Parlando del fattore di scala, spesso si è portati a identificare R(t) con il “raggio”
dell’Universo. È sbagliato. Avrebbe un senso se avessimo la certezza di vivere in un Universo chiuso, finito, a geometria sferica: in quel caso, il raggio della sfera-Universo potrebbe essere il regolo più naturale per rappresentare il comportamento dinamico del tutto. Ma se il Cosmo ha una geometria iperbolica, oppure piana (come sembra che sia), allora è infinitamente esteso e le sue dimensioni globali non sono misurabili.
A ben pensarci, forse non sono misurabili in modo così semplice e scontato neppure le distanze tra gli ammassi di galassie. Proviamoci a farlo e comprende-remo meglio il ruolo del fattore di scala.
Immaginiamo di rappresentare l’Universo come un foglio di carta a quadretti appoggiato su un piano (vedi figura a pag. 107), non senza mettere subito in chiaro le semplificazioni adottate: a) oltre alla dimensione temporale, che qui non inte-ressa, l’Universo ha tre dimensioni spaziali, non due come il nostro foglio; b) l’Universo può avere una geometria diversa da quella piana; c) se, come il foglio, ha una geometria piana, allora è infinitamente esteso. Per ovviare alla terza sem-plificazione, non ci costerà nulla immaginare che anche il nostro foglio si estenda indefinitamente. Ora distribuiamo sul foglio una manciata di coriandoli, in modo abbastanza uniforme. Ogni coriandolo rappresenta un ammasso di galassie. Sce-gliamone due a caso, A e B, e misuriamone la distanza.
Ci viene spontaneo adottare il criterio che ci hanno insegnato a scuola. Fisse-remo anzitutto un punto del foglio come origine delle coordinate; per comodità, sceglieremo un punto all’intersezione delle linee rette che attraversano il foglio a quadretti in verticale e in orizzontale, e sfrutteremo la griglia per misurare le
co-ordinate x e y dei due ammassi, come si fa sulle carte millimetrate. Poi appliche-remo il teorema di Pitagora, sommando i quadrati delle differenze tra le coordinate omologhe e facendone la radice quadrata (noi, però, non la estrarremo, e daremo l’espressione del quadrato della distanza d2):
d2= (xB– xA)2+ (yB– yA)2= Δx2+ Δy2
con evidente significato dei simboli. Δx è un modo compatto di esprimere la dif-ferenza (xB– xA), e così Δy.
L’Universo si espande in maniera uniforme. Dobbiamo dunque immaginare che il nostro foglio sia elastico e che venga “stirato” allo stesso modo in ogni di-rezione. Della placida espansione del foglio non ci accorgeremmo neppure se, a lungo andare, non vedessimo le linee del foglio separarsi sempre più, la griglia allargarsi, i quadratini ingrossarsi, i coriandoli allontanarsi gli uni dagli altri: non ce ne accorgeremmo perché i coriandoli mantengono immutate le loro coordinate.
In effetti, se il coriandolo A si trovava originariamente nella posizione (5; 2), ossia 5 quadrati a destra dell’origine sull’asse delle x e 2 quadrati verso l’alto sull’asse delle y, lo troveremo sempre lì, nella posizione (5; 2), anche dopo un giorno o un anno di espansione: non si muove infatti nel foglio, per una sua velocità specifica, come avverrebbe a seguito di un nostro starnuto che lo fa volar via, ma si muove con il foglio, passivamente trascinato dalla sua espansione. E così il coriandolo B. Le loro coordinate, misurate in quadratini, sono sempre le stesse e di conse-guenza non cambia neppure la loro distanza, per come l’abbiamo definita: è quella che si dice distanza delle coordinate.
Un sistema di coordinate che si espande o si contrae con lo spazio si dice co-movente. Si tratta di un sistema di riferimento che possiamo considerare a riposo (questa affermazione è una vera bestemmia per la fisica newtoniana, dove tutti i moti sono relativi, e non esiste un sistema che possa dirsi “fermo” in assoluto!), rispetto al quale possono essere misurate le velocità assolute (altra bestemmia, per Newton) di tutti i corpi celesti.
