George Gamow era un gran burlone. A Nature, la più autorevole e compassata delle riviste scientifiche, ebbe l’ardire di inviare un articolo nel quale spiegava con la forza di Coriolis perché le vacche masticano ruotando le mascelle in senso orario nell’emisfero nord e antiorario nell’emisfero sud, come, a suo dire, aveva avuto modo d’osservare nei suoi viaggi in giro per il mondo. Non v’è collega che abbia incrociato le lame con lui in qualche disputa scientifica che sia stato risparmiato dalle sue poesiole vagamente canzonatorie o dai suoi disegni satirici. Scienziato capace di profonde intuizioni fisiche, non si può dire che fosse un campione in ma-tematica: era solito scivolare su banali errori di calcolo in quasi tutti i suoi articoli, ma la cosa non lo disturbava più di tanto perché: “Un mio docente di Odessa diceva che gli scienziati non devono preoccuparsi di fare conti precisi. Mica sono impie-gati di banca”.
Sbagliava qualche conto, ma nessuno come lui sapeva cogliere intuitivamente il nocciolo delle questioni o il punto debole di un ragionamento, e comunque tutti gli riconoscevano una genialità fuori del comune, che egli riversò in ogni campo in cui la sua irrefrenabile curiosità lo portava ad applicarsi: dalla fisica quantistica alla fisica nucleare, dall’astrofisica alla biologia molecolare. Prendeva in giro i fanti e non risparmiava neppure i santi. Di sè diceva d’aver capito che da grande avrebbe fatto lo scienziato quella volta che da ragazzo, fatta la comunione, corse a casa con la particola in bocca per metterla sotto il microscopio e verificare se fosse pane o carne. Ateo, spirito libero, l’Unione Sovietica staliniana gli stava stretta e nel 1933, quando aveva 29 anni, dalla natia Odessa era emigrato negli Stati Uniti per insegnare nella capitale alla George Washington University. Al-l’Università di S. Pietroburgo aveva studiato cosmologia sotto la guida di Alexan-der Friedmann.
In campo cosmologico, Gamow era impressionato dalla teoria dell’atomo pri-mitivo sviluppata negli anni Trenta dallo scienziato e sacerdote belga Georges Le-maître, teoria che, in verità, non aveva mai raccolto troppi favori e che anzi era stata apertamente contrastata da eminenti autorità scientifiche, quali Eddington e – ma solo in un primo tempo – Einstein. Eddington l’aveva bollata nientemeno che come “filosoficamente ripugnante”. Lemaître fu il primo a interrogarsi sulla storia passata dell’Universo: se l’espansione agì anche in passato, risalendo all’in-dietro nel tempo si sarebbe dovuti giungere a una fase di estrema compressione, ove tutta la radiazione e tutta la materia si dovevano trovare raggrumate in un
“corpo” di dimensioni ultramicroscopiche. Appunto, in un atomo primitivo. Da quell’atomo sarebbero scaturiti lo spazio e il tempo.
Proposta da un credente, anzi da un sacerdote, l’idea poteva sembrare capziosa e preconcetta: forse voleva suggerire che all’origine del tuttto ci fu un atto creativo, un intervento divino. Da qui, probabilmente, l’opposizione di molti. In realtà, ma-liziosa non era l’idea, ma la lettura delle intenzioni dell’autore. Lemaître, pur
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sendo uomo di profonda fede, era ben conscio, per intima convinzione, dell’in-commensurabilità tra il discorso scien-tifico e quello teologico e non v’è traccia nei suoi scritti di affermazioni in cui si faccia confusione tra i due piani.
In ogni caso, il modello cosmologico da lui sviluppato comprendeva la co-stante cosmologica e prevedeva tre fasi evolutive per l’Universo: la prima è quella “esplosiva” in cui si ha una sorta di disintegrazione radioattiva dell’atomo primitivo da cui prendono origine tutti gli elementi (prendono origine, non
“vengono creati”); la seconda è quella in cui si assiste a un sostanziale equilibrio tra la gravità e la costante cosmologica, per cui l’espansione rallenta fino a bloc-carsi e il fattore di scala rimane pratica-mente costante per un tempo che sarà più o meno lungo a seconda del valore che si attribuisce alla costante cosmolo-gica: è in questo periodo che, a livello locale, la gravità dà origine a stelle e galassie; la terza fase è quella in cui la costante cosmologica prende il sopravvento e lancia l’Universo in un’espansione accelerata.
Gamow, affascinato dal modello di Lemaître (lo riconoscerà pubblicamente nei suoi scritti), viene considerato il padre della Teoria del Big Bang per aver sottoli-neato che l’atomo primitivo dello scienziato belga non sarebbe dovuto essere solo straordinariamente denso, ma anche incredibilmente caldo.
