e di interscambio d’energia tra i fotoni e gli atomi del corpo. Allora, se la materia è trasparente alla CBR e praticamente non interagisce con essa, se non ci sono urti “termalizzanti”, come è possibile che la radiazione di fondo sia quella di un perfetto corpo nero?
Quando si instaurò quella situazione d’equilibrio di cui la CBR è palese testimo-nianza?
Risalendo indietro nel tempo, a redshift elevati, troveremo un Universo sempre più piccolo e caldo. A un certo punto, la temperatura sarà tale per cui un gran nu-mero di fotoni avrà un’energia paragonabile o superiore all’energia di legame che, nell’atomo di idrogeno, tiene incatenato l’elettrone al nucleo, che è costituito da un protone. In tali condizioni, un “colpo” ben assestato da parte di un fotone ener-getico potrà avere come esito la rottura del legame, la liberazione dell’elettrone.
Se gli urti sono numerosi, mentre al di qua, a una temperatura più bassa, l’Universo è una distesa d’atomi d’idrogeno neutro, al di là avremo una distesa di plasma, ossia di gas ionizzato, costituito da elettroni liberi e da protoni.
In questa situazione, i fotoni della CBR non sono più liberi di attraversare indi-sturbati le vaste distese cosmiche. La radiazione, infatti, interagisce molto effica-cemente con il plasma: in particolare, i fotoni vengono in continuazione diffusi dagli elettroni liberi. Ne urtano uno, cambiano direzione, subito ne urtano un se-condo, cambiando ancora direzione. Il loro è un percorso a zig-zag, una carambola infinita con ripiegamenti lungo tragitti che si avviluppano su se stessi senza mai portare il fotone troppo lontano dal punto di partenza. I fotoni sono come “ingab-biati”.
Ecco allora, finalmente, la fase che cercavamo, quella in cui, attraverso urti fre-quenti e ripetuti, la radiazione poté termalizzarsi, realizzando l’equilibrio termico
(7.2)
con la materia. Questa fase durò alcune decine di migliaia di anni e si concluse solo a z = 1090, quando l’espansione portò la temperatura dell’ambiente cosmico a meno di 3000 K e l’energia dei fotoni al di sotto del valore che rendeva possibile la ionizzazione dell’idrogeno. Se prima i fotoni erano abbastanza energetici da riu-scire a spezzare il legame tra il protone e l’elettrone, restituendo particelle cariche all’ambiente di plasma con la stessa frequenza con la quale quelle stesse particelle, dotate di carica elettrica opposta, si attraevano per combinarsi in atomi neutri, ora non sono più in grado di farlo. L’equilibrio dinamico si rompe. Per la prima volta nella sua storia, l’Universo si ritrova popolato di atomi neutri; da un ambiente di plasma che ingabbia i fotoni, e quindi è opaco alla radiazione, si passa a un am-biente di atomi neutri che è trasparente ai fotoni, di modo che questi possono scia-mare liberamente per il Cosmo.
La CBR che oggi osserviamo proviene da lì, da quella sorta di “muraglia” in-candescente posta a z = 1090, calda come la fotosfera di una stella rossa, che è opaca alla radiazione e che il nostro sguardo non può penetrare. Cogliamo i fotoni che l’hanno varcata, ma non quelli che se ne stanno appena al di là e che ne restano prigionieri. È la struttura più lontana che possiamo osservare, è il nostro estremo orizzonte osservativo, un tendale che l’Universo cala davanti alla nostra curiosità quasi che volesse occultare gli eventi che hanno avuto luogo nelle epoche prece-denti; i cosmologi la chiamano “superficie dell’ultimo scattering”, una superficie sferica che tappezza l’intera volta celeste sulla quale avvenne l’ultima interazione con il plasma da parte dei fotoni che da quel momento in poi conquistavano la pro-pria libertà.
L’epoca a cui ciò si verificò, circa 380mila anni dopo il Big Bang, viene detta era della ricombinazione, con riferimento al fatto che elettroni e protoni si uniscono a formare l’idrogeno neutro. Alla superficie dell’ultimo scattering la temperatura era di circa 3000 K; l’emissione di perfetto corpo nero che da essa emana viene da noi ricevuta 1090 volte più fredda, alla temperatura di soli 2,725 K.