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fra esse interposte, da destinarsi ad attrezzature sportive, a verde pubblico e all’istruzione (vi è infatti prevista una scuola elementare). È evidente che in queste situazioni, tipi- che della pianificazione urbanistica italiana corrente, non è facile operare. Ancor più difficile è produrre dell’architettura su volumetrie prefissate (di 20 x 20 ml x 30 ml di altezza, non adeguate per il tipo a torre proprio per il troppo scarso rapporto dimensionale tra altezza e base dell’edificio). Così come è assai improbabile riuscire, nella ripetizione asettica di otto elementi uguali, a definire una composizione omoge- nea e ordinata ma soprattutto coerente. dasso riesce a supe- rare tutti questi rischi. Non solo tramite la codificazione di un’architettura ineccepibile riesce a risolvere la parte meno felice del piano nel senso che l’attenzione della città viene focalizzata esclusivamente su degli oggetti architettonici che con grande forza intrinseca si pongono come riferimento sicuro in un brano, quanto mai insicuro e incerto, della città di Savona. L’autore si esprime analogamente per la scuola elementare, la cui raffinata soluzione architettonica vuole essere un’ironica quanto castigata negazione di quel tessuto connettivo ivi inesistente. Raramente si assiste al prevalere dell’architettura sull’urbanistica (nel senso del prevalere del tipo edilizio sulla morfologia urbana). Ancor più raramente un’architettura riesce a confutare gli scopi di un disegno urbanistico per giunta senza modificarlo. Nelle torri di savona invece questo avviene in maniera molto evidente. ma per poter realizzare ciò occorre possedere, tra l’altro, un grande mestiere progettuale, che spesso non è generatore d’opinione. o semmai lo è certamente meno di altri, forse più alla moda e sicuramente più facili e comodi da trattare. Ed è talvolta poco consolatore sotto il profilo della gratificazione culturale, ma è altrettanto essenziale e indispensabile per determinare un’architettura autentica, nel senso che abbia per referenti degli oggetti non solo disegnati ma pure costruiti nello spazio fisico. Ciò che consente lo scatto qualitativo nella progettazione o meglio ciò che consente a un’“idea” d’architettura di divenire essa stessa “architettura” è anche la più o meno approfondita conoscenza delle tematiche di quel mestiere progettuale che si acquisisce solo con quell’esperienza che matura progressivamente costruendo, e senza il cui possesso e il cui dominio il “fare architettura” diviene impensabile e improponibile. Affrontare la soluzione del singolo edificio
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architettonico, e relazionarla a una ripetitività obbligata, in modo che il confine sintattico tra edifici multipli perce- piti attraverso l’unitarietà dell’archetipo, o in modo che l’attuazione del complesso si attui e si risolva tramite la riproposizione grammaticale del prototipo, trova difficili riferimenti nell’architettura italiana. Si potrebbe forzare un po’ la mano pensando alle torri residenziali di Pesaro di de Rubertis. Anche là un solo edificio (anche se la singolarità è da riferirsi esclusivamente alla tipologia e non ai rapporti dimensionali tra altezza e base) viene percepito attraverso la sequenza di edifici multipli. Ma se a Pesaro il processo di omogeneizzazione e armonizzazione tra le parti fu facilitato dalla possibilità di adottare un sistema di connessione con un articolato sistema di percorsi pedonali, a savona questa possibilità non c’era per cui la connessione tra le parti, oltre che sulla singolarità dell’edificio di partenza, trova riscontro non solo nella ripetitività dimensionale dei suoi rapporti planoaltimetrici, ma soprattutto si attua tramite la ripetitività degli elementi architettonici dello spartito di facciata. L’analisi architettonica di una torre fa capire come da parte del progettista sia stata posta particolare attenzione per risemantizzare, decodificandolo dai presupposti