Ebbene, neppure in occasione dell’articolo che lo consegnò alla storia, in cui sviluppava un’idea nuova e originale sulla formazione degli elementi chimici e prevedeva l’esistenza della radiazione cosmica di fondo, lo scienziato di Odessa riuscì a tenere a freno la sua vena goliardica. Brigò infatti affinché uscisse sul fa-scicolo della Physical Review del 1° aprile (del 1948) e all’ultimo momento ag-giunse alla firma dei veri autori – lui e il suo giovane collaboratore Ralph Alpher – quella dell’ignaro Hans Bethe, allora fisico alla Cornell University, perché gli suonava bene che una nota dedicata alla nascita degli elementi si aprisse con le prime tre lettere dell’alfabeto greco: alfa, beta e gamma. Il lavoro firmato da Alpher, Bethe, Gamow viene ancora oggi menzionato come “teoria αβγ”.
Gamow voleva fornire una risposta alla domanda: da dove provengono l’idro-geno, l’elio, il carbonio, il silicio e tutti gli elementi costitutivi della materia che ci circonda? Gli astronomi se lo chiedevano già da una decina d’anni, dopo che i pro-gressi della fisica nucleare avevano cominciato a individuare i meccanismi che consentono alle stelle di risplendere per miliardi di anni, fondendo l’idrogeno del loro nocciolo per produrre elio. Già, ma oltre l’elio?
Nell’immediato Dopoguerra, e per tutti gli anni Cinquanta, si confrontarono due scenari diversi, che erano figli di teorie cosmologiche antitetiche. Da un lato, c’erano i sostenitori dei modelli relativistici FRW, per i quali l’espansione cosmica rimandava a fasi evolutive passate in cui il fattore di scala era molto più piccolo di
Georgiy Antonovich (poi George) Gamow (1904-1968).
oggi e l’Universo era verosimilmente più denso e caldo. Dall’altro, c’erano i so-stenitori della Teoria dello Stato Stazionario, come Fred Hoyle, Hermann Bondi, Thomas Gold, Margaret e Geoffrey Burbidge, per i quali andavano soggetti ad evo-luzione i costituenti del Cosmo, ossia le stelle e le galassie, ma non l’Universo nel suo complesso, che è da sempre uguale a se stesso e che tale per sempre rimarrà.
La Teoria dello Stato Stazionario estendeva e completava il Principio Cosmologico adottando il Principio Cosmologico Perfetto: non solo due osservatori contempo-ranei, dislocati in regioni lontane dell’Universo, rilevano gli stessi parametri, per esempio la stessa densità media della materia cosmica, la stessa età media delle galassie ecc., ma anche osservatori vissuti in epoche cosmiche diverse misurano sempre quegli stessi valori. Quindi, secondo quel principio, l’Universo sarebbe omogeneo non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Non ebbe un inizio, non avrà una fine, né conosce un’evoluzione globale di alcun tipo: l’Universo è stazio-nario ed eterno.
Naturalmente, poiché l’espansione è un dato di fatto incontrovertibile e quindi il volume dell’Universo va sempre più aumentando, per garantire la costanza nel tempo della densità media bisognava ipotizzare che, attraverso qualche meccani-smo sconosciuto, si verificasse una generazione continua di nuova materia. E poi-ché questa darà vita a nuove giovani galassie, ecco spiegata anche la costanza dell’età media dei sistemi e l’assenza di effetti evolutivi globali.
Il Principio Cosmologico Perfetto era indubbiamente attraente sotto il profilo fi-losofico, e nell’ambiente astronomico erano in molti a guardarlo con favore, specie dopo che la Chiesa di Roma aveva espresso con irrituale fervore la sua preferenza per il Big Bang, in ciò guidata da motivazioni di certo non solamente scientifiche.
Ma la creazione di materia ex nihilo non inficia il principio di conservazione del-l’energia, pilastro della fisica che conosciamo? Il fatto è che non si può verificare se la legge venga calpestata o meno, rispondevano Hoyle e compagni. I tassi di creazione di nuova materia richiesti dal modello sono talmente bassi (dell’ordine di un nuovo protone in un volume come quello di una stanza ogni milione di anni) da rendere vano ogni tentativo di verifica e di misura con gli strumenti di cui disponiamo.
