Il tempo scorre veloce nell’Universo primordiale e non succede nulla di significa-tivo dalla fine dell’inflazione fino al termine della fase in cui l’interazione debole resta unificata con l’elettromagnetica.
Era dell’unificazione elettrodebole (t = 10–10s; T = 1015K; E = 3,5 · 1011eV) I fisici pensano che a energie superiori a circa 350 GeV, quando le due forze erano ancora unificate, anche le particelle mediatrici dell’interazione debole erano senza massa, come i fotoni. Solo alla transizione di fase che segna la fine dell’uni-ficazione, le W+, W–e Z0acquisiscono massa (attraverso un meccanismo che chiama in causa l’ipotetica particella di Higgs) e perciò si differenziano nettamente dai fotoni. Fra l’altro, la loro massa estremamente elevata – poco meno di un cen-tinaio di volte quella del protone – implica che sia estremamente limitato il raggio d’azione della forza che esse trasmettono: è così che l’interazione debole prende una sua forma autonoma e una precisa identità. Al contempo, le W+, W–e Z0 ces-sano d’essere presenti come particelle libere perché ormai l’energia di scambio di-sponibile nell’Universo è troppo bassa per produrle dalla materializzazione dei fotoni.
Transizione di fase quark-adroni (t = 5 · 10–4s; T = 7 · 1011K; E = 2 · 108eV) Poco oltre, quando l’energia d’interazione scende sotto i 200 MeV, anche i quark e gli antiquark spariscono come particelle libere (si annichilano senza più potersi materializzare) e semmai sopravvivono solo combinandosi fra loro in tripletti (ba-rioni) o doppietti (mesoni) rigorosamente acromatici, in osservanza alla proprietà di confinamento.
Le particelle costituite da combinazioni di quark sono dette adroni e sono mol-teplici, ma le più importanti e stabili sono i protoni e i neutroni. I secondi, legger-mente più massicci dei primi, non sono stabili in assoluto, poiché quando sono liberi decadono in protoni, ma la loro vita media di circa quindici minuti è lunghis-sima rispetto all’età dell’Universo (di allora). Le masse dei protoni e dei neutroni sono dell’ordine di 1 GeV/c2(rispettivamente 938,3 MeV/c2e 939,6 MeV/c2), di modo che ormai non c’è più energia sufficiente per la materializzazione di coppie di protoni-antiprotoni e neutroni-antineutroni: le coppie esistenti vanno via via spa-rendo senza possibilità di rimpiazzo, le loro annichilazioni inondano l’Universo di
fotoni, l’antimateria barionica sparisce e resta l’eccesso di materia di cui si è detto.
Sopravvive però ancora l’antimateria leptonica: l’energia disponibile è sufficien-temente elevata da produrre facilmente coppie di elettroni-positroni (i positroni sono gli antielettroni, cioè elettroni con carica elettrica positiva; l’energia di massa degli elettroni è di circa mezzo MeV/c2).
La differenza di massa di 1,3 MeV/c2tra neutroni e protoni, a favore dei primi, gioca un ruolo determinante nel fissare le caratteristiche chimiche dell’Universo uscito dal Big Bang. Quando le energie di scambio sono molto più elevate di 1,3 MeV, neutroni e protoni sono presenti in numero pressoché identico, perché neutrini e antineutrini sono artefici di reazioni che trasformano i primi nei secondi, e vice-versa. Man mano che la temperatura e l’energia calano – quest’ultima avvicinandosi al valore di 1,3 MeV – le particelle più stabili, ossia le meno massicce (i protoni), sono sempre più abbondanti. All’epoca detta del
Disaccoppiamento dei neutrini (t = 0,7s; T = 2 · 1010K; E = 5 · 106eV) quando l’energia d’interazione è intorno ai 5 MeV, la densità dell’Universo è calata così tanto da far crollare praticamente a zero la frequenza delle reazioni dei neutrini con i barioni e con la radiazione. Da questo momento, i neutrini cessano d’essere coinvolti in reazioni che, succedendosi senza sosta, li imbrigliavano, e sono liberi di vagare per l’Universo, dove vanno a costituire un fondo cosmico la cui tempe-ratura dovrebbe aggirarsi attualmente attorno a 2 K. La conquista della libertà di sciamare indisturbati per il Cosmo riguarderà più avanti anche i fotoni: l’era del disaccoppiamento dei neutrini è l’analogo dell’era della ricombinazione per i fotoni.
