“A giudicare dall’influenza che esercitò negli anni successivi, l’articolo di Hubble e Humason del 1931 fu il più grande e preveggente lavoro nel campo della cosmo-logia osservativa. Esso indicò la via alle ricerche più significative che continuarono a svilupparsi fin dopo il secondo trentennio del XX secolo. Dal 1929 fino alla sco-perta della radiazione cosmica di fondo quello fu il terreno proprio della ‘cosmo-logia pratica’, che è stata descritta come ‘la semplice ricerca di due numeri’ di contro alla nuova meravigliosa cosmologia teorica odierna, che combina la fisica delle particelle con i modelli matematici dell’Universo caldo primordiale.”
Questo scriveva Allan Sandage nel 1999, in un saggio nel quale commentava il famoso articolo (ne abbiamo parlato nel capitolo 4) con il quale Edwin Hubble e il fido Milton Humason comunicavano al mondo che le galassie si allontanano dalla Via Lattea con una velocità proporzionale alla loro distanza. Sandage aveva per-fettamente ragione. Per oltre mezzo secolo, le osservazioni in campo cosmologico furono prevalentemente rivolte a precisare sempre meglio per ogni galassia e per ogni ammasso quei “due numeri”, la distanza e il redshift, misurati su oggetti ten-denzialmente sempre più lontani, che venivano messi in grafico allo scopo di con-fermare che v’era tra di essi una relazione lineare e nel tentativo di ricavare il valore della costante di proporzionalità che li lega, la H0, la costante di Hubble al tempo presente. Il grafico distanza/redshift, o magnitudine/redshift, è noto come dia-gramma di Hubble e ha rappresentato una vera ossessione per gli astronomi della seconda metà del secolo scorso.
Allan Sandage (1926-2010) è stato certamente tra le figure più rappresentative della cosmologia osservativa di quel periodo. Laureatosi con Walter Baade a Monte Wilson, ebbe per maestri Martin Schwarzschild e Jesse Greenstein. Tutti grandis-simi astronomi. Era fresco di laurea quando Greenstein lo spedì a Monte Palomar come assistente di Edwin Hubble, al cui fianco avrebbe volentieri lavorato a lungo, per acquisire esperienza e far proprie le leggendarie abilità osservative del maestro.
Oltretutto, Hubble l’aveva preso in simpatia e – fatto straordinario – gli concedeva persino una certa confidenza. Purtroppo, la collaborazione fu saltuaria a causa dei problemi di salute che cominciavano ad affliggere il grande astronomo, e durò solo quattro anni, fino al secondo attacco di cuore che se lo portò via nel 1953.
Fu del tutto naturale per Sandage assumere l’eredità scientifica di Hubble. Per oltre quarant’anni, lavorando al grande riflettore di 5 m, prima da solo, poi in stretta collaborazione con il collega svizzero Gustav Tamman, Sandage inseguì l’ambi-zioso programma di stabilire un sistema di candele-standard (sorgenti per le quali si conosce la magnitudine assoluta, ossia la luminosità intrinseca) utili per stimare la distanza di galassie lontane, al fine di rendere sempre più preciso ed esteso il diagramma di Hubble e per caratterizzare sempre meglio la costante H0.
Come si ricorderà (ne abbiamo parlato nei capitoli 2 e 3), le prime candele-stan-dard utilizzate in cosmologia furono le variabili Cefeidi, per le quali Henrietta
Lea-9
vitt aveva stabilito la relazione tra pe-riodo e luminosità che consente di cono-scere la magnitudine assoluta M di una di queste stelle dalla semplice misura del periodo della sua variazione di luce.
Hubble aveva utilizzato proprio le Ce-feidi per ricavare le distanze delle galas-sie e degli ammassi considerati nel suo diagramma del 1931.
Ma le Cefeidi soffrono d’un limite:
pur essendo stelle giganti, decine di mi-gliaia di volte più luminose del Sole, possono essere osservate e riconosciute come tali dai telescopi al suolo solo in galassie che siano relativamente vicine, che distino al più qualche decina di mi-lioni di anni luce (si arriva un po’ più in là con il Telescopio Spaziale “Hubble”). Purtroppo, un diagramma di Hubble co-struito solo con punti rappresentativi di galassie vicine è di scarsa utilità. Le galassie vanno infatti soggette anche a moti locali e non sempre è possibile riconoscere il contributo di tali moti alla velocità radiale che si misura al telescopio, così da sot-trarlo e da mettere in grafico solo il redshift che interessa ai cosmologi, quello re-lativo al flusso di Hubble, ossia all’espansione dell’Universo. Solo quando la galassia è molto lontana la componente locale si riduce ad essere un’esigua frazione della componente cosmologica e le deviazioni che introduce sono del tutto trascu-rabili. Ciò si verifica grosso modo al di là di 300 milioni di anni luce. Sfortunata-mente, il metro delle Cefeidi non arriva fino a queste distanze.
