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Théorie i due curatori del volume trattano per esteso e assai
diffusamente queste problematiche per i motivi sopra espressi. cioè per una più giusta collocazione nella storia dell’architettura e dell’urbanistica moderne, di Cerdà e del suo trattato inteso come prima codificazione di norme re- lative alla pianificazione e programmazione urbana e so- ciale. Cerdà vive l’ambiente spagnolo di Isabella II, dove la politica della corona era tesa alla ricerca del compromes- so tra assolutismo e liberalismo pur non celando manifeste tendenze conservatrici. Se nel ’48 si riuscì a soffocare qualche intervento rivoluzionario, è altresì vero che la Spagna subì profonde ripercussioni dalla generale crisi europea di quel periodo, con una ripresa del movimento carlista e con una rivolta separatista della catalogna. gli intrighi di corte screditarono poi il regime, non ultimo dei quali il clamoroso scandalo per la costruzione delle strade ferrate, nel quale furono coinvolti la regina madre Maria cristina. la spagna perdette in quel periodo ogni impor- tanza nella vita politica europea che riprese solo quando si trattò di pensare ai successori di Isabella II. Ben diverso fu il contesto culturale che produsse, arricchendolo e simulta- neamente arricchendosene, il discorso urbanistico di Cerdà. l’intelligentsia spagnola scopre, assimilandole, le tre prin- cipali correnti della filosofia europea: l’idealismo tedesco, l’utilitarismo inglese ma soprattutto il positivismo di comp- te che giuocherà un ruolo decisivo nella formazione del pensiero di Cerdà. Sarà infatti il suo senso positivistico, di chiara matrice tecnico scientifica, a far sì ch’egli, dopo il proprio nome, tenesse a qualificarsi sempre, e quindi anche nel piano di Barcellona, in antitesi con il vincitore ufficiale del concorso (architetto beaux arts), come Ildefonso Cerdà Y sunier, Ingénieur des ponts et chaussées. nelle sue espressioni letterarie poi, non si può fare a meno di coglie- re le tracce di un realismo latente. Basti pensare all’approc- cio alla città che pone il lettore spettatore in stretta connes- sione dialettica sia con il paesaggio che con i singoli vani che costituiscono gli alloggi (anticipando in qualche modo parte del pensiero urbanistico del “movimento moderno”). E alla tecnica letteraria utilizzata da Cerdà per strutturare la sua descrizione della città, nel terzo capitolo del primo volume della Théorie, mutuata dalle traduzioni dei roman- zi storici di Balzac e di Scout, rese famigliari ai barcello- nesi dell’epoca. la Théorie è parte integrante e indissocia-
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bile dal progetto del piano di Barcellona che a sua volta è strettamente legato a un progetto di architettura. dopo la demolizione delle mura (avvenuta con decreto reale il 1854) cominciò a sentirsi, a Barcellona, la necessità di conside- rare una soluzione urbanistica che la legasse al suo borgo esterno di gracia. nel 859 l’amministrazione municipale indice un pubblico concorso per la stesura di un piano ur- banistico. Ma nello stesso anno, e senza preventiva consul- tazione delle autorità locali, il sovrano incarica, per la re- dazione di un piano di recupero e di espansione di Barcel- lona, Ildefonso Cerdà che unisce al progetto un’opera in due volumi: la Teoria. Mentre premiato al concorso fu antonio Rovira con un progetto che aveva per motto “il disegno della città è opera della storia e non dell’architetto”, e che peraltro era progetto stilistico che rifletteva ancora un netto predominio tardobarocco e una ostentazione di geo- metrie stellari avulse dalle realtà territoriali e sociali. Se la decisione di favorire Cerdà avvenne con una procedura autoritaria tipica di un assolutismo ancien régime, il con- fronto sui piani, diametralmente opposti nella concezione, non può lasciar dubbi sull’opportunità della scelta operata. Nel suo progetto Cerdà, per il quale “le città sono un pro- dotto della storia sì, ma della storia dell’oppressione (...) e non della vera storia dell’uomo”, contrariamente al progetto vincente (che era pure vincolato ai rapporti ar- monici di natura antropomorfica), conduce, per dirla con Lukacs, un vero e proprio processo di “disantropomorfiz- zazione”, nel momento in cui elimina dal concetto di città ogni rapporto referenziale con la figura umana. La bellezza della città cessa di identificarsi con ogni sorta di piacere visuale o sensibile. Come per tutti i rappresentanti del fun- zionalismo anche per Cerdà la nozione di “Bello” si rag-
giunge solo nella misura in cui si riesce a tradurre corretta- mente il binomio forma-funzione. “Concepito con intelli- genza ingegneresca , senza concessioni nè accademiche nè
romantiche, e invece con valutazione delle prospettive territoriali e di sviluppo (che è fuori della norma, per quel tempo, in Europa) il piano di Cerdà manifesta una dimen- sione che diremmo americana” (con adozione della scac- chiera, ecc.). Tuttavia anche se tra i piani di New York, Filadelfia e Buenos Aires esistono delle similitudini grafiche con quello di Barcellona, sul piano concettuale la scala, ma soprattutto la stessa struttura delle strade e degli isolati,
