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FOTOGRAFIA E IMMAGINE D’ARCHITETTURA *

Nel documento Questioni di Progettazione Architettonica (pagine 40-43)

Alberto Manfredini

vero è altrettanto verosimile che la fotografia, o qualunque altra immagine dell’architettura limitata al suo momento anticipativo (che in quanto tale non può ancora definirsi architettura intesa quale momento realizzativo), rappresenta solo una delle variabili che concorrono alla realizzazione del manufatto architettonico. Mostra dunque per un pubblico elitario, conscio della coesistenza di tante variabili e sapiente nel coglierle nelle loro specifiche e diverse codificazioni, piuttosto che mostra per la gente pregna di esigenze reali e concrete. Le quali ultime possono essere soddisfatte solo da interventi diretti di qualsiasi tipo. con esclusione però di quegli interventi anticipatori della realtà, e per questo da essa distanti, quali il disegno, la fotografia, o qualunque altra immagine dell’episodio architettonico. Perché tali strumenti altro non sono che la premessa per una concretezza suc- cessiva. È proprio attraverso la concretezza successiva che l’architettura è chiamata ad assolvere e risolvere le istanze sociali. Nel momento in cui si perde di vista il pubblico, nell’istante in cui anche involontariamente si tralasciano i problemi reali mascherandoli con falsi problemi, ecco che volontariamente non si fa più architettura costruita nello spazio, ma architettura disegnata sulla carta; non più movi- mento o tendenza, ma moda; non più cultura, ma accademia in senso deteriore. Se certe riflessioni possono avere un significato, quando applicate alle arti figurative, certamen- te non lo possono avere nella stessa maniera se applicate all’architettura. Il fatto per esempio di ricondurre l’attuale monumentalismo architettonico alle esperienze dell’archi- tettura monumentale fascista è perlomeno fallace laddove si ignora che la più parte dei monumentalismi di oggi esiste solo pubblicata nelle riviste (con disegni, fotografie, ecc.) mentre quelli di ieri (certamente e giustamente criticabili sul piano della linguistica architettonica) erano presenti nello spazio fisico e cercavano, seppure a loro modo, di dare solu- zione ai problemi reali. Non ci si dovrebbe nemmeno porre il problema del “distinguo” tra un Purini e un Giovannoni. l’uno ha disegnato solo ed è un “non architetto”, l’altro ha costruito ed è un “architetto”. L’onestà e la validità della rassegna bolognese sta prevalentemente nel saper prendere sempre e comunque distanza dagli equivoci di fondo del disciplinare. lo stesso morpurgo scrive nel catalogo della mostra che “le riviste e le mostre di architettura sono lo sboc- co prevalente di questa architettura senza oggetto che trova

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Questioni di progettazione architettonica

un costante incentivo in quelle occasioni di fantasia grafica che sono i sempre più frequentati concorsi di architettura”, dove il disegno cessa di comunicare un fenomeno spaziale per emergere sempre più chiaramente come disegno in sé e per sé in quanto mera enfatizzazione del valore del segno. dalla mostra traspare inoltre come l’importanza sempre più assunta dai sistemi di rappresentazione dell’architettura sia tale che, paradossalmente, ma non troppo, il manufatto architettonico potrebbe scomparire mantenendo inalterata la propria funzione culturale. È il caso delle aviorimesse di Orbetello, per citare un caso, che oggi non esistono più; ma le strutture di nervi sono, grazie anche all’immagine che di esse ci sono pervenute, per sempre consacrate nel pano- rama dell’architettura moderna. Valorizzando le particolari capacità della fotografia nel proporre delle interpretazioni sull’ambiente dell’uomo e rianalizzando l’intreccio che si è determinato tra sviluppo della fotografia e diffusione della conoscenza dell’architettura, gli autori della mostra hanno inteso pure porre l’accento sul fatto che la fotografia rientra a pieno titolo nella nostra cultura figurativa con un ruolo specifico e preciso accanto e in relazione al contributo che sempre hanno offerto le arti figurative nella interpretazione dello spazio. che si tratti di interpretazione e non di ma- nipolazione dello spazio appare in misura assai netta dalla rassegna bolognese che ha senza dubbio il pregio di aver voluto puntualizzare certi temi troppo spesso volutamente e comodamente confusi.

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Dopo essere stata a Parigi (al Centre National d’Art et de

Culture) nel ’79 e nel corrente anno a Venezia, patrocinato

dall’istituto di cultura di palazzo grassi, è stata riproposta ora, a campione d’italia, l’itinerante mostra retrospettiva dedicata a oscar niemeyer. la conclusione è stata sancita da una tavola rotonda sull’opera dell’architetto brasiliano cui hanno preso parte Piero Batini (collaboratore di Niemeyer a Brasilia), Guido Boni architetto e sindaco del comune di campione, enrico mantero, la rivista “Parametro”, agnoldomenico Pica, Victor simonetti e, come moderatore, Alberto Zanmatti. Da questa manifestazione e in particolare dalla visita alla mostra, la figura di Nimeyer, protagonista

sui generis del “movimento moderno”, appare in tutta la

sua complessità eretica tanto nei riguardi del funzionali- smo europeo quanto nella misura in cui si discosta dallo Stile Internazionale. Quasi a voler giustificare questo suo atteggiamento, di ricerca perenne della forma intesa quale elemento indispensabile alla creazione della bellezza in architettura, si libera dai rigidi canoni di stampo razionali- sta. Scriverà appunto, nella introduzione al catalogo della mostra, che parte dei suoi dubbi sui rigorismi funzionalisti derivano anche dal fatto che i progetti prodotti in Europa negli anni ’30 “risultano freddi e ripetitivi e l’architettura viene elaborata dall’interno verso l’esterno quasi fosse soltanto un risultato e non la ricerca della creazione e della bellezza nell’arte del costruire”. Il metodo progettuale seguito e divulgato da Niemeyer (senza peraltro mai avere la pretesa di codificarlo) è sempre stato legato al problema della forma, quale suggestiva manipolazione dello spazio fisico, tesa e finalizzata alla creazione della bellezza negli oggetti di architettura. il leitmotiv dominante, presente in tutto il suo corpus di opere, consiste proprio nell’esaspera-

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