iniziali, il tozzo volume previsto dal piano. dasso riesce a ingenti- lirlo e a slanciarlo. in prima approssimazione la memoria ci conduce al Midosuji Building di Nikken Sekkei a Osaka per la soluzione d’angolo, e al One Astor Plaza tra la 44° e la 45° Strada di Broadway di Leichtman, Quinn e Lincer per la soluzione conferita alla sommità dell’edificio. Invece è proprio lì, nella sommità delle torri di Savona, al di là del puro e semplice verticalismo della facciata, che c’è il “trucco” più importante per conferire verticalità originale all’insieme. a questo éscamotage formalista, ma con in nuce la tipica essenza scompositiva della lezione neoplastica con la negazione, in sommità delle torri, della terza dimensione tramite la riduzione dei volumi a mere lastre librate nel cielo (tipico della “poetica dei pieni indipendenti”), unito all’ado- zione di una tipologia residenziale in “duplex” per gli ultimi due livelli (con sole zone giorno e quattro terrazze d’angolo all’ultimo piano), fa da inevitabile riscontro un innegabile aumento, seppure virtuale, dell’altezza reale dell’edificio. Da questo e da pochi elementi architettonici dosati e calibrati nei prospetti, e differenziati nella qualità della superficie (vetro, cemento e metallo), scaturisce un’architettura sin-
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cera in cui “gli elementi (...) sono per così dire l’alfabeto dell’architettura, giacché come con ventiquattro lettere si possono comporre innumerevoli parole e discorsi differenti, così con varie combinazioni di quegli elementi, non molto più numerosi delle lettere dell’alfabeto, è possibile comporre ornati architettonici diversissimi (...). Coloro che vogliono introdurre altri ordini generano invece disordine” .
note
* “l’architettura: cronache e storia”, n. 7, luglio 985, pp. 48 e ss.
. l. ch. sturm, Vollständige Anweisung alle Arten von Prachtgebäuden nach
gewissen Reguln zu erfinden, Augsburg, 1708, cap. II in E. Forssman, Dorico, ionico, corinzio nell’architettura del rinascimento, laterza, Bari, 973, p. .
Questioni di progettazione architettonica
Il numero 76-77 di dicembre 1984 della rivista “Urba- nistica” illustra, tra gli altri, il nuovo piano regolatore ge- nerale del comune di sassuolo che vale la pena di com- mentare non solo per il fatto che “indurrà modificazioni consapevoli nel luogo in cui si attaglia, e potrà costituire (con le altre elaborazioni della nuova urbanistica) un labo- ratorio di sperimentazione teorica e attuativa” , ma soprat-
tutto per il motivo che consente, seppure nei termini ristret- ti e obbligati di questa sede, di affrontare, o quanto meno di porre, qualche considerazione su taluni argomenti del contemporaneo dibattito urbanistico. Non si può parlare del nuovo PRG di Sassuolo (un vero e proprio “piano progetto”) senza ricordare le due fasi operative più significative del “fare urbanistica” che contraddistinsero la cultura specifica del nostro paese, sino a un termine preciso. cioè sino a quando (vuoi per il mancato decollo, nella maggior parte dei comuni italiani, di quei piani particolareggiati che avrebbero dovuto attuare gli strumenti urbanistici generali, vuoi per inevitabili ripensamenti politici e culturali su quei modelli urbani ormai consolidati volti più al controllo del- lo sviluppo che non alla programmazione del contenimen- to della pianificazione urbana) si assistette, in tempi recen- tissimi, a un ripensamento complessivo, da parte di talune amministrazioni, sulle metodologie di modificazione del territorio per un miglioramento sensibile della qualità del- l’habitat. I due momenti cui si intende fare riferimento si riferiscono a due modi, complementari ma diversi, di inter- venire sull’ambiente, che si possono rapportare a epoche storiche e politiche ben delineate. Sino agli anni del cosid- detto “boom economico” la gestione del territorio si espri- me in Italia tramite strumenti urbanistici prevalentemente disegnati, nel senso che sono le tavole di piano a definire,