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IDEOLOGIA E PRATICA DELL’INFEDELE *

Nel documento Questioni di Progettazione Architettonica (pagine 75-78)

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Alberto Manfredini

dubbio soddisfacimento delle esigenze reali della gente che quasi sempre vengono disattese con i risultati oggi tangibili. Gli esempi della rassegna fiorentina (il Bargello, S. Maria novella, l’ospedale degli innocenti, il Bigallo, s.trinita e tantissimi altri) oltre che di testimonianza su dei fatti acca- duti ci si presentano come “segni”, come segnalatori delle varie teorie del restauro, dei loro teorizzatori (riconducibili nel complesso all’arco cronologico di più d’un secolo da Quatremère de Quincy a Cesare Brandi) e degli operatori. ossia di coloro che misero in attuazione quelle teorie: dal De Fabris a Poggi sino a Morozzi solo per citarne alcuni. Ma in più, l’insegnamento che ne deriva è di ben più ampia portata; Firenze è un pretesto, lo stesso discorso lo si può fare per Genova, Milano, Roma, ecc.; chi cambia è il nome del “restauratore” (quando non si tratti dell’onnipresente Piacentini) e null’altro. La metodologia, il tipo e le finalità dell’intervento sono sempre eguali; non solo: il guaio è che ancora oggi il grande equivoco dell’equazione “Restauro = conservazione” in nome di un ormai eclettico recupero, si manifesta non più attraverso sventramenti dissacranti un tessuto esistente (dunque condannabili), ma troppe volte, ciò che forse è ben più grave, attraverso la “mera invenzione”, timida e mimetica, di fatti la cui veridicità storica non è data, nella più parte dei casi, di provare. mutati certi termini del problema e certe condizioni al contorno, i valori culturali rimangono invariati; entrambi deprecabili: quelli di oggi ancora di più. sugli architetti, sugli amministratori e sulla gente di cultura tutta, pesa pertanto una grave responsabilità unita al dovere di ripulire la cultura architettonica ufficiale dagli incredibili pregiudizi ideologici che pesano ancora negativamente, e in maniera talora fallace, sulla corretta nozione di “restauro” o di “conservazione”, e questo a tutti i livelli per poter poi ricominciare se non da capo almeno da dove, con coerenza e onestà culturale e operativa, si era arrivati grazie al pensiero radicale di Morris e di Ruskin. La rilettura del ruskiniano The seven lamps of Architecture o della voce “réstauration” nel Dictionnaire Raisonné de

l’Architecture Française du XI° au XVI° siècle di Viollet le

duc, può essere di stimolo e di incentivo per portare avanti, con maggior chiarezza, un discorso interrotto da troppo tem- po, anche se non sono mancate testimonianze generose ma pur sempre marginali in rapporto alla complessità dei temi dibattuti. Perseverare con arroganza, come si è fatto sinora,

Questioni di progettazione architettonica

vuoi in nome dell’architettura moderna a oltranza o, ciò che è più deleterio e antistorico, in nome della conservazione totale, agnostica, imposta dal potere e, diciamolo pure, di assai facile e comodo uso e strumentalizzazione, vorrebbe dire, nella migliore delle ipotesi, continuare a sbagliare, questa volta in mala fede, sovvertendo dei valori che, ai fini della progettazione contemporanea dell’habitat attuale, in tutte le sue varie eccezioni, devono essere considerati come “memoria” di un passato che non può essere frettolosamente dimenticato, ma soprattutto come “presagio” per i bisogni veri degli uomini che devono comunque essere soddisfatti. Il senso più profondo della rassegna fiorentina è certamente anche questo e le parole conclusive con cui i curatori della sezione chiudono l’introduzione al catalogo guida, pare vogliano sottolinearlo. “al disumanesimo dichiarato del piccone risanatore che si è accanito a lungo sul cuore più antico e degradato della città, considerato come una sorta di cattiva coscienza da estirpare (...) si affianca una forma di silenziosa morte bianca per restauro: in pratica nessun monumento d’autore è sfuggito all’implacabile persecu- zione dell’infedele, al suo fanatico raptus ri-descrittivo. La conseguenza è la nascita di un’altra città di monumenti imprevedibili, che ancora si stenta a distinguere dai resti au- tentici, mutilati che formano il sofferto contesto stratificato, gli stessi muri, scritti dal tempo e continuamente segnati e ri-scritti dall’uso quotidiano”.

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Questioni di progettazione architettonica

Chi si trovasse a Parigi alla fine del 1980 avrebbe con- statato ancora una volta come il cosiddetto “riflusso acca- demico” sia sempre presente nella cultura architettonica contemporanea. Nelle principali librerie veniva riproposto, con grande evidenza, il catalogo di una mostra di qualche tempo fa sull’opera e la vita di Henry Sauvage: personaggio di grande fascino e di grande importanza storica, nodo di cerniera tra due culture, quella dell’art nouveau e quella dell’Architettura Moderna. Proprio per questo (dirà Sauvage scrivendo di sé: peut-être, aurai-je servi de trait d’union

entre la tradition et l’avant-garde) il suo caso, per strano

che possa sembrare, rientra perfettamente nell’evoluzione spettacolare che l’architettura ha avuto in Francia e negli altri paesi sulla via dell’industrializzazione, tra il 900 e il 930. il passaggio tra “art nouveau” e “art moderne” non è che uno tra i tanti termini del confronto cui furono chiamati gli architetti della prima generazione del XX secolo, confronto che, oltre che su basi progettuali, aveva necessariamente e inevitabilmente dei risvolti esistenziali connessi o con il rischio di essere per sempre superati ( e dunque tramite un atteggiamento di rinuncia nei confronti di un’avanguardia) o con l’intuizione e la sensibilità di saper cogliere lo spirito nuovo che avrebbe animato l’architettura. sauvage sa sapientemente oscillare tra le due posizioni con una produzione eccezionale proprio nel momento storico in cui l’evoluzione dei costumi, della professione di architetto e delle tecnologie dell’architettura (affrontate per la prima volta alla scala industriale), seppe giustificare la prodigiosa trasformazione morfologica del prodotto architettonico. nonostante questo a tutt’oggi la sua opera non è ancora completamente nota al grande pubblico, così come non lo sono le fonti della sua ispirazione, le sue invenzioni archi-

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