Gamow stava nel partito dell’Universo evolutivo. I sostenitori della Teoria dello Stato Stazionario ritenevano che gli elementi nascessero tutti nel nocciolo delle stelle e che venissero riversati nel mezzo interstellare a seguito delle esplosioni di supernovae. Lui non era d’accordo: se nelle fornaci stellari l’elevata temperatura fa scontrare violentemente i nuclei, dissociandoli nei loro costituenti, e se subito questi ne ricompongono di nuovi, ammettendo che le stelle lavorino a pieno ritmo da tempo immemorabile, nei loro noccioli dovrebbe essersi instaurata una situa-zione d’equilibrio nella quale i nuclei strutturalmente più stabili sono presenti in numero preponderante rispetto a quelli instabili, meno legati, più facili da scindere.
E allora gli elementi del gruppo del ferro, che hanno la più elevata energia di le-game per nucleone, dovrebbero essere tra i più abbondanti nell’Universo.
Ma è davvero questo ciò che si osserva? No, tutt’altro. Da qui l’intuizione di Gamow che le abbondanze cosmiche degli elementi non sono frutto di situazioni d’equilibrio consolidatesi nel tempo: sembrerebbero invece scaturite da un evento episodico, di breve durata e di inusitata potenza, qualcosa di simile a un’immane esplosione termonucleare. Gli elementi potrebbero essere nati con l’Universo stesso, nelle condizioni d’altissima temperatura che si verificarono nelle primissime fasi evolutive e che non si ripeterono mai più in seguito. Alpher gli suggerì che il meccanismo appropriato poteva essere quello della cattura neutronica, in cui un
nucleo ingloba un neutrone, e poi un altro e un altro ancora, in rapida sequenza, cosicché a ogni reazione incrementa di un’unità il proprio numero di massa (e, con la successiva emissione di un elettrone per decadimento radioattivo, anche il nu-mero atomico): mattone sopra mattone, il processo avrebbe così dato origine a tutti gli elementi della tabella di Mendeleev. Ad Alpher l’idea era venuta perché proprio in quei mesi, presso l’Applied Physics Laboratory, dove lui lavorava, si stavano calcolando le probabilità d’occorrenza di ciascuna di tali reazioni di cattura neu-tronica, partendo dall’elio a salire, e la curva che le esprimeva, in funzione del nu-mero di massa, si accordava assai bene con quella delle abbondanze cosmiche misurate: quanto maggiore era la probabilità di formare un certo elemento, tanto più quell’elemento risultava essere abbondante nell’Universo. Non poteva trattarsi di una pura coincidenza.
Hoyle e compagni irridevano l’assurdità dell’enorme estrapolazione che Gamow proponeva: dopotutto, si pretendeva di applicare dati ricavati in un laboratorio ter-restre alla scala dell’Universo e a temperature e densità inimmaginabili, in quel-l’inverosimile “esplosione primordiale” che per scherno Fred Hoyle bollò come
“Big Bang”, il “gran botto”. Il nomignolo incontrò subito il favore dei cosmologi, oltre che del pubblico, e da allora viene usato anche nella letteratura professionale.
Presso il grande pubblico, il termine è venuto ad assumere il significato improprio di atto creativo dell’Universo, il biblico Fiat lux, e viene immaginato, altrettanto impropriamente, come una sorta di grande esplosione. Dai cosmologi viene usato in una duplice accezione, di episodio e di fase: è l’istante in cui scattò l’espansione ed è l’intero periodo in cui il giovane Universo restò caldo e denso.
In seguito, si comprese che l’intuizione di Gamow era buona solo a metà (forse anche meno...): erano infatti sbagliate sia la premessa che nell’Universo dei pri-mordi i neutroni fossero la specie nucleare dominante, sia l’idea che l’incremento del numero atomico avvenisse per decadimento radioattivo. Il meccanismo di for-mazione per successive catture neutroniche può funzionare solo per i primi ele-menti, i più leggeri, ma non per tutti gli altri. In particolare, non ci sarebbe modo di scavalcare il doppio “vallo” in corrispondenza delle masse atomiche 5 e 8, perché i nuclei con questo numero di massa sono fortemente instabili e in una frazione di secondo (miliardesimi di miliardesimi...) decadono nei nucleoni componenti, in-terrompendo il processo di costruzione piramidale.
L’ineffabile Gamow ci scherzava sopra. Siccome il 99% della materia universale è costituita da elementi leggeri, principalmente idrogeno ed elio, diceva d’essere comunque soddisfatto, poiché aveva fallito nello spiegare soltanto quel risibile 1%
rimanente. Per inciso, qualche anno dopo furono proprio Hoyle, William Fowler e i coniugi Burbidge a comprendere il modo in cui la Natura, nel nocciolo delle stelle, riesce a superare quei “valli” e a sintetizzare anche gli elementi pesanti.