Il fondo dei fotoni è però leggermente più caldo (3 K) per una ragione che vedremo fra poche righe.
Venendo a mancare i neutrini, che hanno rappresentato le fonti primarie della trasformazione dei protoni in neutroni, e viceversa, le sole reazioni che conducono al medesimo risultato sono ora quelle che hanno per protagonisti gli elettroni e i positroni: i primi, interagendo con un protone, danno vita a un neutrone più un neu-trino; i secondi, unendosi a un neutrone, producono un protone e un antineutrino.
Ma anche elettroni e positroni verranno ben presto a mancare, poco tempo dopo il disaccoppiamento dei neutrini, quando l’energia di scambio scende sotto 1 MeV, che è il minimo richiesto per la loro materializzazione. Mentre le coppie elettrone-positrone spariscono per annichilazione, sopravvivrà una piccola frazione di elet-troni, giusto quelli che con la loro carica elettrica negativa neutralizzeranno la carica positiva dei protoni e l’Universo intero. La liberazione d’energia conseguente alle annichilazioni immetterà calore nell’Universo ed è questo il motivo per cui il fondo dei fotoni è un poco più caldo di quello dei neutrini*1.
Senza più neutrini, né elettroni, capaci d’alterare il rapporto numerico tra protoni e neutroni, questo si fisserà su un valore che è dettato dalla differenza di massa tra le due particelle: grosso modo, risulta che, quando l’Universo aveva qualche se-condo di vita, per ogni 13 protoni c’erano 3 neutroni. Se la differenza tra le masse fosse stata maggiore di 1,3 MeV/c2, il divario numerico sarebbe stato maggiore, e viceversa.
Alle temperature e alle densità che si riscontrano in questa fase, che sono enor-memente maggiori di quelle presenti nei noccioli stellari, le reazioni tra nucleoni (come vengono collettivamente chiamati i protoni e i neutroni, in quanto costituenti del nucleo atomico) avvengono a tassi elevatissimi, ma non producono niente di
stabile, nulla che possa sopravvivere in quell’ambiente infernale. Infatti, l’energia di scambio disponibile è molto maggiore dell’energia di legame tra i nucleoni dei prodotti finali, di modo che l’impatto di uno dei numerosi fotoni presenti rompe ogni vincolo e restituisce allo stato libero i componenti di ogni nucleo appena for-matosi.
Il prodotto più naturale delle reazioni è il deuterone, che è il nucleo del deuterio, l’“idrogeno pesante” (2H): a differenza dell’idrogeno (1H), il cui nucleo è costituito da un protone, il deuterio ha per nucleo un protone e un neutrone. È l’isotopo del-l’idrogeno di massa atomica 2. Le reazioni potranno però cominciare a dare qualche frutto stabile solo dal momento in cui l’energia di scambio scenderà sotto quella di legame, che è di 2,2 MeV. Tuttavia, sappiamo che per ogni barione esiste un mi-liardo di fotoni, molti dei quali con un’energia maggiore di quella media (insieme a molti altri con energia più bassa). Il calcolo statistico ci dice che diventa trascu-rabile la probabilità che anche uno solo di quel miliardo abbia un’energia maggiore di 2,2 MeV solo quando l’energia di scambio è di circa 300 keV, ovvero all’epoca cosmica:
Inizio della nucleosintesi primordiale (t = 200s; T = 1 · 109K; E = 3 · 105eV) Da questo momento in poi l’Universo è una fornace nucleare che sintetizza nu-clei di deuterio, i quali si accumulano in abbondanza e, per cattura neutronica (la reazione ipotizzata da Gamow), iniziano a produrre il trizio (3H), che è l’isotopo dell’idrogeno di massa atomica 3; da questo, con la cattura di un protone (ma anche per altre vie) si forma l’elio (4He), il cui nucleo ha una struttura estremamente sta-bile, e infine, a partire dall’elio, prende corpo il principale isotopo del litio (7Li), ma in quantità irrisorie (un nucleo di 7Li ogni circa 10 miliardi di protoni). I processi non vanno oltre, perché inciampano nel doppio “vallo” alle masse atomiche 5 e 8 di cui si è già parlato nel precedente capitolo.
