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fondiaria per cui le fasce più a mare sono le più privilegiate. A questa stratificazione fisica del territorio farà riscontro una stratificazione sociale che vedrà la popolazione distri- buirsi, nei confronti della marina, in proporzione diretta alla propria redditività. Il tutto accentuato dal diaframma fisico della ferrovia a monte della quale ci saranno zone destinate esclusivamente alla classe operaia. Lo sviluppo urbanistico di Viareggio, tipico dei centri rivieraschi di villeggiatura, pur ponendosi in antitesi nei confronti dei nuclei urbani continentali, ne ricalcherà nella sostanza, se non nella forma degli ambiti spaziali, la rapida evoluzione.
Quanto ai modelli urbani di riferimento si deve com- prendere come non sia in alcun modo possibile parlare di Viareggio, come del resto di altre località di villeggiatura, senza riferirsi a quel complesso fenomeno, tipico dell’ur- banistica tra il XIX e il XX secolo, che vede opporre la cité
ouvrière alla cité loisir. a quest’ultima categoria appar-
tengono sia le località termali che le città di vacanza o di villeggiatura, mentre l’altra categoria è caratterizzata dalle città specializzate del lavoro. Anche se si differenziano pro- fondamente quanto a morfologia urbana, tipologia edilizia e caratterizzazione architettonica, solitamente entrambe le categorie debbono essere analizzate contemporaneamente per il fatto che entrano unitariamente nel dibattito culturale e urbanistico sugli sviluppi delle forme insediative che ca- ratterizzano le valenze tipiche della città industriale. Questo avviene per il fatto che esse si pongono come l’unica e valida alternativa qualitativa e programmata nei confronti della città paleoindustriale non pianificata. Viareggio si inserisce decisamente in questo discorso costituendo uno degli esempi più significativi e coerenti, sotto questo profilo, di città di vacanza.
Per quanto concerne gli aspetti architettonici essi co- stituiranno la traduzione nello spazio fisico delle scelte urbanistiche di modo che, quanto a caratterizzazione architettonica, saranno proprio le fasce a mare a essere maggiormente connotate. L’architettura finirà per sposare la causa del Liberty italiano o meglio del Liberty all’italiana che se da un lato è imitazione, assai contaminata da altri generi architettonici, delle esperienze europee, dall’altro intende sancire l’ascesa al potere di un’aristocrazia che da terriera diviene imprenditoriale, e che del Liberty fa il sim- bolo del proprio e nuovo prestigio culturale raggiunto. Un
Questioni di progettazione architettonica
solo esempio, che vale per moltissimi altri, è caratterizzato da uno dei primi stabilimenti balneari viareggini, il bagno “Eolo”, costituito da un padiglione in ferro già utilizzato per la fiera di Milano del 1906.
in relazione a queste tre tematiche generali, diviene quasi scontato come si debba ritenere estremamente indilaziona- bile e urgente tutelare “per la storia e per la gente”, che vuol poi dire tramandare, almeno i caratteri tipici di Viareggio e della Versilia. non perché si sia spinti da manie conser- vatrici ma perché entrambi, cioè il luogo e la regione che lo contiene, hanno avuto un ruolo determinante nella storia dell’urbanistica, o quanto meno ne hanno rappresentato uno degli aspetti più significativi, così come innegabile è l’ap- porto conferito alla storia del costume del nostro paese in un contesto mitteleuropeo. Così come indelebile è il legame tra questo contesto ambientale e le avanguardie culturali dei primi anni del secolo. Si deve invece riflettere sui termini di tutela e salvaguardia rilevando come questi concetti, per anni inascoltati e osteggiati da più parti, siano ora divenuti di dominio comune e pertanto possano essere talvolta (o spesso) equivocati. Così come accadde in un passato non poi così remoto per la maggior parte degli interpreti della cosiddetta “conservazione” dei centri storici. operazione che avviene tuttora, e nello stesso ambito, con il rischio di compromettere ancora una volta, seppur partendo da sponde opposte, l’equilibrio pur tuttavia ancora esistente tra ambienti inedificati e ambienti edificati e, all’interno di questi ultimi, tra ambiti più o meno storicizzati. In troppi casi si dimentica come determinante e fondamentale sia la tutela delle tensioni esistenti all’interno degli spazi storici (intendendo con tale accezione pure quegli ambiti territoriali naturali che per natura intrinseca vale la pena di ritenere storici), e come inessenziale sia, per la conservazione di tali tensioni, e forse addirittura controproducente, la conserva- zione a ogni costo rivolta più agli aspetti formali ed esteriori che non a quelli sostanziali. Così come è altrettanto nega- tiva l’attuale, recente e perniciosa tendenza di organizzare separatamente gli strumenti urbanistici suddividendoli in piani generali e in piani per i centri storici quasi che centro storico e periferia di un unico ambito urbano facessero parte di territori diversi.
Presentare i problemi connessi con la realtà urbana di Viareggio, può essere in tal senso di grande utilità. Da essi
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può essere possibile estrapolare tutti quegli elementi che consentono di affrontare in termini generali, ma in modo rigoroso, i problemi e i temi connessi con la “tutela” e la “salvaguardia”. Di affrontarli con la giusta ottica strumen- tale, cercando di offrire, per essi, una soluzione finalmente scevra dalle facili, comode e opportune tentazioni con cui in passato si riuscì a eludere l’essenza intima del problema con i risultati che ben si conoscono e che talvolta, ancor oggi, si finge di non conoscere.
Questioni di progettazione architettonica
Già da molto tempo avrei voluto e avrei dovuto scrivere di Franco Albini. Ma quella strana e ingiusta forma di pudo- re che impedisce, contro ogni logica, di parlare di coloro verso cui si è nutrito tanto affetto, mi consente di ricordarlo solamente ora. non posso non rammentarne, prima di qual- siasi altra considerazione, la grande Moralità professionale. Non perché mi sia più facile per il fatto di averlo conosciuto bene e per avere avuto la fortuna di stargli a lungo vicino, ma perché nel momento storico attuale in cui le istanze più autentiche del “fare” in architettura troppo sovente vengono disattese in nome delle più strane esigenze, il ricordare chi fu maestro di molti e chi dovrebbe ancora esserlo come uomo, prima ancora che architetto, può essere di stimolo e di con- forto per chi opera oggi nel disciplinare specifico. Mentre nel migliore dei casi “la maggior parte degli architetti italiani (...) furono generalmente spinti a preoccuparsi dell’edilizia in termini di costi e di sfruttamenti”, e nel peggiore si posero e si pongono “a servizio della speculazione dilagante, tramite un atteggiamento di cinismo pratico, in cui gli artifici di ogni genere per conseguire il massimo sfruttamento hanno signi- ficato abilità professionale” , per Franco Albini le esigenze
vere dell’architettura e dell’urbanistica hanno sempre avu- to il sopravvento. mai una volta sola scese a compromessi, nemmeno in urbanistica dove il compromesso pare neces- sario e irrinunciabile. E mai una volta soltanto ebbe a for- nicare con i detentori del potere politico ed economico. Questo fu più di un esempio di grande coerenza, questa fu una scelta, uno stile di vita tanto nobile quanto scomodo e irriconoscente. Penso sia anche stata e sia l’“eredità” più bella che abbia lasciato a suo figlio Marco, ma certamente anche la più difficile da sostenere e sopportare. Parlare di Albini architetto, con il taglio che impone questa rivista, è