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Alberto Manfredini
operazione storico critica, priva di qualsiasi veridicità. Que- sti due suoi tipici aspetti sono perciò accennati attraverso l’emblematica chiave di lettura della sua pittura. Solo così è possibile cogliere e recepire, anche se su di lui pittore è già stato scritto molto, le più intime sfumature progettuali e realizzative del mucchi anche architetto e designer. la sua è pittura figurativa. Ma “figurativo”, nell’accezione che comunemente si riserva a questo termine, non contri- buisce a definire qualitativamente e compiutamente la sua poetica. Figurativa potrebbe definirsi quella pittura che riproduce acriticamente le immagini del mondo figurato così come si manifestano. La pittura di Mucchi non è solo figurativa, è “realista” nel senso che dipinge le cose del mondo criticamente, dando su di esse un giudizio attra- verso un raro impegno morale. Si è di fronte a una pittura caratterizzata al massimo grado dai valori etici, sociali e umani che rinnega volutamente ogni forma di “moda” e in cui l’uomo è il solo indiscusso protagonista, oggetto e a un tempo soggetto della storia. nel rinnegare la moda, che vuol dire rifiutare l’effimero per attingere ai valori perenni, Mucchi finisce per esprimersi, in pittura come nelle altre manifestazioni artistiche che lo contraddistin- guono (architetto, designer, poeta e scrittore polemista), in maniera “classica” che è forse il più preciso e corretto modo per porsi criticamente in chiave moderna. Affrontare la contemporaneità percorrendo la via non sempre facile della ricerca dei valori “classici”, può anche significare cercare di sostituire continuamente i valori dell’effimero con quelli che con l’effimero nulla hanno a che vedere. Cercando cioè quei valori che pur essendo inevitabilmente storicizzati nel momento in cui si traducono in forme (non si può mutare o trasformare la data d’ideazione di una concezione artistica), non sono storicizzabili nel senso che i valori più intimi in esse contenuti trascendono il tempo e con esso non più si rapportano. su mucchi progettista d’oggetti d’uso questo discorso calza perfettamente. Al di là dei molti esempi per i quali può valere discorso analogo (le seggiole sovrapponibili, le poltrone “P 9” in tubolare metallico, le sedie in lamiera, quelle in faggio curvato, la prima macchina calcolatrice per la olivetti disegnata con Marcello Nizzoli, ecc.) è sulla chaise-longue “Genni” che vale la pena di soffermare l’attenzione. Fu concepita e disegnata da mucchi negli anni ’30, realizzata e prodotta in
Questioni di progettazione architettonica
quegli stessi anni da una ditta (la Emilio Pino di Parabiago) che poi ha cessato di esistere, assieme ai suoi prodotti, con la morte del suo proprietario. oggi è realizzata da Zanotta ed è venduta ovunque. Quell’oggetto non era di “moda” allora e non è di “moda” oggi (il riflusso anni ’30 è tutt’al- tra cosa), ma ha successo perché soddisfa esigenze non di “moda” ma di “ragione”. È in nome di quell’usata e talvolta abusata “ragione” che Mucchi, nello studio rigoroso delle giunzioni, dell’assemblaggio nel suo complesso e del gusto raffinato per il dettaglio, riesce, tramite le proprie convin- zioni razionaliste, e quindi nel rispetto più assoluto delle necessità umane, a creare un oggetto, inutile negarlo, che è anche “oggetto di commozione”. Pure la sua architettura, che si è espressa e si è attuata attraverso il rigido conca- tenamento dei dettagli costruttivi va letta in questa ottica. Basta pensare al complesso per abitazioni di via Marcora che mucchi progetta con Prearo nel ’34 per rendersene conto. Il volume dell’edificio ingentilito e alleggerito dal nastro orizzontale del piano terreno, in cui ogni minimo dettaglio è studiato con precisione esasperata (dai nodi degli infissi all’alloggiamento dei cancelli riducibili, ecc.), è caratterizzato, nell’armonico impaginato di facciata, dalla sottomissione dei pieni ai vuoti.
Penso che ricordare Gabriele così, possa servire non solo per riproporre alla critica un artista singolare, senz’altro unico, forse l’ultimo “umanista” moderno, ma anche per chiarire ancora una volta come lo studio del dettaglio e del particolare intesi come approfondimenti ultimi di un discorso generale più complesso, riconducibile addirittura alla “vita”, possa essere, e sia, determinante non solo nelle creazioni pittoriche, nelle opere di poesia, nella battaglia delle idee, nella militanza politica, ma specialmente nella creazione di “forme” per la gente e per il soddisfacimento delle esigenze reali di una comunità civile.
note
* “Frames”, n. 8, luglio 985, pp. 56 e ss.
. a. manFredini, Gabriele Mucchi e l’architettura come messaggio, Parametro,
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Questioni di progettazione architettonica
dieci giorni dopo il colpo di stato del 85 luigi napo- leone confortato anche dai primi segni di ripresa economica intende dare inizio all’attuazione di un piano urbanistico complessivo che sappia riconnotare l’intero volto urbano della capitale denotandolo con la motivazione, apparente- mente di ordine strategico politico, di allontanare defini- tivamente il ricordo angoscioso dei moti popolari del ’48 così come la proposta, assai poco consona con la grandeur dominante, di spostare fuori Parigi la sede del Governo. il completamento del louvre, il prolungamento di rue de Rivoli, il taglio del boulevard de Strasbourg, l’ampliamento delle Halles e l’apertura del carrousel sono solo i cardini di quel programma ben più complessivo e ambizioso che sarà reso possibile, una volta bandite le incertezze del Prefetto della Senna Berger, dalla lucidità urbanistica del barone georges eugène Haussmann. con intelligenza e precisione, Enrico Londei sa mostrarci nel suo ultimo volume (la Parigi di Haussmann), il piano parigino, giustificando le trasfor- mazioni urbanistiche della Parigi del secondo Impero con rigore e coerenza, sia nella ricerca puntigliosa dell’appro- fondimento storico che nella serietà delle deduzioni critiche. Risulta utile conoscere la metodologia operativa di londei che consente senz’altro un’interpretazione più autentica e più “onesta” di un capitolo fondamentale della storia dell’urbanistica che permette, per chi lo voglia capire, di leggerla correttamente in filigrana e senza fraintendimenti. i Grands Traveaux operano in certo senso contaminati dalla tradizione culturale urbanistica del periodo, consolidata nelle espansioni ottocentesche europee, nella grande meta- morfosi urbana della Vienna di Förster e, oltre oceano, nelle griglie americane, per una commercializzazione del suolo e una qualificazione dell’immagine della città attraverso