L’Universo è una sorta di nocciolo stellare su larga scala, una grandiosa stella che “cucina” gli elementi chimici. Mentre però nelle stelle le condizioni di tempe-ratura e pressione possono mantenersi pressoché inalterate per milioni o miliardi di anni, la fucina universale è un ambiente che, espandendosi, si raffredda veloce-mente e cala di densità, di modo che anche i tassi delle reazioni vanno decrescendo nel tempo. La nucleosintesi primordiale dura circa 700 secondi e s’interrompe quando la temperatura scende al di sotto di circa 500 milioni di gradi:
Fine della nucleosintesi primordiale (t = 900s; T = 5 · 108K; E = 1,5 · 105eV) Nella dozzina di minuti in cui la nucleosintesi procede si formano tutti gli ele-menti che, oltre all’idrogeno, rappresentano la dotazione materiale dell’Universo uscito dal Big Bang caldo. La varietà chimica è assai modesta: c’è l’idrogeno e c’è l’elio, con qualche isotopo di questi stessi elementi e un poco di litio.
Consideriamo l’elio. Quanto ci aspettiamo che se ne formi nella fase del Big Bang? La risposta che si dà a questa domanda è critica, perché soggetta a verifica osservativa diretta.
Se sommiamo tutto l’elio attualmente disperso nelle nebulose, nel mezzo in-terstellare e nelle atmosfere delle stelle troveremo la stessa quantità che venne sintetizzata nel primo quarto d’ora di esistenza del Cosmo. Sappiamo bene che anche le stelle producono elio nei loro noccioli, e che lo fanno per miliardi di anni.
Tuttavia, molte stelle lo consumano per formare elementi più pesanti, come il car-bonio e l’ossigeno; altre lo trattengono confinato nel profondo della loro struttura.
In definitiva, sulla base di diverse linee di ragionamento, tenuto conto anche della straordinaria stabilità del nucleo dell’4He, che lo rende praticamente indistruttibile, oltre che poco incline a combinarsi con altri nucleoni, gli astrofisici ci assicurano che l’elio che osserviamo nell’Universo è per il 98-99% quello primordiale e che il contributo stellare è pari soltanto a un misero 1-2%. Dunque, la sua abbondanza attuale può essere confrontata con quella che ci aspettiamo sia emersa dal Big Bang e siccome quest’ultima dipende in modo critico dal tempo quanto durò la nucleosintesi primordiale, nonché dall’andamento specifico della temperatura e della densità in quella dozzina di minuti, si capisce bene che la verifica sull’ab-bondanza dell’elio rappresenta un esame generale per gli scenari e per i modelli teorici adottati nella descrizione di queste delicatissime fasi della storia univer-sale.
Dal disaccoppiamento dei neutrini e dalla successiva sparizione delle coppie elettroni-positroni fino all’inizio della nucleosintesi primordiale trascorsero circa 3 minuti. Poiché i neutroni liberi non sono particelle stabili, conoscendo la loro vita media si può calcolare quanti di essi decaddero in protoni in quel breve lasso di tempo. Dei 3 ogni 13 protoni che c’erano, uno in media decadde, sicché le pro-porzioni mutarono in 2 neutroni ogni 14 protoni (i 13 iniziali, più il prodotto del decadimento). Ipotizzando che tutti i neutroni liberi vennero coinvolti nella pro-duzione dell’4He (il cui nucleo è fatto di 2 protoni e 2 neutroni), troveremo alla fine un nucleo di 4He ogni 12 protoni, con una frazione in numero dell’8% e una frazione in massa*2del 25%.