Sistemi di riferimento di questo tipo vengono ampiamente usati in cosmologia, ma non forniscono indicazioni sull’effettiva distanza fisica tra due punti. Ed è qui che interviene il fattore di scala. Nel nostro esempio, potremmo assumere come
“regolo” rappresentativo del fattore di scala il lato di un quadratino del foglio, che indicheremo, al solito, con R(t). Allora, l’espressione della distanza effettiva tra i due coriandoli sarà data dal prodotto della distanza delle coordinate per il fattore di scala al momento dell’osservazione:
d2= R(t)2(Δx2+ Δy2).
Adesso si capisce meglio perché la metrica dei modelli FRW contempla la pre-senza del fattore di scala. Quanto al parametro di curvatura, si può ben intuire che, a parità di distanza delle coordinate, la distanza effettiva dipende anche dalla geo-metria dello spazio, dalla sua curvatura.
Aggiungiamo un’altra precisazione importante. Si sarà notato che per indicare gli ammassi sul nostro foglio-Universo non abbiamo disegnato un certo numero di cerchietti direttamente sulla carta, ma abbiamo sparso coriandoli. C’è un ben preciso motivo per questo. L’espansione cosmica non è un fenomeno locale, ma globale; riguarda l’Universo su larga scala, non i singoli sistemi locali, come sono
le galassie e gli ammassi, tenuti insieme localmente dalla gravità. Riguarda il foglio di carta, non i coriandoli. La struttura di una galassia non viene interessata dalla generale espansione dell’Universo: la forma e le dimensioni vengono mantenute nel tempo, con le stelle che assecondano solo le forze gravitazionali interne, in-differenti a ciò che avviene nel resto dell’Universo su grande scala. Restano ugual-mente insensibili all’espansione il Sistema Solare, i singoli pianeti, noi stessi e gli oggetti che ci circondano, cementati da forze di coesione di vario tipo. Se così non fosse, non potremmo mai renderci conto della realtà dell’Universo in espansione.
Più sopra, si diceva che il regolo cosmico lungo 1 km si allunga di 1 m al giorno.
Come ce ne accorgiamo? Evidentemente perché lo misuriamo con un metro. Ma il nostro metro non deve partecipare all’espansione cosmica, perché altrimenti an-ch’esso si allungherebbe di una parte su mille ogni giorno, ossia di un millimetro.
Se così fosse, il giorno successivo alla prima misura il metro campione misure-rebbe 1,001 m e, quando lo confrontassimo con il regolo elastico, che ora è lungo 1,001 km, verificheremmo che occorrono esattamente 1000 metri campione in fila l’uno dietro l’altro per coprirne la lunghezza, esattamente quanti ne occorrevano il giorno prima. Conclusione: il regolo cosmico ci sembrerebbe sempre della stessa lunghezza, anche dopo molti giorni, settimane e anni. Anche noi cresceremmo nel tempo in altezza e in larghezza, ma senza rendercene conto, perché si allunghe-rebbe in proporzione anche il nostro letto, e continueremmo a dormire comoda-mente, la nostra camicia, e i bottoni non salterebbero, la nostra casa, e non picchieremmo capocciate sul soffitto. Se avessimo disegnato un cerchietto sul
no-Il disegno esemplifica il galas-sie. Il fattore di scala, qui identificato con il lato di un quadratino, cresce da R(t1) a R(t2). Le coordinate comoventi dei due coriandoli A e B sono sempre le stesse, così come la loro distanza delle coordinate (pari a 5, in unità comoventi;
per verificarlo, si applichi il teorema di Pitagora), di modo che i coriandoli si pos-sono considerare fermi nel si-stema di coordinate comoventi. Se però conside-riamo la distanza fisica effet-tiva, vediamo che questa cresce di pari passo con il fat-tore di scala: d(t) = 5 · R(t).
stro foglio-Universo, il suo diametro sarebbe stato “stirato” dall’espansione elastica del foglio nella stessa proporzione della distanza tra i cerchietti. Se la separazione tra due cerchietti era in origine di 20 diametri, tale sarebbe rimasta per sempre.
Col sorriso sulle labbra, Arthur Eddington una volta ebbe a dire che forse non è l’Universo che si espande, ma sono gli atomi che si restringono. Tutto è relativo…