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risultano del tutto differenti. Se Cerdà ha adottato la trama a scacchiera, non lo fece per facilitare le lottizzazioni (poi- chè la sua città doveva veder risolti solo tre problemi: igiene, viabilità, equa politica fondiaria), ma per ottenere un “sistema” o “economia” (per lui i termini sono equiva- lenti) regolare e omogeneo per soddisfare i postulati del- l’eguaglianza sociale. Redige quindi un disegno “scientifi- co” della città dove l’estetica è travolta dall’epistemologia. Non a caso scriverà che “il primo compito dell’urbanista consiste nel rimettersi completamente alla scienza (...) per sottomettersi ai suoi princìpi incontestabili”. E ancora che “il secondo consiste sì nell’affidarsi alla fantasia e al genio, ma sempre sapendo conciliare, in modo scientifico, le esi- genze di oggi con quelle di domani”. l’epistemologia di Cerdà gli impone anche un metodo storico per studiare l’evoluzione dell’urbano dal semplice al complesso, e un metodo critico e descrittivo per analizzare gli elementi di questo organismo complesso, per poter riarticolare le parti del puzzle urbano di cui la scienza ha ritrovato l’ordine e dissipato il mistero. Questo metodo, deduttivo e induttivo a un tempo, è essenzialmente sviluppato nel primo volume della Théorie. il metodo della prassi si attua nel secondo volume dove si analizza concretamente la città di Barcel- lona. E di Barcellona non studia gli edifici, studia la gente che abita la città con i propri problemi. La gente che dovrà abitare la città vivrà una democrazia egualitaria prodotta non solo dalle rivoluzioni ma soprattutto dai valori univer- sali della scienza. Come ha notato Soria (forse il primo teorizzatore della città lineare), l’eguaglianza sociale di Cerdà non è forzatamente un “a priori” ideologico. La cri- tica all’urbanistica, nel senso marxiano del termine, passa necessariamente attraverso la critica del suo discorso: nes- suna intuizione saprebbe sostituirsi alla realtà dell’enuncia- to. Forse si potrebbe scegliere tra i vari sottintesi che comporta la prassi urbanistica criticando la frammentarietà e la riduttività del fenomeno urbano che implica la sua trasformazione in oggetto. O forse si potrebbe legittima- mente criticare la strategia del modello unico che scaturisce da questo tipo di trasformazione, il suo carattere autoritario o la sua funzione ideologica. Ma nessuna critica globale sarà possibile senza passare attraverso l’analisi del discor- so. Optando diversamente si rischierebbe di confondere causa con effetto. Per i traduttori la sola lettura della Théo-
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rie non può fornirci soluzioni miracolose. Essa rivela,
nella sua positività, il processo preprogettuale. È soltanto dall’analisi di questo processo che diviene possibile giudi- care certi assiomi. Ecco una ragione più che sufficiente per giustificare una lettura critica dell’opera. Potrebbe anche costituire uno strumento di lavoro teorico attuale. in ogni caso sarà fonte di evocazione storiografica sempre neces- saria per conoscere meglio la disciplina che, dopo Cerdà, è stata spesso rivendicata come disciplina scientifica.
note
* Recensione a: i. cerdà, La théorie de l’urbanisation, Éditions du seuil, Parigi,
980, in “Parametro”, n. 87, giugno 980, pp. 5 e ss. 1. cfr. “Construcciòn de la Ciudad”, nn. 6/7.
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Dopo la contemporanea rivalutazione del Liberty e la crisi del moderno si assiste a un “affettuoso” ritorno allo studio della prima età moderna con una molteplicità di manifestazioni. Nella misura in cui si sono riscoperti e si riscoprono con passione personalità secondarie del primo novecento pittorico, anche in architettura si assiste a un’en- fatizzazione, forse eccessiva, delle cosiddette figure minori. Questa premessa può essere uno dei modelli interpretativi della sezione architettonica della mostra “La Metafisica: gli anni venti” recentemente ospitata dalla comunale galleria d’Arte Moderna di Bologna. La rassegna bolognese pone l’accento su un arco cronologico assai netto, in cui, anche in italia, seppure in ritardo o almeno in maniera diversa, comincia a essere sancito il passaggio tra due epoche. con Raimondo d’aronco ed ernesto Basile si conclude il troppo breve periodo del liberty italiano, mentre nel 1914 e poi nel 1926 nascono l’architettura futurista con il manifesto di sant’elia e il razionalismo italiano con le proposte del “Gruppo 7”. Gli architetti pubblicizzati dalla manifesta- zione di Bologna operano in italia proprio tra questi due periodi, diversissimi ma entrambi peculiari e basilari, nella storia dell’architettura moderna; ma a quanto è dato di vedere, operano costantemente in bilico tra Novecento e Funzionalismo e tra Novecento e Art Nouveau. Alla fine non sono nè l’uno nè l’altro. a poco valgono, o quanto mai hanno valore estremamente irrilevante, le denunciate “fedi artistiche” di questi padri spirituali dei palazzinari di qualche tempo dopo, giacchè le piacentiniane abitazioni di via crescenzio a Roma sono solo uno dei tanti esempi che confermano questa tesi. Nè valgono gli scritti di Marcello Piacentini “sulla genialità inventiva e scapigliata” del
giovane D’Aronco in quanto “a noi giovani la sua figura è