Da qui la necessità di individuare altre candele-standard, utilizzabili a distanze sempre maggiori, stabilendo una sequenza piramidale di indicatori nella quale cia-scuno viene legittimato da quello che sta un gradino più sotto e fa da garante per quello che lo segue. È la strategia che avevano già adottato i “preveggenti” Hubble e Humason e che per loro funzionò suppergiù così: con le Cefeidi si stabilisce la distanza di un certo numero di galassie vicine; dentro ciascuna di queste si individua la stella blu più brillante (che è molto più brillante delle Cefeidi), della quale si può ricavare la magnitudine assoluta, visto che adesso la distanza è nota. Verificato che il valore è pressoché lo stesso per tutte le galassie considerate, queste stelle di-ventano le nuove candele-standard che consentono di stabilire la distanza di un certo numero di altre galassie, un poco più lontane, dentro le quali si va alla ricerca di una candela-standard di un nuovo tipo, ancora più luminosa (per esempio, una supernova), da sfruttare per sondare distanze ancora maggiori. E via di questo passo, gradino dopo gradino.
La sequenza a cui Sandage e Tamman lavorarono era un po’ meno naïf di quella adottata da Hubble, ma la filosofia era la stessa. Le candele-standard considerate, oltre alle Cefeidi e alle stelle luminose blu, erano le giganti rosse più brillanti, il diametro delle regioni di idrogeno ionizzato (regioni HII), le luminosità medie di varie classi di galassie, una particolare classe di supernovae. La molteplicità degli indicatori si rivelava utile anche per effettuare verifiche e riscontri incrociati.
Le preziose misure collezionate da Sandage in oltre quarant’anni non raccolsero però solo consensi. Il più intransigente oppositore fu l’astronomo d’origine francese
Allan Sandage nel 1984, vicino al riflettore Hooker di Monte Wilson. (Dough Cunningam)
Gerard de Vaucouleurs (1918-1995), in forze all’Università del Texas, che sfruttava un assai più nutrito bagaglio di indicatori di distanza, quali le novae al massimo di luce, le binarie a eclisse, gli ammassi globulari, la dispersione di velocità nelle re-gioni HII, il diametro efficace delle galassie, la larghezza delle righe dell’idrogeno, oltre che le candele-standard tradizionali.
Tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta del secolo scorso, Sandage e de Vaucou-leurs furono su sponde opposte nella disputa scientifica che aveva per argomento la scala delle distanze cosmiche: il ring era il diagramma di Hubble che ciascuno dei contendenti aveva costruito con le proprie misure, interpretate alla luce dei pro-pri indicatori, ove i punti si presentavano indubbiamente allineati – sia per l’uno che per l’altro –, a conferma del fatto che i redshift sono proporzionali alle distanze,
La ripresa del Telescopio Spaziale “Hubble” della galassia NGC 3021 esemplifica come si co-struisce la piramide degli indicatori. Grazie alle Cefeidi (nei riquadri ne vengono identificate 17), si stabilisce la distanza della galassia che, nel 1995, fu sede di un evento di supernova di tipo Ia:
un cerchietto segnala il sito dell’esplosione. La precisa misura della distanza consente di calibrare la magnitudine assoluta della SN Ia, nuova candela-standard da utilizzare su oggetti ancora più lontani. (A. Riess; NASA, ESA)
ma attorno a segmenti rettilinei di diversa pendenza (l’inclinazione fornisce la mi-sura della costante di proporzionalità, la H0).
Sandage, campione della scuola detta della “scala lunga”, dal suo diagramma ricavava un valore di 55 km s–1Mpc–1; de Vaucouleurs propendeva per un valore circa doppio, 100 km s–1Mpc–1, e dunque per una “scala corta”, ove le distanze co-smiche sono tutte dimezzate. Anche il tempo di Hubble è la metà: 10 miliardi di anni, contro i 20 di Sandage. (Il tempo di Hubble, come si ricorderà, è dato dal-l’inverso della costante H0e indica approssimativamente da quando si avviò l’espansione).
Dai 550 km s–1Mpc–1che Hubble pensava d’aver stabilito per certo nel 1931, con un’incertezza stimata al più del 15%, si era giunti a confrontarsi su valori tra 5 e 10 volte minori! Il che la dice lunga su quali siano le insidie che si celano nella piramide degli indicatori. La prima correzione l’aveva introdotta Baade nel 1952, dopo essersi accorto che esistono due popolazioni distinte di Cefeidi e che Hubble aveva osservato le Cefeidi di Popolazione I in galassie lontane assimilandole erro-neamente a quelle di Popolazione II della Via Lattea, che sono circa quattro volte meno luminose. Col che le distanze andavano raddoppiate, e H0scendeva a 250.
Negli anni immediatamente successivi toccò a Sandage correggere ancora al ri-basso, dopo aver messo in luce che le supposte stelle blu luminose adottate da Hub-ble come candele-standard secondarie erano in realtà regioni gassose compatte che si mostravano puntiformi, come le stelle, solo perché il telescopio di Monte Wilson non era in grado di risolverle. Era il 1956, e H0calava a 180; ma la discesa non era finita perché in un articolo del 1961 Sandage ricavava nuove stime, comprese fra 80 e 110, e nel 1975, al termine dei primi vent’anni di osservazioni, si convinceva definitivamente che 55 fosse il valore giusto, con uno scarto al più del 10%.