Con grande sollievo e soddisfazione dei cosmologi, tutte le misure fatte negli ultimi decenni sembrano concordare egregiamente con questa previsione. L’ab-bondanza dell’elio viene misurata per via spettroscopica soprattutto nelle regioni di certe galassie, come le compatte blu, in cui vi è stata una scarsa attività di for-mazione stellare e quindi di evoluzione chimica. Tali regioni sono particolarmente
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Le abbondanze degli elementi chimici misurate nel Sistema Solare sono rappresentative anche delle abbondanze cosmiche. Sull’asse verticale viene riportato il logaritmo in base 10 delle ab-bondanze. I valori sono stati normalizzati a quello del silicio, convenzionalmente fissato a 106. Come si vede, l’idrogeno e l’elio sono di gran lunga gli elementi più abbondanti, costituendo circa il 98% del totale; il rapporto in massa elio/idrogeno è pari a circa il 25%.
povere di elementi pesanti: sono meno “inquinate” dalla presenza di materia sin-tetizzata dalle stelle e perciò riflettono più da vicino le abbondanze cosmiche pri-mordiali. Dati più precisi vengono dalle misure delle abbondanze nel Sole e nel Sistema Solare, e comunque la conclusione è sempre la stessa: la materia univer-sale è costituita per il 98% da idrogeno ed elio (il restante 2% sono gli elementi pesanti prodotti dall’evoluzione stellare) e la frazione in massa elio/idrogeno è proprio attorno al 25%.
Poiché non esistono meccanismi stellari che possano giustificare una così ele-vata presenza dell’elio, la natura primordiale di questo elemento è fuori discus-sione. Il fatto poi che la proporzione riflette perfettamente quella prevista dai calcoli dei cosmologi viene considerato una prova fondamentale a favore del mo-dello del Big Bang caldo e un test significativo della bontà dei parametri adottati nella scansione temporale degli eventi. Se, per esempio, l’andamento della tem-peratura non fosse stato quello previsto dagli attuali modelli, l’inizio della nucleo-sintesi non sarebbe occorso al tempo cosmico di 3 minuti: in particolare, se fosse avvenuto poco dopo, i neutroni avrebbero avuto più tempo per decadere e oggi avremmo una minore abbondanza di elio; viceversa, se fosse avvenuto prima, l’ab-bondanza sarebbe maggiore.
Un ulteriore test viene dalla fisica delle particelle. Negli anni Ottanta, non v’era certezza che le famiglie di neutrini fossero tre (si veda la tabella a pag. 144): sino a poco tempo prima si pensava che fossero due, ma, in linea di principio, avreb-bero potuto essere anche quattro, cinque o più. La temperatura a cui avviene il di-saccoppiamento dei neutrini dipende criticamente dal numero delle famiglie di neutrini presenti in natura e una temperatura più o meno elevata lascerebbe più o meno tempo all’instaurarsi dell’equilibrio statistico nel rapporto neutroni/protoni, con conseguenze sull’abbondanza dell’elio. Il dato del 25% viene previsto par-tendo dall’assunto che le famiglie neutriniche siano tre: dunque, la verifica positiva dell’abbondanza cosmica dell’elio suggeriva anche un’importante conclusione ai fisici teorici impegnati nella definizione del modello standard delle particelle ele-mentari. Conclusione che verrà poi confermata molti anni dopo nei laboratori di fisica nucleare dall’osservazione dei modi in cui decade la particella Z0, la cui in-terpretazione teorica porterà a fissare definitivamente a tre il numero delle famiglie neutriniche*3.
Si è detto che la nucleosintesi primordiale produce, oltre che idrogeno (1H) ed elio (4He), anche altri (pochi) nuclidi stabili: il deuterone (2H), l’isotopo 3He del-l’elio e il 7Li. Calcoli teorici indicano che le abbondanze di questi nuclidi sono fortemente sensibili alla densità dei barioni (protoni e neutroni) che si registrava in quella dozzina di minuti in cui l’Universo forgiò i primi elementi. Si calcola infatti che una densità barionica elevata avrebbe reso più efficace l’incorporazione dei neutroni nell’4He, lasciandone pochi disponibili per la formazione del deute-rone: avremmo dunque avuto poco deuterio se i barioni fossero stati numerosi, e viceversa. D’altra parte, è naturale pensare che la densità di barioni di allora abbia determinato la densità al tempo presente: più ce n’era, più ce n’è (e viceversa).
Ciò significa che se riuscissimo a stimare la densità primordiale del deuterio po-tremmo avere un’indicazione di quale sia la densità barionica attuale.