L’anno seguente, de Vaucouleurs portava alla XVI Assemblea Generale IAU te-nutasi a Grenoble (Francia) le sue conclusioni, con H0pari a 100 km s–1Mpc–1e
Due diagrammi di Hubble della metà degli anni Settanta. A sinistra, si è usata come candela-stan-dard la galassia più luminosa dei 97 ammassi considerati e il diagramma era volto a determinare il valore di H0(Sandage & Hardy). A destra, le candele-standard sono le radiogalassie del catalogo 3C e lo scopo era di ricavare anche il parametro di decelerazione q0: non lo consentono, però, l’eccessiva dispersione dei punti (le radiogalassie non sono affidabili candele-standard) e le misure che non giungono a valori di redshift sufficientemente elevati.
un errore al più del 10%. Viene spontaneo chiedersi come sia possibile che osser-vazioni condotte per decenni da validissimi scienziati, che si avvalevano della col-laborazione di colleghi e di Osservatori sparsi in tutto il mondo, portassero a risultati così diversi e incompatibili. Se per Sandage e la sua scuola H0doveva ca-dere nell’intervallo che ha per estremi 50 e 60 km s–1Mpc–1, evidentemente c’era qualche grossolano errore nei calcoli di de Vaucouleurs che circoscrivevano H0 tra 90 e 110. Oppure sbagliava Sandage. In ogni caso, il risultato dell’uno escludeva quello dell’altro: possibile che nessuno si avvedesse degli errori che si compivano?
Se rimarchiamo questo aspetto non è certo per mettere in dubbio l’appartenenza della cosmologia alla famiglia delle scienze esatte, ma è per sottolineare ancora una volta l’intrinseca difficoltà di misurare le distanze in astronomia, specie di sor-genti lontane. Contano l’abilità al telescopio, l’esperienza alla guida dello strumento e in camera oscura, la sensibilità dell’astronomo nell’interpretare quei deboli ba-tuffoli luminosi rimasti impressi sulle lastre fotografiche, oltre che la familiarità con la matematica e la statistica. L’astronomia è scienza, ma è un po’ anche un’arte.
S’aggiunga poi che non è vero, come spesso si dice, che misurare le velocità sia molto più facile che stimare le distanze, e che basta disporre di uno spettrografo sensibile e preciso. In realtà, anche le velocità nascondono tranelli. L’Universo è disseminato di grosse concentrazioni di materia – i superammassi – che con i loro campi gravitazionali distorcono localmente il flusso di Hubble e di ciò risentono i gruppi, gli ammassi e le galassie isolate, quelle che sono dette “di campo”. Le ano-malie locali possono essere importanti, sono significative anche a distanze
relati-30
20
79 72
65
10
0
100 200 300 400
distanza (Mpc)
velocità (c
. z,
migliaia di km/s)
Il risultato del Progetto Chiave HST sulla costante di Hubble, condotto dal gruppo di W. Freedman (2001), presentato in forma grafica. I diversi simboli si riferiscono a misure effettuate con indicatori secondari di diversa natura, calibrati con le Cefeidi. I dati si accordano bene con il valore di 72 km s–1Mpc–1per la costante H0.
vamente grandi e variano da regione a regione, per cui conta anche in che direzione si guarda.
Il 1976 segnò l’inizio dell’aspro conflitto tra i sostenitori delle due scale, la lunga e la corta, che sarebbe proseguito per un altro quarto di secolo, fino a quando l’incarico di quantificare la costante venne affidato all’HST, il telescopio orbitale dedicato a Edwin Hubble.
Nel 2001, il gruppo dell’astronoma canadese Wendy Freedman pubblicava i risul-tati di uno dei Progetti Chiave per i quali era nato l’HST, la determinazione della scala delle distanze cosmiche. Era il frutto di sette anni d’osservazioni su galassie distanti fino a un miliardo di anni luce. Sfruttando a fondo le enormi potenzialità della camera WFPC2, da poco installata al fuoco del telescopio, tutta la catena degli indicatori era stata rivista e precisata, a partire da una nuova calibrazione delle Cefeidi della Piccola Nube di Magellano, le stesse che erano state studiate quasi un secolo prima da Hen-rietta Leavitt. Dalle misure dell’HST la costante di Hubble veniva fissata a H0= 72 km s–1Mpc–1, con un’incertezza stimata del 10%, giusto a metà strada tra le stime di Sandage e de Vaucouleurs. Ed è questo il valore attualmente adottato, sostanzialmente confermato anche da ricerche che si basano su metodi diversi e indipendenti, come l’analisi della radiazione di fondo e delle lenti gravitazionali.
Sandage ha potuto seguire da vicino gli sviluppi più recenti delle ricerche a cui egli ha dato un contributo rilevantissimo, anche se ormai solo da dietro le quinte.
Non così de Vaucouleurs, scomparso nel 1995. “È stato davvero sfortunato” com-mentò amaramente Sandage, riferendosi al rivale di un tempo. “Ogni scienziato che vive da protagonista nel mezzo di una crisi dovrebbe poter vivere abbastanza a lungo da vederne la conclusione.”