Ma non è un controsenso quanto stiamo dicendo? Dopotutto, misurare la den-sità attuale dei barioni dovrebbe essere più facile che non stimare quale fosse l’ab-bondanza di un particolare nuclide quattordici miliardi di anni fa. In realtà, non è che venti o trent’anni fa mancassero stime della densità attuale dei barioni, ed
erano anche buone stime (oggi lo possiamo dire); ma allora suscitavano incertezze e perplessità, perché parevano troppo basse. Una volta accolto nel modello stan-dard lo scenario dell’inflazione, si era portati a pensare che la densità totale del-l’Universo dovesse essere quella critica, e la densità totale si pensava che coincidesse con quella della sola componente materiale, stante che la radiazione contribuisce per una frazione trascurabile e che in quegli anni la stragrande mag-gioranza dei cosmologi aveva archiviato l’ipotesi della costante cosmologica. Poi-ché le misure assegnavano ai barioni una densità che era meno di un decimo di quella critica, si era costretti a invocare un contributo della materia oscura alla densità totale dieci o venti volte maggiore di quello della materia luminosa. Il che sembrava eccessivo. Da qui l’importanza di ottenere una stima indipendente della densità barionica, che servisse da confronto e verifica.
Naturalmente, valutare la densità del deuterio primordiale non è un’impresa semplice, perché il deuterio è un nuclide fragile, che viene facilmente fotodisso-ciato dalla radiazione in ambienti caldi come sono gli interni stellari, il che com-porta che si debbano interpretare le misure introducendo correzioni – con tutte le insidie del caso – per rapportare l’abbondanza attuale a quella primordiale. Ma si può fare. E lo si fa anche per il 7Li e per l’isotopo 3He, le cui abbondanze sono al-trettanto sensibilmente dipendenti da quella dei barioni. Dal confronto dei tre ri-sultati indipendenti, gli studi condotti negli ultimi vent’anni convergono verso la conclusione importantissima che l’attuale densità dei barioni rappresenta al più il 4-5% della densità critica.
10–2
deuterio 10–4
10–6
10–8
10–10
0,001 0,01
densità attuale dei barioni (in unità di densità critica)
frazione in massa (H=1)
0,1 1
litio-7
elio-4
elio-3
Le abbondanze degli elementi leggeri sintetizzati nel Big Bang dipendono dalla densità dei barioni all’epoca e, di riflesso, da quella attuale, qui riportata sull’asse delle ascisse in scala logaritmica come parametro di densità (Ωb0). Le abbondanze dell’elio-4 e dell’elio-3 non sono particolarmente sensibili a Ωb0: lo sono invece quelle del litio-7 e soprattutto del deuterio. I rettangoli sono rappre-sentativi delle misure, con le relative incertezze: la banda scura verticale definisce l’intervallo di valori di Ωb0 compatibili con esse. È un intervallo abbastanza ristretto, compreso fra il 4 e il 5%
della densità critica.
Poiché altri studi, relativi alla dinamica degli ammassi di galassie e alle super-novae lontane, trovano per la densità della componente materiale dell’Universo un valore pari al 25-30% della densità critica, abbiamo una chiara indicazione del fatto che i barioni costituiscono solo all’incirca 1/6 della componente materiale dell’Universo, il resto essendo materia oscura non-barionica.
barioni, mesoni, leptoni,
La gravitazione si separa dalle altre forze.
monopoli
Era elettrodebole quark, leptoni, gluoni,
bosoni mediatori
Era degli adroniEra dei leptoniEra GUT
10–44s 1032 1019 GeV
10–34s (?)
10–10s 1015 350 GeV
10–4s 1012 200 MeV
0,7s 1010 5 MeV
Fine dell’inflazione. Il fattore di scala è cresciuto di 1045-1050 volte. spariscono come particelle libere.
I quark spariscono come particelle libere e formano gli adroni (barioni e mesoni).
Finisce l’Era degli adroni.
10–36s 1028 1015 GeV Fine dell’Era GUT. L’interazione forte si separa dalle altre. Inflazione!
I neutrini si disaccoppiano dalla materia e sciamano nell’Universo.
Finisce l’Era dei leptoni.
Sparisce l’antimateria leptonica.
La radiazione è dominante.
Nucleosintesi primordiale Inizia la nucleosintesi.3m 109 300 keV
protoni, deuterio,
3He, 4He, 7Li, leptoni, fotoni
15m 5 . 108 150 keV Termina la nucleosintesi.
Iniziano a formarsi atomi neutri.
La radiazione si disaccoppia dalla materia, i fotoni sciamano nell’Universo